Elezioni in Francia e Regno Unito – Starmer e la sinistra blu

Una settimana fa il primo turno delle elezioni legislative in Francia. Pochi giorni fa elezioni nazionali nel Regno Unito. Oggi secondo turno delle elezioni in Francia. Non ricordo vi sia stata, in Europa, una settimana più densa di appuntamenti elettorali
importanti.

Se le previsioni degli istituti di sondaggio francesi si riveleranno azzeccate, domani diremo che il Fronte Repubblicano ha fermato Marine Le Pen, così come oggi diciamo che Keir Starmer – leader dei laburisti – ha posto fine al lungo primato dei Conservatori nel Regno Unito, un primato durato ben 14 anni. L’aritmetica dei seggi dice che i laburisti hanno una maggioranza schiacciante in
Parlamento, mentre – grazie alla desistenza – il Rassemblement National potrebbe non avere abbastanza seggi per governare. Sul piano politico è tutto, perché i seggi sono l’essenziale.

Ma se quel che ci chiediamo non è chi governerà, bensì dove vadano le opinioni pubbliche dei due paesi, il quadro si fa molto meno nitido. Con i sistemi maggioritari, è normale che la distribuzione dei seggi in Parlamento e le sue variazioni nel tempo
non riflettano i movimenti profondi dell’elettorato. E talora li contraddicano. I recenti casi della Francia e del Regno Unito non fanno eccezione.

In Francia il dato di opinione cruciale è che il consenso a Marine Le Pen è al massimo storico: ai ballottaggi per le presidenziali era al 33.9% nel 2017, salito al 41.5% nel 2022. E fra il 1° turno delle Legislative 2022 e il 1° turno delle Legislative 2024 il suo consenso in termini di voti è ulteriormente salito (quasi un raddoppio in due anni). In breve: quale che sia il risultato dei ballottaggi odierni nei collegi uninominali, è verosimile che il consenso a Marine Le Pen si aggiri intorno al 50%.

Ancora più intricata la situazione nel Regno Unito. Qui il “trionfo” di Keir Starmer in termini di seggi coesiste con una modestissima avanzata in termini di voti. Nel 2019 Corbyn, il leder laburista di allora, aveva perso le elezioni con il 32.1%, oggi il suo successore le ha stravinte con il 33.7%, nemmeno 2 punti percentuali in più. In sostanza: i laburisti, con 1/3 dei voti, governeranno con 2/3 dei seggi. A ulteriore riprova del fatto che, con un sistema elettorale maggioritario, può accadere che voti e
seggi raccontino due storie profondamente diverse. Si potrebbe osservare che, quantomeno, il voto inglese segnala un netto spostamento a sinistra dell’opinione pubblica, visto che i Conservatori quasi dimezzano i loro consensi (dal 43.6% del 2019 al 23.7% attuale). Ma anche questa conclusione andrebbe ponderata e qualificata. Intanto perché il deflusso di voti dal partito Conservatore ha premiato innanzitutto il partito anti-europeo di Farage (Reform UK), che è ancora più a destra. E poi per una
ragione più fondamentale: quello che ha vinto le elezioni nel Regno Unito è un partito laburista molto particolare, diverso da quello estremista di Corbyn, ma anche (almeno in parte) da quello di Tony Blair, stella polare dei riformisti e dei teorici
della Terza via.

Il partito che Keir Starmer ha pazientemente forgiato nel corso degli ultimi anni si riallaccia, semmai, al cosiddetto Blue Labour, una componente del Labour Party nata una quindicina di anni fa con il proposito di recuperare il consenso dei “colletti blu”, e di farlo anche con idee spesso considerate conservatrici, come famiglia, fede, vita di comunità e, soprattutto, limiti all’immigrazione irregolare. E infatti, nel programma di Starmer, il controllo dell’immigrazione illegale occupa un posto tutt’altro che marginale. Il rifiuto della soluzione-Sunak (deportare i migranti illegali in Ruanda) non si accompagna a benevole proposte di apertura dei confini o di rafforzamento dell’accoglienza, ma punta semmai all’introduzione di misure radicali di contrasto degli arrivi illegali, come il conferimento alle forze dell’ordine di super-poteri, analoghi a quelli previsti nella lotta al terrorismo. Detto più esplicitamente: la critica alle politiche dei Conservatori in materia migratoria non è di principio, quanto di efficacia: siete stati 14 anni al governo, e il problema dell’immigrazione siete solo riusciti ad aggravarlo. Ecco perché la lettura dei dati britannici non è semplice.

Hanno qualche ragione i riformisti a compiacersi dell’abbandono del massimalismo di Corbyn, e del parziale ritorno alle idee di Tony Blair. Ma questa è solo una faccia della medaglia. L’altra faccia è che i laburisti hanno raccolto solo 1/3 dei consensi, e lo hanno fatto anche grazie a idee che siamo abituati a considerare ben poco progressiste.

[articolo uscito sul “Messaggero” il 7 luglio 2024]




Europee, la vere incognita

Fra pochi giorni si vota alle Europee, e ogni partito ha la sua linea Maginot, ovvero una soglia sotto la quale non può scendere senza sentirsi sconfitto. Per Fratelli d’Italia la soglia è il 26%, ossia il risultato delle elezioni politiche. Per il Pd la soglia
psicologica del 20%: al di sotto di quella cifra la leadership di Elly Schlein potrebbe scricchiolare. Per i Cinque Stelle la soglia dovrebbe situarsi intorno al 15%, tenuto conto che quello europeo non è il loro terreno di gioco preferito. Per Forza Italia la
soglia è il 10%, dopo le ripetuti promesse di Tajani di superarla. Per la Lega la soglia è non essere scavalcata da Forza Italia, e che il Generale Vannacci abbia un buon risultato.
E per tutti gli altri? Per tutte le altre liste, la soglia è il 4%, al di sotto della quale non si elegge nessun parlamentare europeo.      Ma quante sono le liste che, con un briciolo di buona sorte, potrebbero aspirare al 4%?

Sono almeno 3: Alleanza Verdi-Sinistra (che candida anche Ilaria Salis); Azione, capeggiata da Carlo Calenda; Stati Uniti di Europa, con Emma Bonino e Renzi. A queste, volendo e sperando, se ne possono aggiungere altre 2, ovvero la lista Pace
Terra Dignità, con Michele Santoro, e la lista Libertà, con Cateno De Luca e Laura Castelli (ex Cinquestelle).
Il risultato di queste 5 liste minori è ovviamente cruciale per loro stesse, dal momento che tutte rischiano di eleggere zero parlamentari, ma lo è anche per i 5 partiti maggiori, perché il numero di seggi a disposizione di questi ultimi potrebbe differire
sensibilmente a seconda del numero di liste minori che passeranno la soglia e del numero di parlamentari che il gioco delle circoscrizioni e delle preferenze consentirà a ciascuna di portare a casa.

Secondo alcune simulazioni, le liste minori potrebbero essere costrette ad accontentarsi di appena 2 seggi, secondo altre ne potrebbero conquistare addirittura 12. Poiché il numero totale dei seggi riservati all’Italia è costante, e pari a 76, i seggi per i 5 partiti maggiori potrebbero variare fra 64 e 74. Insomma, alcune possibili vittorie o sconfitte dei grandi potrebbero anche essere nient’altro che le conseguenze meccaniche delle alterne fortune dei piccoli.

Ma vediamo come potrebbero andare le cose per questi ultimi. Da un punto di vista puramente aritmetico, assumendo che i voti di questo bacino di elettori siano dell’ordine del 16% (come risulta dai sondaggi di qualche settimana fa), è possibile che nessuna lista minore raggiunga il quorum: se tutte prendessero poco più del 3%, nessuna passerebbe.                                                         Sempre da un punto di vista aritmetico, potrebbe anche succedere che il 4% venisse superato da 4 liste, tutte appena al di sopra del limite (4.1% x 4 =16.4%). Entrambe queste ipotesi (0 e 4 liste sopra la soglia) sono estremamente improbabili, quindi possiamo tranquillamente dire che quasi certamente il numero di liste che supereranno la soglia sarà compreso fra 1 e 3.
Ma quante e quali liste potrebbero farcela?

La mia idea (ma posso benissimo sbagliare) è che la presenza della Salis possa creare problemi – cioè sottrarre voti – alle liste affini, in particolare a Pace Terra Dignità, ma forse anche alla lista libertaria-europeista di Emma Bonino, ossia a Stati Uniti di
Europa, e in misura minore a quella di Carlo Calenda, che ha un profilo più liberal-tecnocratico.
Dovessi scommettere, direi che – realisticamente – le liste minori che passano la soglia dovrebbero essere o 2 o 3. Difficile che non ce la faccia il trio Salis-Bonelli-Fratoianni, possibile – ma non certo – è che una delle due liste europeiste (Azione o
Stati Uniti d’Europa) resti fuori per un pelo.

Resta il fatto che, per giudicare i guadagni o le perdite di seggi dei partiti maggiori sarà bene non tenere d’occhio solo quanti seggi avevano 5 anni fa, ma anche quanti erano allora e quanti sono oggi i seggi conquistati dalle liste minori. Allora il bottino
dei partiti maggiori fu notevole, perché le liste minori non conquistarono alcun seggio, e a un certo punto ai seggi conquistati sul campo si aggiunsero i seggi piovuti dal cielo per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Oggi tutto fa pensare che
le liste minori qualche seggio lo conquisteranno, assottigliando il bottino delle 5 liste maggiori.

Alla fine, non mi stupirei che Fratelli d’Italia fosse l’unico partito a guadagnare seggi.

[Articolo uscito sulla Ragione il 4 giugno 2024]