Forza Italia e il destino del centro

Che succede in Forza Italia?

In questi ultimi giorni si sta parlando di una imminente proposta di legge di Forza Italia che agevolerebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana ai ragazzi stranieri che hanno completato uno o più cicli di studio. L’idea è già stata bocciata da Lega e
Fratelli d’Italia (non è nel programma di governo), mentre una significativa apertura sul cosiddetto Ius scholae – ovvero la cittadinanza in base agli anni di scuola in Italia – è arrivata da Giuseppe Conte con un articolo sul Corriere della Sera.

La cosa interessante è che Conte non solo ha appoggiato l’idea, attribuendone la paternità ai Cinque Stelle, ma ha anche attaccato il massimalismo di Pd e Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), che punterebbero sullo Ius soli (basta nascere in Italia per ottenere la cittadinanza), ossia su una proposta non solo impraticabile (mancano i numeri in parlamento) ma anche politicamente sbagliata.

Una lettura congiunta di questi due episodi suggerisce un’ovvia osservazione: sia a destra (con Forza Italia) sia a sinistra (con i Cinquestelle) è in atto un tentativo di differenziarsi dalle forze più radicali, spostandosi verso il centro.

Questo doppio movimento, tuttavia, è molto più credibile a destra che a sinistra. La mossa di Forza Italia, infatti, non è estemporanea come quella dei Cinque Stelle, ma segue una serie di recenti mosse dello stesso tipo. Pochi giorni fa Tajani, leader di Forza Italia, ha fatto significative e assai esplicite aperture anche su un’altra proposta non gradita agli alleati di governo, quella di varare un provvedimento svuotacarceri, misura peraltro perfettamente in linea con la tradizione garantista del partito berlusconiano. Ancora più significativamente, un paio di mesi fa Marina Berlusconi, presentando i progetti della casa editrice Silvio Berlusconi Editore, ha fatto una dichiarazione molto impegnativa: “Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi
sento più in sintonia con la sinistra di buon senso. Perché ognuno deve essere libero di scegliere”.

Sono tre mosse significative, che convergono su un unico obiettivo: salvare Forza Italia rafforzandone il profilo moderato garantista, liberale, e pure laico-libertario. Alla luce delle ultime mosse, non vi sarebbe nulla di strano se domani Forza Italia dovesse farsi promotrice di una legge sul fine vita, o desse disco verde al matrimonio egualitario.

È realistico un simile progetto di riposizionamento politico?

Secondo me sì, ma per spiegare perché occorre tornare ai Cinque Stelle e al loro speculare progetto di distacco da Pd e AVS. La differenza fra le due situazioni è che a sinistra qualsiasi forza moderata suscita una crisi di rigetto di natura ideologica, aggravata dal ricordo della stagione renziana. Mentre a destra un analogo rigetto non avviene perché i partiti di centro-destra, ormai da decenni, sono abituati a ricercare un equilibrio fra loro in modo pragmatico, lungo linee negoziali, senza scontri sui principi ultimi.

Ecco perché a destra c’è posto per una robusta gamba moderata, mentre a sinistra non c’è.

E la Margherita? potrebbe obiettare qualcuno, pensando a quando il centro sinistra la gamba moderata ce l’aveva eccome.
Ma è precisamente questo il punto. Per essere pienamente accettati nello schieramento di centro-sinistra, i moderati dovettero creare un loro partito, dotato di una massa elettorale critica, vicina a quella della componente post-comunista, e puntare su un “papa straniero” (Romano Prodi). È così che riconquistarono la maggioranza nel 2006, dopo il quinquennio berlusconiano.
Oggi siamo lontanissimi da quelle condizioni. La Margherita non esiste più, inabissata nel Pd; il progetto di dare al centro-sinistra una gamba moderata è fallito con la dissoluzione del Terzo Polo; la massa elettorale di Renzi è ridicola; il partito di Conte ha ben poco di moderato; quello di Calenda lotta per non scomparire; Elly Schlein è tutto tranne che un papa straniero.

Allo stato attuale il duo Tajani-Marina Berlusconi è di gran lunga l’offerta più credibile per gli elettori che guardano al centro.

[articolo per la Ragione, inviato il 19 agosto 2024]




La grande ipocrisia

Una caratteristica costante dell’antropologia culturale italica è la grande divisione tra le cose che si possono dire in pubblico (il sapere essoterico) e le cose che si possono dire solo in privato (il sapere esoterico). Quando si tratta di vicende personali tutto ciò può avere un senso: posso fare insinuazioni, tra amici, sull’infedeltà di una donna ma non posso sbandierarla ai quattro venti; a maggior ragione, se si sospetta che abbiano commesso reati nostri conoscenti o figure pubbliche.

 Non dovrebbe esserci invece, almeno in una società aperta, nessuna censura sulle opinioni politiche o sul modo in cui vediamo il passato. Certo chi riveste un ruolo pubblico—si tratti di governanti, di parlamentari, di giudici, di militari etc.—non può tessere l’elogio di un regime liberticida, fascista o comunista che sia, e se lo fa, è legittimo che lo si chiami a risponderne. Ma posto—e solo nei casi detti—il divieto di apologia della dittatura, non c’è nulla di più assurdo della censura che colpisce quanti, dopo aver premesso, che, per loro, la peggiore delle democrazie è preferibile alla migliore delle tirannidi, riconoscono realisticamente che queste ultime possono lasciare opere e istituti utili al paese. Specialmente quando—ed è il caso della recente intervista rilasciata da Antonio Tajani a ‘La Zanzara’ (Radio 24) —si tratta di verità acquisite (e ripetute) dalla stragrande maggioranza degli italiani. Che cosa ha detto, in sostanza, il Presidente del Parlamento europeo su Mussolini? Diamogli la parola:” “Fino a quando non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro Paese, poi le bonifiche |…| si può non condividere il suo metodo. Io non sono fascista, non sono mai stato fascista e non condivido il suo pensiero politico però se bisogna essere onesti, ha fatto strade, ponti, edifici, impianti sportivi, ha bonificato tante parti della nostra Italia, l’istituto per la ricostruzione industriale”. Ed ha aggiunto, a scanso di equivoci, “Complessivamente non giudico positiva la sua azione di governo, però alcune cose sono state fatte. Le cose sbagliate sono gravissime: Matteotti, leggi razziali, guerra. Sono tutte cose inaccettabili”. In seguito, bersagliato da ogni parte, ha chiarito ulteriormente il suo pensiero: “La dittatura fascista, le sue leggi razziali, i morti che ha causato sono la pagina più buia della storia italiana ed europea”.

E’ finita lì? Neppure per sogno! Il capogruppo dei Socialisti e Democratici all’Europarlamento, Udo Bullman, ha chiesto, sommamente indignado, dei ‘chiarimenti’ ; Romano Prodi ha parlato di ‘affermazioni molto discutibili’; l’ANPI, che ha il monopolio della vigilanza antifascista, naturalmente, è subito insorta, seguita a ruota dal M5S la cui vocazione antitotalitaria è ben nota—come dimostra la piattaforma Rousseau!:v. le dichiarazioni del sottosegretario Stefano Buffagni e del  capogruppo M5S alla Camera Francesco D’Uva); Carlo Calenda ha  scritto che Tajani ha dimostrato “una notevole dose di ignoranza e una totale inadeguatezza a ricoprire” la sua carica. E non parliamo delle sparate retoriche del segretario di “più Europa”, Benedetto Della Vedova, del sindaco di Milano Beppe Sala, del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti; e, soprattutto, della Sissco (Società Italiana per lo Studio della Storia contemporanea) che, quasi fosse il Centro Studi dell’Anpi, in sostanza, ha accusato sul povero Tajani “di avvalorare una lettura del tutto parziale del fascismo”

 Nel nostro paese ci sono sempre eroi che si rivoltano nella tomba, martiri che si sentono umiliati, cittadini onesti e coscienze integerrime che chiedono la punizione di chi ‘parla male di Garibaldi’ anche se lo fa indirettamente, riconoscendo qualche merito ai suoi nemici.

 In realtà, tutte queste incomposte reazioni sono sconfortanti per quegli studiosi che da una vita, ‘sine ira et studio’, cercano di comprendere la natura effettiva del fascismo, la sua genesi storica, la sua eredità politica e culturale, in senso lato, e che, per le loro ricerche, non si rivolgono a Carlo Calenda ma all’officina lasciata da Renzo De Felice e da altri storici non prevenuti del ventennio. Per questa scuola, alla quale mi onoro di appartenere, Tajani non ha detto proprio nulla di scandaloso, e semmai avrebbe potuto essere meno circospetto.

 Ho trovato discutibile, invece, la sua marcia indietro ovvero il capo cosparso di cenere presentato ai suoi inquisitori europei e italiani. “Da convinto antifascista mi scuso con tutti coloro che possano essersi sentiti offesi dalle mie parole, che non intendevano in alcun modo giustificare o banalizzare un regime anti-democratico e totalitario”. Invece di rivendicare, con dignità, la libertà di esprimere un’opinione (pur se discutibile) su momenti cruciali della nostra storia, Tajani si è recato a Canossa, giustificando implicitamente Bullmann, Prodi, Della Vedova & C. per averlo esposto alla gogna mediatica: è stato come riconoscere che avrebbe dovuto essere più attento alle parole e pensare alle reazioni che avrebbero potuto provocare. Diciamoci la verità: il ‘politicamente corretto’ lo abbiamo inventato noi anche se, per un residuo senso estetico, non ne meniamo vanto. O meglio abbiamo inventato il suo coté negativo laddove negli Stati Uniti vige da tempo quello positivo: in America, il politically correct serve a ‘imbiancare’, a dare dignità (ad es.,ai neri che diventano afroamericani), in Italia serve ad ‘annerire’, a demonizzare persone, figure e simboli storici che, se estranei al mainstream buonista e universalista, vengono precipitati nella stessa ‘massa damnationis’: in entrambi i casi, troviamo la  censura del pensiero e l’umiliazione di chi si ostina a pensare con la propria testa.

D’ora in poi, si può scommettere, Antonio Tajani—politico mite, rispettoso e così diverso dalla media dei suoi colleghi—sarà più guardingo nelle sue ‘esternazioni’, ricordando che quanto si dice in privato, non può essere detto in pubblico. Le convenzioni vanno rispettate anche se imposte dalla ‘grande ipocrisia’.