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Il grande tabù – Femminicidi e suicidi

14 Aprile 2025 - di Luca Ricolfi

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Le donne uccise nel mese di gennaio di quest’anno sono state di meno di quelle uccise nel medesimo mese dell’anno scorso. Può essere un caso. Però anche a febbraio c’è stata una diminuzione rispetto a un anno fa. Anche qui può essere un caso. Ma la medesima diminuzione è stata osservata a marzo. E pure nella prima settimana di aprile.

È sempre un caso?

La statistica non lo esclude, ma lo considera molto improbabile. La Polizia ha comunicato che il numero di donne uccise nei primi 3 mesi del 2025 (16) è stato del 36% inferiore al corrispondente numero del 2024 (26). Se le cose dovessero continuare così, o non tanto diversamente da così, il 2025 potrebbe risultare il primo anno in cui il numero di donne uccise, che erano in lentissima diminuzione nel 2023 e nel 2024, scende sensibilmente al di sotto di quota 100 (erano state 120 nel 2023, e 113 nel 2024).

Speriamo. Ma se così fosse, come potremmo spiegare la diminuzione? E soprattutto: che fare per rendere ancora più ripida la discesa?

Qui siamo ovviamente nel campo delle ipotesi. Comincerei da una spiegazione che ritengo sbagliata: i maschi sono diventati meno aggressivi, o più civili. Questa spiegazione è poco convincente perché chiama in causa un cambiamento culturale, senza tenere conto che i cambiamenti culturali sono quasi sempre lenti, molto lenti. Certo si può pensare che l’enorme pressione sociale sui maschi innescata dal femminicidio di Giulia Cecchettin abbia smosso qualcosa, ma è difficile credere che i risultati siano potuti arrivare nel giro di un solo anno.

Contro questa lettura militano anche i dati della criminalità che mostrano che, con l’importante eccezione degli omicidi, la maggior parte dei crimini violenti – rapine, lesioni dolose, maltrattamenti, violenze sessuali solo per citarne alcuni – è in forte  aumento negli ultimi anni, e lo è in special modo fra giovani e giovanissimi. L’impressione generale è quella di una crescita dell’aggressività, che tuttavia non si manifesta attraverso un aumento degli omicidi (che hanno un andamento altalenante), bensì attraverso altre forme di violenza e intimidazione, in netto aumento rispetto agli anni pre-covid.

Colpiscono, in particolare, il numero delle violenze sessuali denunciate, salite a oltre 6500 l’anno (il numero effettivo potrebbe aggirarsi intorno a 30 mila), e la crescita dei reati del “codice rosso”, in particolare lo stalking e il revenge porn (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti).

Se in generale quel che si osserva non è una diminuzione generalizzata dell’aggressività, forse l’ipotesi che si può avanzare per spiegare la flessione del numero di donne uccise è che, dopo la morte di Giulia Cecchettin, siano aumentate sia la vigilanza delle donne (capacità di cogliere i segnali di pericolo) sia la loro propensione a rivolgersi alle autorità nelle situazioni critiche.

E qui veniamo alla domanda critica: che cosa potremmo fare per accelerare la caduta delle uccisioni di donne, e in particolare dei femminicidi?

Probabilmente la strada più fruttuosa è allargare lo sguardo. I media danno un’enorme importanza ai casi di donne uccise dal partner, ma non paiono rendersi conto che quella dei femminicidi è solo la punta di un iceberg. Le donne uccise dal partner o dall’ex compagno sono circa 1 la settimana, ma per ogni donna uccisa ve ne sono circa 400 vittime di violenza sessuale e migliaia vittime di maltrattamenti e atti persecutori. Eppure l’intorno del femminicidio, fatto di dolore e sofferenza, attira ben poca attenzione. Perché è invisibile, azzarderà qualcuno.

Ma è una risposta che non convince. Perché una parte di questo intorno è visibilissima, solo che la si voglia vedere. Per ogni donna uccisa, ve ne sono 7 che si suicidano: più di 2 al giorno. E tutto fa pensare che, soprattutto nelle fasce giovanili, i drammi che per alcune finiscono nei femminicidi, non siano di natura tanto diversa dai drammi che stanno dietro tanti suicidi.

Perché, dunque, ce ne occupiamo così poco? Perché i suicidi sono diventati tabù, come sotto il fascismo?

Forse perché abbiamo bisogno di un colpevole. E il femminicidio, a differenza del suicidio, ce lo fornisce su un piatto d’argento. Peccato, perché capire meglio che cosa c’è dietro i suicidi di tante donne, verosimilmente, ci aiuterebbe anche a trovare nuove vie per combattere i femminicidi.

[articolo uscito sul Messaggero il 13 aprile 2025]

Se 68 suicidi vi sembran pochi… – Sulla politica carceraria

13 Gennaio 2024 - di Luca Ricolfi

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Lunedì 1° gennaio 2024. L’anno nuovo inizia con un femminicidio, o meglio con l’uccisione di una donna (una definizione rigorosa e condivisa di femminicidio ancora non esiste). Otto giorni dopo, il 9 gennaio, i casi sono già saliti 6, quasi 1 al giorno. Se le cose andassero avanti a questo ritmo, alla fine dell’anno le donne uccise sarebbero circa 250, più del doppio di quelle (113) dell’anno appena terminato. Ma l’opinione pubblica, ultra-mobilitata per il caso di Giulia Cecchettin, è già in sonno.

Quello delle donne uccise non è l’unico tema su cui andiamo presto in sonno. Ci sono drammi su cui l’opinione pubblica, più che andare in sonno, è in letargo perpetuo. Il più clamoroso, probabilmente, è quello dei suicidi in carcere, l’ultimo dei quali risale a pochissimi giorni fa. Ogni tanto i quotidiani riferiscono di un caso, specie se ci sono indizi sufficienti a ipotizzare responsabilità penali nel comportamento di giudici, medici o personale carcerario. Ma raramente si tenta un bilancio o si apre una discussione.

Eppure i numeri, ormai, sono paragonabili a quelli delle donne uccise. Negli ultimi 30 anni, i suicidi in carcere sono stati quasi sempre dell’ordine di 1 alla settimana, quali che fossero i governi in carica, ma negli ultimi 6-7 anni hanno mostrato una inquietante tendenza all’aumento. Fino al 2017 la media era dell’ordine di 50 casi all’anno, ma negli ultimi anni è salita intorno a 65, con un picco di 84 casi (massino storico) nel 2022, regnante Draghi. Nell’ultimo anno i casi sono stati 68, il valore più alto degli ultimi 30 anni dopo quello del 2022.

Una differenza importante con le uccisioni di donne è che, nel confronto internazionale, la situazione dell’Italia è di gran lunga più grave sui suicidi in carcere che sulle uccisioni di donne. A livello europeo, ad esempio, siamo fra i paesi meno pericolosi in materia di femminicidi, ma fra i più insicuri in materia di suicidi in carcere (solo 5-6 paesi su 27, in particolare Francia e Portogallo, hanno valori nettamente peggiori dei nostri).

Ma c’è una seconda differenza importante fra il dramma dei femminicidi e quello dei suicidi in carcere, ed è che le cause dei femminicidi sono estremamente complesse, diffuse e difficili da decifrare in termini scientifici (anche se facilissime da denunciare in termini ideologici), mentre quelle dei suicidi in carcere sono chiarissime, ben localizzate, e proprio per questo relativamente neutralizzabili. Fra esse:  sovraffollamento carcerario (in forte aumento negli ultimi 2 anni), carenze di personale (guardie e operatori sociali), inadeguatezza delle strutture che dovrebbero occuparsi dei detenuti con problemi psichiatrici, insufficienza dei programmi di rieducazione, professionalizzazione e accompagnamento al lavoro.

La controprova ce la forniscono i paesi scandinavi, dove il tasso di suicidio della popolazione generale è ampiamente superiore al nostro, ma quello della popolazione carceraria è più basso: indizio evidente del fatto che trattamenti più umani possono incidere fortemente sui tassi di suicidio dei detenuti.

Come e perché si sia arrivati a questa situazione è abbastanza noto. Di fronte alle sacrosante e meritorie denunce della situazione carceraria da parte di associazioni e gruppi (Antigone, Ristretti Orizzonti, Nessuno tocchi Caino…), di fronte alla storica sentenza della Corte Europea di Strasburgo contro il sovraffollamento carcerario in Italia (2013), la maggior parte delle forze politiche hanno preferito puntare su amnistie, indulti, decreti svuota-carceri, misure alternative alla detenzione, depenalizzazioni, piuttosto che sostenere i costi di una umanizzazione delle carceri. È così che siamo arrivati alla situazione attuale, in cui le omissioni dei governi passati si vengono pericolosamente a sommare alle scelte securitarie del governo in carica.

Si può essere favorevoli o contrari alla linea attuale, che punta molte delle sue carte su moltiplicazione dei reati, inasprimento delle pene, misure di “incapacitazione” (mettere in condizione di non nuocere) verso gli autori dei crimini di maggiore allarme sociale, come risse, rapine, aggressioni, reiterati furti e borseggi. Ma, proprio perché la via imboccata dal nuovo esecutivo è securitaria, e inevitabilmente porterà a un aumento del numero di detenuti, credo che oggi meno che mai si possa chiudere gli occhi di fronte alla situazione delle carceri, di cui il dramma dei suicidi è il segnale.

Rendere, se non più sopportabile, almeno più umana la condizione di chi è in carcere, avrebbe dovuto essere uno degli imperativi categorici dei numerosi governi progressisti che si sono succeduti negli ultimi decenni. L’aver rimosso il problema non lo ha cancellato, ma lo ha consegnato al nuovo governo.

È paradossale, ma è così: della umanizzazione delle carceri dovrà occuparsi il governo di Giorgia Meloni.

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