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Le due facce della generazione Z

3 Giugno 2024 - di Luca Ricolfi

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Non si erano ancora spenti gli echi della visita di Giorgia Meloni a Caivano per l’inaugurazione del nuovo centro sportivo, con tanto di polemiche per la sarcastica stretta di mano al governatore De Luca (quello che l’aveva definita “quella stronza
della Meloni”), e già la realtà presentava il conto, con la notizia secondo cui, a Comiso (Catania), un ragazzo tunisino di 16 anni, ospite di una comunità per minorenni stranieri non accompagnati, aveva violentato una donna 33enne nella villa comunale. Il fatto sarebbe avvenuto dieci giorni fa, ma la notizia è stata diffusa solo ieri, a poche ore dal blitz del premier a Caivano.

L’accostamento fra le due notizie non potrebbe essere più emblematico. Da un lato i primi passi per garantire la presenza dello Stato nei territori più degradati, dall’altro le crude verità della cronaca. Sullo sfondo, l’eterno dibattito sulla funzione del
carcere, che dovrebbe mirare alla rieducazione e al reinserimento sociale degli autori di reati, ma non sempre si dimostra all’altezza. Il tutto inasprito dalle polemiche sul decreto Caivano, che – secondo i critici – sarebbe all’origine di un allarmante
aumento del numero di minori detenuti.

La materia è scottante, e tocca temi su cui nessuno è disposto a cambiare idea.
Proprio per questo, però, vale forse la pena fare il punto sui dati obiettivi, da cui qualsiasi proposta non può prescindere.

In Italia il ricorso alla reclusione nei confronti dei minori è estremamente limitato.
Secondo i dati più recenti, i minori detenuti negli IPM (Istituti Penali per Minori) sono 312 (più 211 “giovani adulti”), a fronte di un numero di reati commessi da minori ogni anno circa 100 volte superiore (più di 30 mila). Anche ammettendo che gli autori siano la metà (perché alcuni commettono più di un reato), ne deriva che in carcere entrano meno di 1 ragazzo o ragazza ogni 50 autori di reati. Dove finiscono gli altri?

La maggior parte non entra nel circuito penale, o se vi entra viene inserito in uno dei molti percorsi alternativi alla detenzione, fra i quali il più promettente è probabilmente quello della “messa alla prova” (che contribuisce a tener basso il numero di recidive). Se sommiamo i numeri dei principali percorsi alternativi alla detenzione risulta che i minori e giovani adulti inseriti in tali percorsi sono almeno 7 volte più numerosi dei minori e giovani adulti reclusi.

In breve: il nostro sistema penale è sicuramente criticabile, ma non sembra che la sua principale pecca possa essere il ricorso eccessivo alle misure detentive. Ma, viene talora obiettato, il problema è che stiamo osservando un drammatico aumento del ricorso alla detenzione, che è causato dalle misure del decreto Caivano. Anche qui, meglio riflettere sui dati prima di trarre conclusioni.

Se consideriamo il triennio 2019-2022 (l’unico per cui abbiamo dati completi e consolidati) quel che salta all’occhio non è l’aumento degli ingressi in carcere (+15.8% per i minorenni, ma -19% per i giovani adulti), bensì l’esplosione dei reati più violenti e aggressivi commessi da minorenni, italiani e soprattutto stranieri (che pur essendo molto meno numerosi degli italiani contribuiscono a più di metà dei reati).

Rapine: +33% quelle degli italiani (stranieri: +109.2%). Risse: +51.9% (stranieri: + 128.5%). Percosse: + 34.9% (stranieri: +121.7%). Lesioni dolose: +12.6% (stranieri:+ 62,7%). Minacce: +8.4% (stranieri: +59.5%). Violenza sessuale: + 3.9% (stranieri:
+ 59.0%). Solo nel caso degli omicidi tentati o consumati i minori italiani fanno peggio degli stranieri: +111.1% contro +12.1%.

Se c’è una cosa di cui stupirsi, non è il numero di minorenni in carcere, ma che all’esplosione del numero di reati violenti commessi da minori non sia seguita una paragonabile espansione del numero di detenuti negli IPM.

Vedremo fra qualche mese, quando saranno disponibili tutti i dati necessari, che cosa esattamente sia successo nell’ultimo anno sia sul versante dei reati che su quello degli ingressi in carcere (per ora sappiamo solo che gli ingressi totali negli IPM, compresi i
giovani adulti, sono aumentati dell’8.8% fra il 2022 e il 2023). Quello che però possiamo dire fin d’ora è che i dati della criminalità minorile degli ultimi anni mettono in crisi la descrizione standard della generazione Z, ossia delle ragazze e dei
ragazzi attualmente nella fascia 15-29 anni.

Spesso denominata snowflake generation (generazione fiocco di neve), sociologi e psicologi sociali l’hanno per lo più descritta nel registro della fragilità, afflitta da ansia, depressione, disturbi alimentari, autolesionismo, ritiro sociale, solitudine, tendenze suicidarie. I dati, in particolare quelli dei suicidi giovanili (in aumento da diversi anni), supportano pienamente questa descrizione, ma paiono non cogliere l’altra faccia della luna, ossia il fatto che la generazione Z è attraversata anche da spinte di natura opposta, di cui i comportamenti violenti sono solo la punta dell’iceberg.
Forse, è venuto il momento di prenderne atto: la generazione Z è una generazione bifronte. Chiunque voglia provare a capirla, non può guardarne una faccia soltanto.

[articolo uscito sul “Messaggero” il 30 maggio 2024]

 

Minori e violenza sessuale – Quel che dicono i dati

11 Febbraio 2024 - di Luca Ricolfi

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Dopo lo stupro di gruppo di Catania, in cui una bambina (italiana) di 13 anni è stata stuprata da un gruppo di ragazzi (egiziani), di cui alcuni minorenni, infuriano le polemiche. C’è chi solleva dubbi sulla legge Zampa sui “minori non accompagnati”, che riserva loro speciali diritti; e c’è chi – come alcuni operatori delle comunità che avevano in carico i ragazzi – trae spunto dal caso di Catania per chiedere “più risorse e più mezzi per fare integrare davvero questi ragazzi”. C’è chi ricorda che in un altro caso di stupro di gruppo, quello di Caivano, gli autori erano ragazzi “italianissimi”; e c’è chi nota che è proprio grazie al criticatissimo (da sinistra) decreto Caivano che, nel nuovo caso di Catania, è stato possibile arrestare anche i minorenni.

Poi, fortunatamente, ci sono anche coloro che invitano a non strumentalizzare politicamente queste tragedie, e a non generalizzare. Guai se, sulla base di singoli episodi di cronaca, si dovesse instaurare la credenza che “tutti i ragazzi egiziani sono stupratori”.

Bene, allora. Raccogliamo l’invito a non generalizzare, e proviamo a vedere che cosa possiamo dire in base ai dati.

La prima cosa è che le denunce per violenza sessuale in cui l’autore è un minorenne sono circa 300 all’anno, a fronte di un po’ meno di 1 milione e mezzo di maschi minorenni di almeno 13 anni. Se teniamo conto del fatto che, in base a varie indagini, i casi denunciati sono dell’ordine di 1 su 10, possiamo stimare che le violenze sessuali siano circa 3000 l’anno. Fatti i dovuti calcoli: per 1 ragazzo che compie violenza sessuale, ve ne sono 499 che non lo fanno. Magra consolazione, per chi (come me) pensa che anche 1 solo caso all’anno sia troppo. Ma doverosa precisazione davanti all’impulso a generalizzare a “tutti i ragazzi”, o a “tutti i ragazzi stranieri”.

La seconda cosa che possiamo osservare è che i minorenni stranieri denunciati per violenza sessuale sono più numerosi di quelli italiani (159 contro 132 nel 2022, ultimo anno per cui si hanno dati consolidati). E questo nonostante i minorenni stranieri siano molto meno numerosi, circa 1 ogni 7 minorenni italiani. In concreto, questo vuol dire che – statisticamente – la pericolosità apparente (dirò poi perché “apparente”) di un ragazzo straniero è circa 8 volte quella di un ragazzo italiano.

A questa amara constatazione alcuni ribattono, non senza qualche ragione, che il tasso di denuncia per le violenze sessuali commesse da minori stranieri potrebbe essere più alto di quello per le violenze commesse da minori italiani. Di qui l’apparente maggiore pericolosità dei minori stranieri.

C’è sicuramente del vero in questa osservazione, che tenta di equiparare ragazzi italiani e ragazzi stranieri. E tuttavia, a un’attenta analisi dei dati, essa rivela non poche pecche. Non tutti i reati, infatti, sono esposti all’obiezione del diverso tasso di denuncia, perché esistono anche reati in cui il “numero oscuro” (reati non denunciati) è prossimo a zero, o verosimilmente non molto diverso fra autori italiani e stranieri. Per un reato come l’omicidio, ad esempio, è arduo sostenere che venga denunciato molto di più se commesso da stranieri ; così per reati come le rapine, le lesioni dolose, le risse, i danneggiamenti mediante incendio. Eppure, anche per questi reati, come per le violenze sessuali, i minori stranieri risultano avere degli indici di criminalità molto più alti di quelli degli italiani. Qualche mese fa la Polizia Criminale ha fornito, per il 2022, dati estremamente accurati e disaggregati sulle segnalazioni (denunce e arresti) di minori. Ebbene, su 15 reati considerati, non ve n’è nemmeno uno in cui l’indice di criminalità dei minori stranieri non sia molto più elevato di quello degli italiani. Si va dall’omicidio e tentato omicidio, per cui gli stranieri sono “solo” 3 volte più pericolosi degli italiani, alle risse e ai furti (per cui lo sono 9 volte), passando per le violenze sessuali (8 volte), le rapine (7 volte), le percosse (6 volte), le estorsioni (5 volte), solo per fare alcuni esempi.

Questo però non è l’unico motivo per cui l’alibi dei diversi tassi di denuncia è molto debole. C’è anche l’andamento delle denunce fra il 2019 (era pre-covid) e il 2022, che  mostra una impressionante divaricazione fra italiani e stranieri: mentre il numero di reati dei minori italiani è diminuito del 2.8%, quello dei minor stranieri è aumentato del 41.5%. Una variazione enorme, se si considera la brevità del periodo, e la lentezza con cui si muovono nel tempo gli indici di criminalità.

Conclusione?

Nessuna, perché i dati non dettano le politiche, ma si limitano a descrivere lo sfondo su cui qualsiasi politica è costretta a operare. Lo sfondo è che, allo stato attuale, la pericolosità dei minorenni stranieri è molto maggiore di quella dei minorenni italiani, e il divario sta aumentando. Qualsiasi politica si preferisca adottare – meno sbarchi, o più accoglienza – sarebbe meglio non ignorare il dato di fatto.

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