Fortezza Europa?
È dei giorni scorsi la notizia che 8 paesi europei, fra cui l’Italia, hanno più o meno completamente sospeso la convenzione di Schengen, che dal 1990 permette la libera circolazione all’interno dell’Europa. Da sabato, in particolare, Giorgia Meloni ha disposto di ripristinare i controlli alle numerose località di frontiera con la Slovenia, a partire dal valico Fernetti, uno dei maggiori punti di transito tra l’Europa occidentale e quella centro-orientale.
La misura è stata motivata con la necessità di filtrare gli ingressi in chiave anti-terrorismo, ma il suo significato – a mio parere – finirà per andare molto al di là delle ragioni contingenti che l’hanno motivata. Essa ha infatti finito per mettere in luce due aspetti per lo più trascurati del problema migratorio.
Il primo è che gli ingressi irregolari in Italia non avvengono solo via mare, tramite i barconi, ma anche via terra. Il secondo è che, finora – ossia vigente la convenzione di Schengen – gli ingressi in Europa via terra sono sempre stati ancora meno controllabili di quelli via mare. Tali e tanti, infatti, sono i punti di frontiera non controllabili (boschi, valichi, pianure poco abitate), che risulta impossibile intercettare e registrare una frazione cospicua di quanti entrano in Europa alla spicciolata da un confine terrestre. Un problema acuito dal fatto che diversi paesi europei, in particolare gli ultimi arrivati Slovenia e Croazia, non sembrano minimamente intenzionati né a controllare gli ingressi dai Balcani né le uscite verso l’Italia. Insomma, se fermare le partenze via mare dall’Africa è difficile, anche con l’impegno dell’Europa contro scafisti e trafficanti, fermare quelle dai Balcani e dall’Est Europa è praticamente impossibile, almeno con le norme attuali.
Prendere atto di questa impossibilità è importante perché rende più chiaro il fatto che, in materia di politiche migratorie, determinate alternative o non esistono, o hanno prezzi elevatissimi. L’alternativa che non esiste è quella di fermare gli ingressi irregolari in Europa bloccando le partenze dall’Africa: anche azzerandole, resterebbe un enorme flusso da terra, destinato a ingrossarsi man mano che avesse successo la politica di contrasto agli sbarchi dal mare, in particolare verso Italia, Grecia e Malta. L’alternativa che esiste ma ha un prezzo (economico, ma anche morale) elevatissimo è la via della “fortezza Europa”: costruire muri lungo tutti i confini esterni, come da decenni, chiunque – repubblicano o democratico – fosse il presidente, hanno provato a fare gli Stati Uniti sul confine con il Messico.
Questo significa che il problema del controllo dei flussi migratori è irrisolvibile? Probabilmente sì, con le regole attuali. Non a caso nessuna forza politica ha un piano che sia al tempo stesso realistico e compatibile con il diritto vigente a livello nazionale, europeo, internazionale.
Così stando le cose, le strade aperte sono solo due. Proclamare, come fa la sinistra, che il problema non esiste, che abbiamo bisogno dei migranti, e che le frontiere aperte, il melting pot fra popolazioni europee ed extra-europee, non sono un problema ma, semmai, un’occasione di arricchimento della nostra civiltà. Oppure prendere atto, come una parte della destra sta provando a fare, che se vogliamo essere noi a decidere chi può entrare in Europa (dottrina von der Leyen), non possiamo non rendere molto più severe le regole che ci siamo dati fin qui. Regole che ci inorgogliscono per la nostra apertura, il nostro garantismo, la nostra umanità, ma – inevitabilmente – ci sottraggono il diritto di decidere chi può entrare in Europa e chi no. Perché sono le nostre regole, non certo le Ong, il vero pull-factor che – nonostante pericoli e difficoltà – rende così attrattivo il viaggio verso l’Europa.