Rubrica A4 – Crisi della nazione e wokismo

10 Luglio 2024 - di Dino Cofrancesco

In primo pianoPoliticaSocietà

La cancel culture, il wokismo (l’<ideologia che esorta a stare all’erta verso tutti quei comportamenti discriminatori nei confronti delle minoranze, di qualsiasi genere esse siano>), i cortei a sostegno di Hamas, le Università dei ricchi americani che gettano fango sull’Occidente e sui suoi valori hanno ispirato miriadi di commenti non soltanto ai soliti columnists e Catoni in s.p.e. ma, altresì, a studiosi della più varia estrazione—archeologi, scienziati, teologi—che, sconvolti dalle guerre che si combattono oggi in Medio Oriente e in Ucraina, non hanno mancato di far sentire la loro voce accorata e sgomenta. Qualcuno, Federico Rampini sul ‘Corriere della Sera’, ha ricordato ai giovani contestatori, per i quali essere ricchi è una colpa, che “senza la nostra Rivoluzione industriale, quella cosa orribile che ha insozzato il pianeta, oggi non sarebbero vivi tre miliardi di cinesi e indiani, o un miliardo e mezzo di africani: è la nostra agricoltura moderna a base di fertilizzanti e macchinari a consentire la loro alimentazione; è la nostra medicina ad avere ridotto la mortalità e allungato la longevità”. Sono rilievi giusti ma scontati e che, a ben riflettere, non
spiegano per quale motivo l’universalismo illuminista—di questo invero si tratta, del sentimento della radicale unità del genere umano che porta a condannare ogni tipo di violenza nei confronti di quanti sono titolari di inalienabili ‘diritti umani’—si stia rovesciando, come una valanga, sulla nostra civiltà, che delle sue radici, l’eredità greco-romana, il cristianesimo, i Lumi, sembra fedele solo alla terza.

A mio avviso, sfugge il nesso tra il declino dell’idea di nazione e la messa sotto accusa dell’Occidente e ciò in virtù della demonizzazione che si continua a fare dell’appartenenza a una comunità politica, riguardata come privilegio, esclusione, discriminazione. In realtà, la nazione, come la famiglia, è una ‘comunità di destino’: può essere buona o cattiva ma è l’unico tramite che, quando è buona, ci lega per empatia agli altri. Ripudiarla per le pagine nere della sua storia comporta il pericolo di smarrire il senso delle pagine luminose che pure ha scritto.

La cultura woke è quella di individui cosmopoliti che non sono persone, segnate da appartenenze e tradizioni, ma fondamentalisti del mondialismo, incapaci di riconoscere le luci e le ombre che caratterizzano ogni istituzione, dalla Famiglia allo Stato. Non è casuale che nei paesi in cui è ancora sentito il legame patriottico la storia non venga messa sotto accusa, a meno che non sia quella degli altri segnata da violenza e da ipocrisia—consistente, quest’ultima, nel richiamarsi a idealità che poi vengono calpestate. Le conquiste civili sono sempre conquiste di uno stato, di un popolo, di una nazione particolare. L’Uomo, che l’immortale de Maistre diceva di non aver incontrato da nessuna parte, non crea nulla, anche se viene ogni volta arricchito da ciò che gli uomini in carne e ossa hanno di volta in volta prodotto.