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A proposito di Renzi e campo largo – Sinistra e Quarta Via

12 Agosto 2024 - di Luca Ricolfi

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Da quella benedetta partita di football in cui Matteo Renzi e Elly Schlein hanno giocato nella medesima squadra, si torna a parlare di un ritorno di Renzi nella casa del centro-sinistra, magari già alle prossime elezioni locali (a partire da quelle della Regione Liguria, rese necessarie dalle dimissioni di Toti).

La ratio del riavvicinamento è fin troppo ovvia: dopo lo smacco alle Europee, Renzi sa benissimo che confluire in uno dei due schieramenti è l’unica carta di cui dispone, se vuole sopravvivere politicamente.

Può darsi che, alla fine, tutto si riduca a qualche dichiarazione di facciata, che permetta a Renzi non meno che a Schlein di evitare imbarazzi e marce indietro esplicite rispetto alle prese di posizione del passato, a partire dal “pomo della discordia”, quel Jobs Act che Renzi ancora difende e Schlein non ha mai smesso di esecrare.

Ma potrebbe anche darsi – e sarebbe auspicabile – che il ritorno all’ovile del volubile ex segretario del Pd apra finalmente una discussione vera dentro il fronte progressista, da troppi anni incerto fra vocazione riformista e spinte massimaliste. Perché è vero che su alcune, poche cose (salario minimo legale, più soldi alla sanità) l’accordo sarà facilissimo, ma su tutto il resto i nodi devono ancora essere sciolti.

Vogliamo ricordarne alcuni?

Sulla politica economica, i progetti di iper-tassazione dei ricchi e redistribuzione del reddito confliggono con la linea di detassazione delle imprese e flessibilizzazione del mercato del lavoro.                                                                                                                 Sul versante delle politiche sociali, l’assistenzialismo dei Cinque Stelle fa a pugni con le politiche attive per l’occupazione. Riguardo ai diritti LGBT+ non tutti, a sinistra, condividono le posizioni più radicali in tema di utero in affitto, autoidentificazione di genere (self-id), inclusione di transgender e intersessuali nelle competizioni sportive femminili.                                                         In materia di giustizia, il garantismo liberal-riformista è incompatibile con il giustizialismo fin qui egemone a sinistra, non solo fra i Cinque Stelle.

E poi, naturalmente, c’è il tema dei temi, la patata bollente delle politiche migratorie. Qui le cose sono complicate. Le posizioni pro-accoglienza di Elly Schlein paiono vicinissime a quelle passate di Renzi (uno degli artefici dell’operazione di salvataggio
Mare Nostrum), ma in compenso stridono con quelle dei Cinque Stelle, da sempre prudenti in tema di migrazioni irregolari.

Su tutte queste e altre cruciali questioni, non solo Renzi, ma tutte le forze del futuro campo largo sono chiamate a discutere, a prendere posizione, e a trovare un accordo comprensibile. Perché può anche darsi che, per vincere alle prossime elezioni
politiche, al centro-sinistra bastino gli errori del governo di centro-destra e la propensione degli italiani a bocciare i governi uscenti. Ma potrebbe anche succedere che il bilancio di cinque anni di governo Meloni non sia negativo e che, per convincere gli italiani a cambiare governo, occorra anche avere un programma chiaro e credibile.

Ma quale programma?

A giudicare da alcuni recenti successi della sinistra in Europa – penso in particolare ai casi del Regno Unito e della Danimarca – sembra che la risposta possa essere: né con i massimalisti alla Jeremy Corbyn e alla Bernie Sanders, idoli dell’estrema sinistra, né con i riformisti-liberisti alla Tony Blair, tanto cari a Renzi e alla sinistra riformista. La sinistra che vince in Europa (e a novembre, forse, potrebbe farcela pure negli Stati Uniti), è una sinistra molto meno convinta delle virtù della globalizzazione, e molto più consapevole del problema migratorio. In breve, una sinistra più vicina alla sensibilità dei ceti popolari, che chiedono protezione in materia economico-sociale e sicurezza sui versanti della criminalità e dell’immigrazione irregolare. Una sorta di Quarta Via, ben lontana dalla destra e dalla sinistra classiche, ma anche dalle illusioni della Terza Via di Anthony Giddens, che per troppi anni
hanno ipnotizzato i leader del campo riformista.

[Articolo uscito sul Messaggero l’11 agosto 2024]

Il fascino discreto della rottamazione: Schlein come Renzi?

10 Giugno 2023 - di fondazioneHume

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Che cosa abbia esattamente in testa Elly Schlein non si è ancora capito. Si citano, al riguardo, le incertezze o ambiguità sul termovalorizzatore di Roma, sull’utero in affitto, sull’invio di armi all’Ucraina. Però, se andiamo a rileggere il programma su cui ha vinto la battaglia per la segreteria del Pd, almeno una cosa risulta in modo chiarissimo: non farò come Renzi. Nella mente della neo-segretaria del Pd, Renzi e il renzismo sono, all’interno della sinistra, una sorta di male assoluto. Se c’è una cosa che il nuovo Pd non deve ripetere sono gli “errori” di Renzi. Che non riguarderebbero solo le scelte in materia di mercato del lavoro (Jobs Act), ma anche le relazioni industriali (asse con Marchionne contro la Cgil), le politiche migratorie (memorandum Italia-Libia di Marco Minniti), per non parlare del referendum istituzionale (Elly Schlein votò contro).

Da questo punto di vista, non è esatto dire che Elly Schlein non abbia le idee chiare. Sarà pure stata incerta su alcune tematiche sensibili (green, guerra, utero in affitto), ma non si può dire che le manchi una stella polare: portare il Pd lontano dal renzismo. Questa è la missione, su questo non ammette tentennamenti.

Però…

Però c’è una cosa su cui Elly Schlein non solo non è lontana da Renzi, ma pare ricalcarne perfettamente le orme. Ricordate gli anni della “rottamazione”? Ricordate l’aspra polemica con Massimo d’Alema? Le frecciate a Bersani e Veltroni? Ricordate quanti esponenti del Pd vennero messi da parte, o indotti ad andarsene? E la rivoluzione delle cinque capolista, tutte donne, alle (trionfali) elezioni europee del 2014? O la nascita di Articolo 1, in cui si rifugiarono Bersani, Speranza, e tanti altri illustri esponenti del Pd?

Insomma, c’è molto del (vecchio) Renzi nel modo in cui Elly Schlein tenta di governare il suo (nuovo) Pd. Con una importante differenza, però: lo stile. Che non può mai essere elegante quando si rottama, ma c’è modo e modo. Ha destato molto sconcerto, negli ultimi giorni, il modo in cui è stato rimosso e sostituito il vice-capogruppo Pd della Camera. Perché la rimozione di Piero de Luca, figlio di Vincenzo de Luca, ha tutto il sapore di una vendetta per le pungenti critiche del padre, governatore della Campania. E la sua sostituzione con Poalo Ciani, un esterno che ha votato contro l’invio di armi in Ucraina, è parsa a molti un gesto incomprensibile, per non dire arrogante. La sensazione, nel Pd, è che Elly Schlein non abbia alcuna intenzione di ascoltare i membri della minoranza riformista, più o meno bonacciniana, e ciò a dispetto del loro essere maggioranza fra gli iscritti del partito (ricordiamo che, nel voto degli iscritti, Schlein ha avuto appena il 35% dei consensi, contro il 53% di Bonaccini).

Persino Sansonetti, “vecchio comunista” e direttore del recentemente resuscitato quotidiano “L’Unità”, si è sentito in dovere di ricordare a Elly Schlein che il Partito comunista, spesso accusato di stalinismo, usava più rispetto verso i dissenzienti, al punto da nominare capigruppo alla Camera e al Senato personaggi dell’opposizione interna come Pietro Ingrao, o non allineati come Umberto Terracini.

Che dire, a questo punto?

Forse soltanto che, se vuole sopravvivere al partito di cui è divenuta segretaria, a Elly Schlein converrebbe trattenere il buono e prendere rapidamente congedo dal cattivo (o dal meno buono) dello stile di Renzi. Dove il buono è stato di ingaggiare con l’opposizione interna una battaglia politica aperta, fatta di idee e di proposte. Mentre il meno buono è stata la spavalderia con cui è stata rottamata la vecchia guardia. Anche perché, non va mai dimenticato, in un partito fatto di correnti e di cordate di potere, c’è sempre il rischio che i rottamati e le vecchie guardie, prima o poi, ti tendano un’imboscata.

Luca Ricolfi

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