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Decreto anti-rave, un problema di coerenza

10 Novembre 2022 - di Luca Ricolfi

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Sull’opportunità di una legge che, anche in Italia come in altri paesi europei, vieti i rave party sono d’accordo in molti, anche a sinistra, e in particolare nel Pd. Magari lo dicono a denti stretti, ma alla fine lo pensano. Del resto non occorreva attendere le recenti prese di posizione anti-rave di Dario Nardella (sindaco di Firenze) o di Stefano Bonaccini (candidato alla segreteria del Pd) per scoprire che da tempo esiste, dentro la sinistra, una corrente “securitaria” che prende sul serio la domanda di sicurezza dei cittadini. Pensiamo alle esperienze di governo di Flavio Zanonato (sindaco di Padova), di Sergio Cofferati (sindaco di Bologna), dell’ex ministro Marco Minniti, a lungo impegnato nel contrasto all’immigrazione irregolare (esperienza raccontata in un libro significativamente intitolato Sicurezza è libertà).

Dunque perché tanto si discute, a sinistra, del recente decreto anti-rave? Credo che le ragioni siano due, e che vadano accuratamente distinte. La prima è che, per alcuni, non c’è nulla di male nei rave party, che tutt’al più andrebbero rubricati fra le manifestazioni del “disagio giovanile”. La seconda è che il decreto legge che si propone di renderli illegali è mal scritto ed eccessivo.

Credo che quest’ultima obiezione sia più che fondata, e che farebbe  malissimo il centro-destra a non recepirla. Il punto debole del decreto è che la fattispecie del reato che si vuole introdurre è priva del requisito di determinatezza. Quando si dice che un “raduno” è illegale se vi partecipano più di 50 persone e “dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica” si ricorre a un concetto – quello di pericolosità – estremamente vago, tanto più se applicato a beni giuridici a loro volta vaghi come l’ordine, l’incolumità e la salute pubblica. In breve, i rischi di una applicazione estensiva e discrezionale della norma sono intrinseci alla sua formulazione.

Si potrebbe chiudere il discorso dicendo che non dobbiamo stupirci, la destra fa la destra, ha vinto le elezioni, e non fa che mettere in pratica le proprie idee. Io invece mi stupisco. Perché mi ricordo quel che accadde con l’articolo 4 del Ddl Zan. Allora gli esponenti della destra (e alcuni dissidenti di sinistra) fecero notare, secondo me giustamente, che la fattispecie del reato era troppo vaga, e che tale vaghezza minacciava di limitare la libertà di espressione. Stabilire che convincimenti, opinioni e idee possono sì essere liberamente espresse, ma solo se “non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti” lascia un margine di discrezionalità eccessivo a chi deve applicare la norma.

Anche qui, come sul decreto anti-rave, la parola chiave è “pericolo”. Chi, e con quali strumenti, può stabilire se da una condotta o un’idea deriva effettivamente un pericolo? Tanto più se il pericolo riguarda entità dai confini sfumati come gli “atti discriminatori”, o la “incolumità pubblica”.

Ecco perché questa prima mossa del governo Meloni mi ha stupito. Se si ritiene ineccepibile questa formulazione del decreto anti-rave, bisogna, per coerenza, far cadere le obiezioni all’articolo 4 del Ddl Zan. Se, viceversa, si vogliono mantenere queste ultime, allora occorre ammettere che il decreto anti-rave è mal formulato, ed acconciarsi ad accettare che il Parlamento lo corregga, come in una recente intervista lascia intendere il ministro Piantedosi quando dice che “la conversione dei decreti si fa in Parlamento, non sui social” e che “in quella sede ogni proposta sarà esaminata dal governo”.

Speriamo che sia così, e che la saggezza prevalga anche nella definizione di che cos’è un “raduno” (bastano 50 persone?) e nella fissazione delle pene (specie di quella minima, fissata a tre anni di carcere). Sarebbe un bene per tutti, cittadini e governanti. Per i cittadini, perché cadrebbe ogni timore riguardo alla libertà di manifestare. Per i governanti, perché ristabilirebbe la dovuta continuità fra le scelte di oggi sui rave party e le obiezioni di ieri al Ddl Zan.

Rave party, perché le istituzioni stanno a guardare

1 Settembre 2021 - di Luca Ricolfi

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Il rave party che, nel comune di Valentano, ha devastato un’azienda agricola, provocato un morto, danneggiato le attività turistiche, messo a repentaglio la salute pubblica, ha giustamente sollevato parecchi interrogativi. Perché il Ministero dell’interno non ne sapeva nulla? Perché, una volta occupata illegalmente l’area, le forze dell’ordine hanno atteso ben cinque giorni prima di intervenire? Perché in Francia (il paese a partire dal quale vengono organizzati la maggior parte dei rave) la legge punisce i rave, mentre in Italia la Corte Costituzionale (con sentenza del 21 luglio 2017) ha ribadito che l’articolo 17 della Costituzione li tutela in quanto manifestazioni della libertà di riunione?   Leggi di più

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