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Verso una sinistra comunitaria?

4 Dicembre 2024 - di Luca Ricolfi

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Qualche giorno fa, sul quotidiano “La Stampa”, è uscita una intervista di Michael Sandel, uno dei più noti filosofi americani, probabilmente oggi il principale rappresentante della corrente dei “comunitari”, ostili all’individualismo e assai critici verso la cultura dei diritti, tipica dei partiti progressisti. Per i comunitari il legame sociale non può che poggiare sulla comunità e sulla tradizione, e la patria non è un concetto vuoto, superato dalla unificazione del mondo.

Questa linea di pensiero, da noi, trova una certa eco quasi esclusivamente a destra, sia a livello intellettuale (ad esempio con Marcelo Veneziani), sia a livello politico (soprattutto con Fratelli d’Italia). La sinistra, tendenzialmente, è globalista, cosmopolita, individualista, più attenta ai processi di emancipazione individuali che alle radici comunitarie dell’identità.

La cosa interessante dell’intervista di Sandel è che, anziché rivolgersi alla destra, si rivolge alla sinistra (tramortita dalla vittoria di Trump), auspicando un recupero del concetto di patria, l’abbandono della meritocrazia, una postura critica verso la globalizzazione, un ritorno ai ceti popolari, fin qui dimenticati a favore dell’élite e dei ceti istruiti. In breve: Sandel sogna una sinistra comunitaria, che scalzi la sinistra liberal fin qui egemone, negli Stati Uniti come in Europa.

È un pensiero isolato?

Direi proprio di no. La realtà è che la sinistra è in movimento, non solo in America ma anche da noi. In Danimarca già da qualche anno i socialdemocratici hanno imboccato una linea di arroccamento comunitario nei confronti dell’immigrazione, una linea che ha permesso alla premier Mette Frederiksen di restare al potere. In Germania da un anno è nata una nuova forza politica di sinistra, la BSW di Sahra Wagenknecht, ostile all’immigrazione, agli eccessi della cultura dei diritti, al primato delle istanze europee su quelle nazionali: se il socialdemocratico Scholz vuole restare cancelliere, non può evitare l’alleanza con la sinistra comunitaria di Wagenknecht.

E da noi?

Da noi i grandi media fanno in modo di non parlarne, ma la tentazione di rifondare la sinistra in chiave comunitaria sta facendo capolino. Non che sia la prima volta, perché anche in passato i tentativi comunitari e anti-mondialisti non sono mancati: a
livello intellettuale, con il filosofo Costantino Preve (il maestro di Diego Fusaro); a livello partitico con il Partito Comunista di Marco Rizzo, e le sue varie reincarnazioni sovraniste; a livello politico-culturale, con l’associazione Patria e Costituzione (PeC),
fondata dall’economista (ed ex PD) Stefano Fassina.

Solo ora, però, queste tentazioni sembrano aver trovato un canale di espressione non periferico: il nuovo movimento Cinque Stelle, che sta prendendo forma in queste settimane. Alla Assemblea costituente del nuovo soggetto, l’unica forza politica
invitata è stata la BSW, che con la sua leader – Sahra Wagenknecht – ha avuto modo di esporre la linea del neo-nato partito tedesco: sovranista, popolare, anti-migranti, scettico sulla guerra in Ucraina.

Conte si è ben guardato dal sottoscrivere in toto il discorso di Wagenknecht, ma il messaggio è stato chiaro lo stesso: il nuovo movimento Cinque Stelle dialoga con la BSW, una formazione che – culturalmente – è agli antipodi rispetto al PD. A prenderne atto in modo lucido è stato il solo Stefano Fassina, che tuttavia – per esprimersi – si è dovuto rifugiare su due quotidiani eretici, il Fatto Quotidiano e la Verità.

Ci sono cose, evidentemente, delle quali sulla grande stampa si preferisce non parlare e dibattere. Un vero peccato…

[articolo trasmesso alla Ragione il 1° dicembre 2024]

Elezioni in Brandeburgo – Nelle mani di Sahra

25 Settembre 2024 - di Luca Ricolfi

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Dopo la Sassonia e la Turingia, anche il Brandeburgo (la ciambella di territorio intorno a Berlino, nella Germania dell’est) è andata al voto. I risultati sono diversi da quelli previsti, perché l’Spd del cancelliere Scholz – ininterrottamente al potere in
Brandeburgo dall’unificazione tedesca – non è andato incontro a una rovinosa sconfitta, anzi ha aumentato sensibilmente i consensi (+4,7%). Se fosse stato sorpassato dal partito di estrema destra AfD (Alternative für Deutschland), e fosse stato costretto a lasciare il potere in Brandeburgo, con ogni probabilità avremmo assistito a una crisi politica a livello federale, con richiesta di elezioni anticipate e possibile rinuncia di Scholz a ripresentarsi l’anno prossimo come candidato alla cancelleria.

Da questo punto di vista, i partiti di governo della “coalizione semaforo” nazionale (Spd, Verdi, Liberali) hanno ogni motivo per tirare un respiro di sollievo: lo spettro di un successo dell’AfD, alimentato da alcuni sondaggi che consideravano possibile il
sorpasso sulla Spd, ha convinto molti potenziali astensionisti a recarsi al voto, in un clima che in parte ricorda la mobilitazione anti-Marine Le Pen di qualche mese fa in Francia: ancora una volta, il “cordone sanitario” dei partiti democratici sembra aver
funzionato.

Ho detto “sembra” perché il racconto fatto fin qui non è completo. Anzi, per certi versi è fuorviante.

Non è completo perché manca il dato del numero di seggi. In Brandeburgo il numero totale di seggi è 88, quindi ce ne vogliono almeno 44+1=45 per governare. Ma la coalizione di unità nazionale (Spd+Cdu+Verdi) fin qui al potere di seggi ne avrà solo
44, mentre prima ne aveva 50 (i 7 seggi in più ottenuti dai vittoriosi socialdemocratici sono stati più che compensati dai 3 seggi persi dai Cristiano democratici e dai 10 seggi persi dai Verdi, completamente esclusi dal nuovo parlamento locale). Morale:
se vuole restare al potere, che detiene da ben 11 anni, il leader socialdemocratico Dietmar Woidke dovrà venire a patti con Sahra Wagenknecht, leader di un partito che è la vera novità dell’ultimo anno in Germania. La BSW (Bündnis Sahra Wagenknecht) è un partito estremista anti-immigrati e anti-guerra in Ucraina, che ha ottenuto oltre il 6% alle elezioni europee, il 13.5% in Brandeburgo e – secondo alcuni sondaggi – potrebbe tranquillamente aspirare al 10% alle prossime elezioni generali 2 tedesche, previste per il 2025. Insomma, il vincitore Dietmar è nelle mani di Sahra e del suo nuovo partito.

Ma il racconto ottimistico dei vertici Spd oltreché incompleto è pure fuorviante, in quanto nasconde le tendenze in atto in Brandeburgo, e verosimilmente anche a livello nazionale. Possiamo riassumerle così: in Brandeburgo i quattro partiti “democratici” di sinistra (Spd), di destra (Cdu-Csu) e di centro (Liberali e Verdi) raccoglievano il 70% dei consensi 25 anni fa, erano scesi al 62% 5 anni fa, sono crollati al 48% oggi. Ovvero: nemmeno mettendosi tutti insieme i partiti democratici, europeisti e atlantisti, riescono a raggiungere il 50% dei consensi.

E a livello nazionale?

Se guardiamo al risultato europeo di qualche mese fa le cose sono un po’ migliori che in Brandeburgo oggi, perché tutti i partiti democratici messi insieme raccolgono ancora il 61% dei consensi. Il problema, però, è che né la coalizione di centro-sinistra
attualmente al governo, né una eventuale coalizione che aspirasse a subentrarle (con la Cdu-Csu al posto della Spd), avrebbero i numeri per governare: la coalizione-semaforo attualmente al governo ha ottenuto il 31% dei consensi alle Europee, l’ipotetica coalizione di centro-destra il 47% (Verdi inclusi!), meno della maggioranza necessaria per formare un governo.

Come se ne esce?

Ferma restando la Linea Maginot contro Alternative für Deutschland (AfD), restano solo due possibilità: un governo di unità nazionale (o Grosse Koalition, o “coalizione Kenya”), che esclude solo le estreme (Afd, Linke, Bsw), oppure l’alleanza con la
nuova formazione di Sahra Wagenknecht (BSW), che essendo “sia di destra sia di sinistra”, ha la possibilità di allearsi sia con la Spd (sulle politiche sociali) sia con la Cdu (sul contrasto all’immigrazione).

Insomma, ancora una volta nelle mani di Sahra.

[articolo uscito sulla Ragione il 24 settembre 2024]

Le tre ragazze terribili e il tramonto del cordone sanitario

9 Settembre 2024 - di Luca Ricolfi

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È un vero peccato che la dott.ssa Boccia abbia scelto proprio questi giorni per attirare su di sé, e sulla sua vicenda con il ministro Sangiuliano, la vigile attenzione del sistema dei media. Avesse scelto un periodo più insignificante, forse oggi non ci sfuggirebbe quel che proprio in questi giorni sta accadendo nel cuore delle nostre democrazie, e segnatamente nei due paesi leader dell’Unione europea, ossia in Francia e Germania.

Volendo riassumere, la metterei così: in questi giorni si sta celebrando, nei due paesi più importanti, il funerale del “cordone sanitario”, ossia dell’idea che verso i partiti estremisti, e in particolare verso l’estremismo di destra erede del fascismo e del
nazismo, le forze politiche “democratiche” dovessero alzare una barriera invalicabile, capace di tenere i barbari lontani dal potere.

È da anni che la barriera scricchiola, ma è proprio in questi giorni che nel muro democratico si sono aperte le due brecce fondamentali. La prima è in Francia, dove il triplo salto mortale di Macron – scioglimento del Parlamento, successo di Marine Le
Pen al primo turno, vittoria del “cordone sanitario” repubblicano ai ballottaggi del secondo turno – sta per dare vita a un governo conservatore, guidato dal gaullista Michel Barnier e tenuto in piedi dai voti del Rassemblement National di Marine Le Pen.

La seconda breccia, assai meno visibile della prima, si è aperta in Germania una settimana fa, quando in Turingia e in Sassonia (due länder della Germania dell’Est) i quattro partiti tradizionali, ossia popolari, socialdemocratici, verdi e liberali, si sono
trovati – anche messi tutti insieme – a raccogliere meno del 50% dei voti. Ora la maggior parte dei voti è in mano ai due partiti estremisti di sinistra (Linke) e di destra (AfD, ossia Alternative für Deutschland), da sempre tenuti fuori dei giochi dal cordone sanitario, nonché a un terzo partito nuovo di zecca (BSW, o Alleanza Sahra Wagenknecht), che aveva già avuto una buona affermazione due mesi fa alle Europee.

In breve: il cordone sanitario è saltato sia in Francia sia in Germania, e a farlo saltare sono state tre ragazze o ex ragazze terribili, le “estremiste” Marine Le Pen, Alice Weidel (presidente AfD), e Sahra Wagenknecht (fondatrice di BSW). Se vorranno restare al potere, alle forze tradizionali potrebbe non bastare unirsi fra loro, e potrebbe risultare necessario aprire alle forze fin qui tenute fuori della cittadella del potere.

Non stupisce che, se questi sono i risultati delle strategie di esclusione, a qualcuno sorga il dubbio: siamo sicuri che siano state strategie lungimiranti? siamo sicuri che non sia stato proprio il cordone sanitario ad alimentare l’estremismo, e a favorire la
replicazione del virus nazi-fascista? Sono domande legittime, anzi doverose. Ma se ne potrebbe formulare una ancora più radicale: siamo sicuri di aver bene interpretato la natura del virus da cui ci volevamo proteggere?

È possibile, in altre parole, che le forze democratiche abbiano mal compreso il significato profondo della “marea nera” di cui, da diversi decenni, si lamenta l’ascesa. Se andiamo a vedere qual è il carburante che sostiene l’avanzata dei partiti estremisti è difficile non accorgersi che, al centro di tutto, c’è la preoccupazione per l’immigrazione irregolare, e in subordine lo scetticismo per le politiche europee in materia di agricoltura, ecologia, e ultimamente pure riguardo alla guerra in Ucraina. Che bollare tutto questo come neo-nazismo, razzismo o estremismo di destra sia riduttivo, e alla fine pericolosamente fuorviante, lo testimonia non solo il radicamento dei partiti estremisti nei ceti popolari, ma il modo in cui i medesimi ceti popolari percepiscono sé stessi. In Germania, ad esempio, le serie storiche dei sondaggi mostrano che nell’ultimo ventennio alla costante ascesa della Afd, ormai prossima a diventare il primo partito tedesco, si accompagna una formidabile diminuzione – sia nel länder dell’ovest che in quelli dell’est – degli elettori che si considerano di estrema destra: erano circa il 10% una ventina di anni fa, sono meno del 3% oggi, e comunque dai sondaggi più recenti risultano più numerosi nelle regioni dell’Ovest (dove la AfD è debole), e meno numerosi in quelle dell’est (dove la AfD è forte).

Ma c’è anche un altro indizio, forse ancora più significativo, che smentisce l’equazione che equipara ostilità agli immigrati e razzismo neo-nazista: la clamorosa affermazione del partito BSW di Sahra Wagenknecht, che si colloca nettamente a sinistra ma non per questo rinuncia a porre con forza il problema dell’immigrazione irregolare, suscitando lo sconcerto degli osservatori più convenzionali, cui pare impossibile che un partito di sinistra possa essere ostile agli immigrati, o che un partito ostile agli immigrati possa non essere neo-nazista.

Il caso tedesco e il caso francese stanno lì a dimostrare che, invece, entrambe le cose sono perfettamente possibili. In Germania, la sinistra sta scoprendo a sue spese che se vuole rimanere al governo non può non fare i conti con la sinistra anti-immigrati di
Sahra Wagenknecht. In Francia, Macron sta prendendo atto che, se vuole dar vita a un nuovo esecutivo, non può continuare a considerare neo-fascisti gli elettori di Marine Le Pen. In entrambi i paesi, i partiti (autoproclamati) democratici si stanno
rendendo conto che – come ha denunciato Alice Weidel – ad essere “profondamente antidemocratico” è il cordone sanitario con cui, in tutti questi anni, hanno escluso forze politiche che rappresentano ormai un elettore su tre.

[articolo uscito sul Messaggero l’8 settembre 2024]

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