Trasformismo
Curioso. La Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum volto a cancellare la quota proporzionale dell’attuale sistema elettorale in quanto il quesito sarebbe “manipolativo”, ma proprio la decisione della Consulta – ora che è stata presa – spiana la strada al più spettacolare tentativo di manipolare le regole del gioco mai messo in atto nella storia della Repubblica.
Probabilmente la Consulta, stante il principio dell’autoapplicatività (la legge elettorale uscita dal referendum deve essere immediatamente applicabile), non aveva altra scelta. Ma questo non toglie che la situazione che si è venuta a determinare sia estremamente preoccupante. Per l’ennesima volta assistiamo al tentativo di una parte politica di fare ciò che, quando le acque sono calme, si promette di non fare mai, e poi – appena si hanno i numeri per farlo – si finisce per fare sempre: il cambiamento unilaterale delle regole del gioco, e in particolare della regola più importante, la legge elettorale.
Questo è quel che sta succedendo. Questo governo è nato, per ammissione dei suoi stessi esponenti, per impedire che gli avversari politici possano influire sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica. Ora però quell’obiettivo, già di per se ben poco democratico, non basta più: si vuole anche impedire che, nella prossima legislatura, il governo che verrà venga scelto dai cittadini attraverso il voto. Troppo alto, infatti, è il rischio che, se si concede ai cittadini di andare a votare, e inoltre gli si permette di votare con le regole attuali (il cosiddetto Rosatellum, voluto a suo tempo dal Pd), i cittadini stessi si scelgano un governo diverso da quello attuale.
Insomma, per dirla crudamente: per i nostri governanti la democrazia è un sistema pericoloso, che abbisogna di periodiche revisioni per impedire che, quando il popolo perde il senno e pare intenzionato a votare i “cattivi”, questi medesimi cattivi abbiano la possibilità di giungere al potere.
Ed ecco la mossa chiave: tornare al proporzionale, fingendo che somigli al sistema tedesco (che non è affatto un proporzionale puro), e promettendo una soglia di sbarramento alta (che inevitabilmente finirà per diventare bassa, o per essere corretta con marchingegni vari per salvare i piccoli partiti).
Perché il proporzionale?
Per una ragione molto semplice: siamo in Italia. Solo in Italia, infatti, succede che gli eletti non sentano alcuna responsabilità verso coloro che li hanno eletti. Solo in Italia, una volta giunti in Parlamento, gli eletti si ritengono autorizzati a cambiare ripetutamente partito, costituire nuovi gruppi parlamentare, rovesciare completamente le alleanze, dimenticare le promesse elettorali. Si chiama “trasformismo” (una parola non a caso intraducibile in altre lingue) e si manifesta, ogniqualvolta ne esiste la convenienza, da quasi 120 anni, ossia dai tempi del governo Depretis (anni ’80 dell’Ottocento).
Certo, il sistema elettorale proporzionale puro non assicura che chi è minoranza nel paese possa governare (per questo ci vorrebbe una dittatura). Però, fra tutti i sistemi elettorali possibili, è quello che rende più facile rovesciare il risultato delle urne, ossia impedire che chi ha vinto le elezioni possa governare. A ciò provvedono i cambi di casacca, la formazione di gruppi di “responsabili”, le crisi di coscienza premiate da incarichi e posizioni di potere: il “trasformismo”, appunto.
Il bello è che tutto ciò viene giustificato con l’idea che, grazie al proporzionale, si garantirebbe il massimo di rappresentanza alle preferenze degli elettori. Ma è una grossolana mistificazione: il proporzionale rappresenterebbe efficacemente le preferenze degli elettori se gli eletti si sentissero vincolati a rispettare le alleanze e i programmi dichiarati prima del voto, come avviene nella maggior parte dei paesi che hanno sistemi elettorali sostanzialmente proporzionali. In Italia avviene semmai il contrario: il proporzionale piace perché permette ai piccoli partiti di sopravvivere, e ai grandi partiti di eludere, o addirittura di tradire, la volontà espressa dagli elettori.
Ecco perché, dicevo all’inizio, la situazione che si è venuta a determinare a me pare estremamente preoccupante. In essa si combinano due ingredienti micidiali. Il primo è il tentativo di spostare il più possibile avanti nel tempo il momento del voto, in modo da poter eleggere un Presidente della Repubblica di parte. Il secondo è il tentativo di rendere non decisive le scelte dell’elettorato, nel momento in cui non fosse più possibile rimandare il voto.
Entrambi questi tentativi non fanno bene alla democrazia. Non solo perché minano il principio di rappresentanza che fingono di difendere, ma perché inquinano il gioco stesso del confronto democratico, come si vede bene nelle elezioni regionali. Proprio l’ostinazione con cui si cerca di togliere la parola agli elettori, manipolando le regole del gioco e ritardando il ritorno alle urne, finisce per togliere dalla scena i problemi veri del paese e per ideologizzare il conflitto politico. Oggi un bravo amministratore come Bonaccini potrebbe perdere le elezioni regionali solo perché l’ostinazione del governo nazionale sta trasformando in un’ordalia il voto in Emilia Romagna. Domani la voce delle forze politiche più ragionevoli e ricche di idee per il nostro futuro potrebbe essere soffocata dalla sfida all’ultimo sangue fra chi è ossessionato dal problema dei migranti e chi lo è dal ritorno del fascismo.