A chi interessa la sorte di Satnam Singh?
In primo pianoPoliticaSocietàPossiamo starne certi, nel giro di pochi giorni della sorte di Satnam Singh, ucciso dallo spietato egoismo del suo datore di lavoro, non si parlerà più. Eppure dovremmo renderci conto che quella del lavoro sottopagato e iper-sfruttato nei campi di raccolta
è solo la punta di un iceberg. Qualche anno fa, cercando di descrivere la struttura della “società signorile di massa”, avevo anche provato a contarli, usando la (scarsa) informazione statistica disponibile. Il risultato, stimato per difetto, fu 3.5 milioni di
persone, circa 1 occupato su 7. Era il 2019, il governo giallo-rosso aveva da poco preso il posto di quello giallo-verde.
Questa infrastruttura para-schiavistica non è un mero retaggio del passato, un pezzo della società italiana non ancora “incluso”. Tutto al contrario, è un arcipelago di comparti produttivi, spesso irregolari o illegali, essenziali al funzionamento della nostra società per il resto relativamente benestante quando non opulenta. La cosa sconcertante è che nessuno se ne occupa davvero, salvo protestare, indignarsi, promettere interventi quando un fatto di cronaca estremo costringe a vedere quel che
non si vuol vedere. Ma perché nessuno vuole vedere?
Le ragioni sono tante, e non sono sempre le stesse nei vari comparti. Ma alcuni fattori sono comuni, o preponderanti.
Il più importante, a mio parere, è che solo una parte della infrastruttura paraschiavistica è rimovibile senza chiudere aziende e distruggere attività economiche. Questo, in particolare, è il dramma del comparto agricolo: i prezzi di vendita dei prodotti agricoli, anche a causa delle scelte della PAC (politica agricola comune), non sono in grado di coprire adeguatamente il costo degli input fondamentali (mangimi,sementi, fertilizzanti, fitofarmaci, carburanti agricoli). Di qui una pressione al ribasso sui salari e il largo ricorso al lavoro stagionale in nero, che non si limita a tenere basse le paghe orarie ma permette enormi risparmi sul versante previdenziale e dei diritti dei lavoratori (ferie, malattia, permessi, tredicesima, liquidazione).
Un altro fattore rilevante sono le scelte dei sindacati e dei politici, sotto qualsiasi governo. I primi, comprensibilmente, trovano più facile e conveniente occuparsi di assistenza fiscale, pensionati, operai e impiegati delle imprese grandi e medie (e sconcerta che, in occasione del dramma di Satnam Singh, siano riusciti a indire manifestazioni separate e litigare ferocemente fra loro). Quanto ai politici, per forma mentis e anche qui per convenienza, preferiscono credere che la loro missione sia approvare nuove leggi sulla carta giustissime, piuttosto che garantire l’applicazione delle leggi esistenti attraverso gli strumenti ordinari (ispettorati, magistratura, forze dell’ordine). Forse, prima di chiedersi quali nuove norme introdurre, dovrebbero cercare di capire come mai quelle in vigore restano sistematicamente inapplicate, e questo nonostante quasi sempre le situazioni di iper-sfruttamento e illegalità siano visibili ad occhio nudo.
Sindacati, politici, apparati pubblici, magistrati, forze dell’ordine, nessuno può chiamarsi fuori. L’elenco delle responsabilità, però, non sarebbe completo se non menzionassimo anche noi stessi: società civile, opinione pubblica, mass media. È un fatto che, negli ultimi decenni, la cultura dei diritti ha progressivamente relegato ai margini i diritti sociali classici (a partire da quelli nella sfera lavorativa), concentrando l’attenzione sui diritti civili e di specifiche minoranze degne di protezione, tutela, rispetto. Il concetto di inclusione, che in origine indicava l’imperativo di tutelare i “non garantiti” del mondo del lavoro in quella che stava
diventando una “società dei due terzi” (felice espressione dovuta a Peter Glotz), è stato sempre più declinato in una chiave individualistica, come se i problemi centrali del nostro tempo fossero diventati quelli del riconoscimento, anziché quelli classici
dello sfruttamento capitalistico.
Lo so, conosco l’obiezione: diritti civili e diritti sociali possono avanzare insieme. Ed è vero, almeno in parte. Ma il fatto è che la soluzione dei grandi problemi dipende anche da quanta attenzione, quanta vigilanza, quanto interesse cittadini e mass media
riservano a determinati drammi sociali piuttosto che ad altri. E il nostro più grande dramma, quello di una infrastruttura para-schiavistica gigantesca, che pesa su milioni di lavoratori e sulle loro famiglie, di attenzione ne ha ricevuta sempre di meno. Se a
questo dramma avessimo riservato anche solo un decimo dell’attenzione che siamo abituati a riservare ai diritti delle minoranze sessuali e alle diatribe sul linguaggio politicamente corretto, forse non saremmo al punto in cui siamo.
[articolo uscito sul Messaggero il 30 giugno 2024]