Rubrica A4 – Crisi della democrazia e retoriche moraliste

22 Luglio 2024 - di Dino Cofrancesco

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Si sprecano le analisi—o meglio sarebbe dire le lamentationes—sulla crisi della democrazia ma raramente ne vengono individuate le cause reali. La mentalità illuministica, ormai divenuta per gli europei e gli occidentali, una seconda natura–specie dopo la sconfitta del totalitarismo nazifascista che si richiamava al culto irrazionale delle radici–non riesce a darsi pace dinanzi allo spettacolo di antichi paesi civili e democratici lacerati da incompatibili visioni del mondo, della politica e dell’etica. L’intolleranza, la violenza non solo verbale, la trasformazione sistematica dell’avversario in nemico, la gogna, non solo mediatica ,per chi non la pensa come noi, vengono ascritte a una malattia morale che non si sa bene cosa sia ma che si pensa di curare recuperando il rispetto dell’altro, la buona vocazione, la disponibilità al dialogo. Tutto ciò fa pensare a certi vecchi articoli del Reader’s Digest in cui si consigliava ai depressi di pensare che la vita è bella e il mondo pieno di attrattive.

In realtà, l’Occidente ha contratto la quartana in seguito allo svuotamento simbolico e ideale della comunità politica—di cui lo stato nazionale è stato l’ultima incarnazione istituzionale. Se non ci si sente più parte di una ‘grande famiglia’, gli interessi e i valori che contrappongono individui e classi sociali inducono a chiedersi: ma perché debbo convivere con chi sente, pensa diversamente da noi e si batte per cause che non condividiamo? E’ solo all’interno della dimensione Gemeinschaft (famiglia, patria) che il ‘legame di parentela’ può diventare più forte delle differenti (e spesso non condivise) scelte di vita.
Beninteso, nell’idea di nazione non sono iscritte né la libertà, né la democrazia, né il rispetto dei diritti umani—il nazionalismo sarà pure la pecora nera ma appartiene allo stesso genus della nazione. I suoi critici implacabili hanno ragione nel farlo rilevare anche se poi , come gli apologeti, restano sul piano dei giudizi di valore (per loro è un male ciò che per gli altri è un bene). La verità è che la nazione è una risorsa oggettiva come l’ambiente, l’economia, l’alfabetizzazione, l’apparato militare etc.:è una sorta di conto in banca al quale possono attingere i governi quando dalla società civile debbono estrarre troppe risorse.

Sentirsi parte di un tutto ed essere pronti a sacrificargli tempo, denaro e persino la vita significa mettere a disposizione dei governi—per quelli democratici e liberali come per gli autoritari e dittatoriali— una risorsa incalcolabile. È un’arma spirituale che, allo stesso modo delle armi materiali in dotazione agli eserciti, può impiegarsi a qualsiasi scopo. I soldati giapponesi ,che continuarono a combattere senza sapere che la guerra era finita, appartengono a un’altra species rispetto all’esercito di Franceschiello, pronto a squagliarsi davanti a un migliaio di camice rosse. Gli abiti di obbedienza e di fedeltà che ci ha mostrato il grande film di Clint Eastwood, Lettere da Iwo Jima, resero implacabile la macchina da guerra del Mikado ma, nel dopoguerra,
(proprio come in Germania) servirono a ricostruire un paese devastato e a farne una delle potenze industriali del pianeta. Come tutte le armi, la risorsa nazione può essere impiegata nel bene come nel male ma pensare che il suo tramonto renda il mondo migliore è una pia illusione. Il suo tramonto renderà solo meno governabili gli Stati dai quali dipendono i destini del pianeta.

Forse sarebbe il caso di meditare sulla lezione del più grande scienziato politico del suo tempo, Samuel P. Huntington, sulla perdita del ‘credo americano’.