Generazione Z: fuga dallo smartphone?
In primo pianoSocietàNon è un momento felice per gli smartphone e per i social: da un anno a questa parte le voci che ne sottolineano ogni sorta di pericoli sono sempre più numerose. Fra le più recenti il possente studio di Jonathan Haidt sulla Generazione ansiosa, uscito poche settimane fa negli Stati Uniti, e il recente manifesto del professor Juan Carlos De Martin (Contro lo smartphone. Per una tecnologia più democratica).
Per certi versi, questo allarme improvviso mi stupisce un po’, visto che le prove della dannosità del telefonino e della “vita online” c’erano già una quindicina di anni fa, grazie al lavoro di tanti scienziati, medici, psicologi e sociologi. È del 2012 l’uscita in tedesco di Digitale Demenz (Demenza digitale), di Manfred Spitzer. Nello stesso anno, in Italia, il linguista Raffaele Simone, uno dei più acuti osservatori dei cambiamenti cognitivi connessi alla tecnologia, pubblicava Presi nella rete. La mente ai tempi del web, lucida descrizione dei danni cognitivi delle nuove tecnologie. E l’elenco delle analisi critiche tempestive potrebbe continuare.
Dunque – torniamo a chiederci – perché solo adesso ci si accorge di quel che si sapeva già 10-15 anni fa? Perché fino a pochi anni fa solo un’esigua minoranza di studiosi e cittadini era disposta a riconoscere gli inconvenienti delle tecnologie della comunicazione?
Di ragioni, verosimilmente, ve ne sono più di una, ampiamente intrecciate fra loro. Ma la più importante credo sia che, per riconoscere i danni, abbiamo dovuto attendere che i danni stessi uscissero dal mondo ristretto dei laboratori, degli esperimenti scientifici e dei ragionamenti teorici, e si mostrassero – per così dire – in campo aperto. Il che significa: che potessimo vederli concretizzati, quei danni, sulla pelle, nei vissuti e nelle menti di un’intera generazione, quella che è entrata nell’adolescenza quando l’accesso ai social stava diventando di massa grazie allo smartphone. Come hanno ampiamente documentato gli psicologi americani Jonathan Haidt e Jean Tewnge, il punto di svolta è il triennio 2010-2012, allorché esce il primo vero smartphone (iPhone 4) e l’accesso ai social si sposta dal computer fisso allo smartphone stesso. Le cavie di questo colossale esperimento di psicologia sociale sono le ragazze e i ragazzi delle ultime due generazioni (Z e alpha) nate dopo la fine degli anni ’90, e di cui solo ultimamente abbiamo cominciato a percepire la fragilità, i limiti e le sofferenze.
Quel che è successo è che, a un certo punto, il disagio è divenuto troppo tangibile perché si potesse continuare a negarlo, sottovalutarlo, o non riconoscerne le cause. A renderlo percepibile ha indubbiamente contributo la mera osservazione dei comportamenti giovanili, sempre più intrappolati nella morsa fra autolesionismo e aggressività, ansia e depressione, iperconnessione e ritiro sociale. Ma l’apporto decisivo lo hanno dato e lo stanno dando le statistiche che, specie nel mondo di lingua inglese e nei paesi nord-europei, documentano non solo l’estensione del disagio, ma la rapidità con cui si è diffuso dopo il 2012 e la selettività con cui ha colpito le ultime generazioni, lasciando sostanzialmente indenni le generazioni più anziane. È solo negli ultimissimi anni che è divenuta schiacciante l’evidenza statistica su precocità dell’uso dello smartphone, tempo medio di connessione, ubiquità della pornografia, diffusione dei più svariati sintomi di disagio, particolarmente gravi fra le ragazze.
Soprattutto, è solo grazie agli studi più recenti (di Twenge e Haidt, in particolare) che, una dopo l’altra, sono cadute tutte le spiegazioni di comodo dell’esplosione del disagio giovanile: alla prova dell’analisi statistica, l’unica spiegazione che regge è quella che fa risalire il disastro al cocktail smartphone + social media.
Non si sottolineerà mai troppo l’importanza di questo risultato. Fino a ieri, dare uno smartphone a una ragazzina di 12 anni senza imporre anche drastiche limitazioni d’uso, poteva apparire una scelta imprudente o coraggiosa, a seconda dei punti di vista. Oggi, alla luce di quel che sappiamo, è solo un imperdonabile azzardo.
Un azzardo di cui – anche qui a giudicare dalle statistiche – sembrerebbero via via più avvertiti i giovani delle ultime generazioni. Le più recenti indagini sulla generazione Z rivelano segnali di allontanamento dai social e sempre più frequenti ritorni ai telefonini tradizionali (i cosiddetti flip phone, economici e senza connessione internet), quasi si sentisse il bisogno di una pausa di disintossicazione dai veleni della rete. Segno che, alle volte, i giovani sono più saggi dei loro genitori.
(uscito sul Messaggero il 19 aprile 2024)