Dopo oltre un anno dall’inizio della pandemia da coronavirus SARS-CoV-2, per l’Italia sembra ancora esserci un lungo percorso per tornare alla normalità. Si susseguono le chiusure di attività fondamentali come le scuole, quelle di numerose attività commerciali nonché la restrizione di libertà individuali. Stiamo assistendo infatti ad un nuovo incremento del numero di contagi con conseguente aumento degli ospedalizzati e ricoverati nelle terapie intensive. L’andamento della diffusione di questo virus sembra seguire al momento quello della “spagnola” del lontano 1918, oltre un secolo fa. Sorge allora spontanea una domanda: come è possibile che con tutte le nostre conoscenze scientifiche nel campo medico ed epidemiologico non siamo riusciti a controllare l’epidemia (subendo di fatto la diffusione del virus), se non a costo di drammatici interventi di chiusura con costi sociali ed economici elevatissimi?
Se infatti si può forse giustificare l’impatto della prima ondata nel marzo 2020 (l’Italia è stata il primo paese europeo a ritrovarsi il virus in casa), non trova giustificazioni l’assoluta mancanza di controllo sulla seconda ondata. Infatti, a seguito di un durissimo lockdown, ci si è ritrovati in Italia nell’estate 2020 con una incidenza del virus estremamente ridotta e con la possibilità di attuare azioni di tracciamento. Purtroppo, però, a partire da settembre 2020 abbiamo assistito ad un aumento inarrestabile dei contagi (nonostante la stesura di rigidi protocolli da parte delle Autorità Sanitarie), fermato solo con l’introduzione di “zone rosse” e con la conseguente impossibilità del tracciamento: oggi si affaccia la terza ondata.
Perché quindi siamo così deboli nei confronti della pandemia? E’ evidente che non siamo in grado di limitare i contagi, di convivere (come ci avevano detto) con il virus. Cosa non conoscono le nostre autorità sanitarie?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sempre dichiarato che il virus si può trasmettere secondo due vie: attraverso il contagio indiretto per superfici o quello diretto a breve distanza con goccioline pesanti (droplets). Le conseguenti misure di protezione “coprono” queste due modalità di trasmissione. Questa conoscenza però non spiega tra l’altro perché i contagi avvengano quasi esclusivamente negli ambienti chiusi e come un soggetto infetto possa infettare numerose persone contemporaneamente (eventi di superspreading).
Nel luglio del 2020, 239 scienziati internazionali hanno portato il problema della trasmissione aerea del COVID-19 sulla scena mondiale1. Dalla pubblicazione della loro lettera sono stati compiuti alcuni progressi ottenendo, tra l’altro, il riconoscimento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità2. Ciò tuttavia non ha comportato alcun miglioramento significativo nella protezione nei luoghi pubblici e di lavoro per gli operatori sanitari ed altri lavoratori essenziali. Continua infatti a mancare la messaggistica pubblica per evidenziare il rischio di trasmissione aerea negli ambienti condivisi e si concentra ancora oggi l’informazione sulla igiene delle mani e sul distanziamento. Solo pochi giorni fa uno dei più eminenti medici italiani ha dichiarato che la maggiore infettività delle varianti del virus comporterebbe la necessità di imporre un distanziamento maggiore (fino a 2 metri) rispetto a quello attuale: è evidente l’assoluta non conoscenza della trasmissione aerea da parte della comunità medica.
La rapida diffusione globale del COVID-19 ha innescato una ricerca interdisciplinare senza precedenti. I contributi provenienti dai settori dell’ingegneria, delle scienze della vita, della scienza dell’aerosol, della medicina, dell’igiene professionale e dell’epidemiologia stanno guidando un cambiamento di paradigma nella nostra comprensione della trasmissione dei virus respiratori attraverso l’aerosol, incluso anche il COVID-19. L’evidenza è ora schiacciante: la trasmissione aerea del COVID-19 è evidenza scientifica ed è un’importante via di trasmissione.3-6 Ciò è stato elegantemente riassunto da Fang et al.: “forse la più grande sorpresa sul problema della diffusione aerea di SARSCoV2 è che è stato sorprendente per così tante persone“.4
Gli aerosol carichi di virus infettano frequentemente i soggetti suscettibili nelle immediate vicinanze dove sono più concentrati, con una dinamica simile al fumo. In ambienti con ventilazione non ottimale, gli aerosol infettivi possono accumularsi nell’aria dell’ambiente e raggiungere concentrazioni pericolose. Le strategie di controllo mirate a contrastare la trasmissione, come il distanziamento fisico e le mascherine, sono fondamentali per ridurre il rischio di trasmissione di aerosol a corto raggio. Per ridurre la trasmissione aerea negli ambienti chiusi però, la ventilazione e la filtrazione dell’aria sono misure aggiuntive fondamentali, poiché gli aerosol emessi si accumulano in luoghi scarsamente ventilati. Sappiamo che molti luoghi di lavoro, edifici e residenze nelle nostre comunità hanno una ventilazione inferiore agli standard.
Il riconoscimento della trasmissione aerea mette in discussione anche le direttive per i dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari e altri lavoratori essenziali. La maggior parte degli operatori sanitari e dei lavoratori essenziali continua a utilizzare le “precauzioni contro le goccioline e il contatto”, indossando mascherine chirurgiche mal adattate, anche in ambienti ad alto rischio.
Sulla base delle attuali prove scientifiche, le autorità sanitarie dovrebbero pertanto:
- aggiornare le linee guida per affrontare il rischio di trasmissione aerea del COVID-19;
- promuovere strategie per ridurre il rischio di trasmissione nelle abitazioni private, nei luoghi pubblici e nelle aziende attraverso messaggi chiari sulla salute pubblica e istruzione;
- supportare gruppi di lavoro sulla valutazione della ventilazione e sull’ammodernamento di strutture pubbliche essenziali come scuole e case di cura a lungo termine;
- assicurarsi che a nessun operatore sanitario ad alto rischio sia negato l’accesso a un dispositivo di protezione idoneo (FFP2, N95, elastomerico o equivalente). La valutazione del rischio da parte del personale sanitario dovrebbe andare oltre la presenza di “procedure che generano aerosol” e dovrebbe prendere in considerazione comportamenti che generano aerosol (es. urla, canti, tosse, starnuti, respiro pesante), vicinanza al paziente, tempo trascorso con il paziente, stima della qualità dell’aria…7
- raccomandare e distribuire monitor di anidride carbonica (CO2) come misura sostitutiva di una ventilazione adeguata per ridurre il rischio di trasmissione a lungo raggio nell’aria negli ambienti condivisi (durante un’epidemia di tubercolosi, le concentrazioni di CO2 superiori a 1000 ppm hanno aumentato significativamente il rischio.8 Il miglioramento della ventilazione dell’edificio a una concentrazione di CO2 di 600 ppm ha fermato l’epidemia sul nascere);
- includere unità portatili di filtrazione dell’aria (HEPA) o dispositivi similari (purificatori) per filtrare i bioaerosol all’interno quando la ventilazione non è ottimale;
- coinvolgere ingegneri e altri specialisti della ventilazione per sviluppare standard di ventilazione per i luoghi chiusi e integrare questi standard nelle linee guida di riapertura per le attività con un rischio maggiore di trasmissione di aerosol (ad esempio ristoranti, bar e palestre).
I “riformatori sanitari” della sanità pubblica di fine Ottocento aprirono la strada al superamento di malattie trasmesse dall’acqua come il colera e la febbre tifoide attraverso investimenti nei sistemi fognari e negli impianti di trattamento delle acque.9 Sono certo che c’era chi pensava che il compito fosse insormontabile. E’ in grado la comunità scientifica degli studiosi dell’aerosol e degli ingegneri di fornire le soluzioni tecniche necessarie? Sicuramente si, dal momento che conosciamo tanto sia della deposizione di particelle durante l’inspirazione nel nostro apparato respiratorio che della generazione di goccioline durante l’espirazione10.
Quando verrà scritta la storia della risposta dell’Italia al COVID-19, spero che il nostro paese sia visto ancora una volta come un innovatore della salute pubblica e non come un paese che abbia rifiutato l’evidenza scientifica. Forse bisognerebbe cominciare a dire che i veri negazionisti risiedono all’OMS…
Bibliografia
- Morawska L, Milton D. It Is Time to Address Airborne Transmission of Coronavirus Disease 2019 (COVID-19) Clinical Infectious Diseases, Volume 71, Issue 9, 1 November 2020, Pages 2311–2313.
- World Health Organization, Transmission of SARS-CoV-2: implications for infection prevention precautions, Scientific Brief, 9th July 2020
- Fang, F., Benson, C., del Rio, C., et al. COVID-19 – Lessons Learned and Questions Remaining. Clinical Infectious Diseases. 26 October 2020.
- Nissen, K., Krambrich, J., Akaberi, D. et al. Long-distance airborne dispersal of SARS-CoV-2 in COVID-19wards. Sci Rep 10, 19589 (2020).
- Kutter J, de Meulder D, Bestebroer T, et al. SARS-CoV and SARS-CoV-2 are transmitted through the air between ferrets over more than one meter distance. BioRxiv. October 19 2020.
- Lednicky J et al. Viable SARS-CoV-2 in the air of a hospital room with COVID-19 patients. International Journal of Infectious Diseases. 11 September 2020.
- Buonanno, G., Morawska, L., Stabile, L., 2020. Quantitative assessment of the risk of airborne transmission of SARS-CoV-2 infection: Prospective and retrospective applications. Environmental International, 145, art. no. 106112, DOI: 10.1016/j.envint.2020.106112
- Du CR, Wang SC, Yu MC et al. Effect of Ventilation Improvement during a Tuberculosis Outbreak in Underventilated University Buildings. Indoor Air 30(10). December 2019.
- Canadian Public Health Association. Sewage and sanitary reformers vs. Night filth and disease.
- Morawska L, Buonanno G., 2021. The physics of particle formation and deposition during breathing. Nature Reviews Physics, in stampa.