Aborto. Difendere la legge 194?
Dossier HumeIn primo pianoPoliticaSocietà“Difendiamo la legge 194” è diventato, da quando la destra è al governo, uno degli slogan più ripetuti da gruppi femministi e associazioni di donne, spesso in occasione di mobilitazioni di piazza. E ora pure in occasione del G7, dove è toccato a
Emmanuel Macron rimarcare la nostra (presunta) arretratezza in materia di aborto.
L’accusa al governo, mille volte ripetuta nelle piazze, è di voler smantellare la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, in vigore dal 1978. Alcuni si spingono a sostenere che il governo l’avrebbe già modificata, quella sacrosanta legge 194, e di
averlo fatto con un emendamento alla legge stessa che aprirebbe i consultori alle associazioni pro-vita.
La tesi della modificazione della legge è chiaramente campata per aria, perché la legge 194 non è stata toccata di una virgola. Quel che è vero, però, è che il governo ha fatto approvare un emendamento al decreto PNRR che – di fatto – apre le porte dei consultori alle organizzazioni pro-vita. La cosa curiosa è che questa apertura non fa che dare attuazione all’articolo 2 della
legge 194: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche
aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. Dunque il governo non ha affatto attaccato la legge 194, semmai si è mosso per darle attuazione.
E qui veniamo al punto cruciale. A giudicare da come ne parlano, si direbbe che le paladine della Legge 194 non l’abbiamo mai letta. Se lo avessero fatto, si sarebbero accorte che tutta l’impostazione della legge è marcatamente pro-vita e anti-aborto.
Nell’impianto della 194, la scelta di abortire è una extrema ratio, che i consultori dovrebbero scoraggiare in tutti i modi, analizzando le cause alla radice della volontà della donna di interrompere la gravidanza, ed eventualmente prospettando alternative.
Bene. Se le cose stanno così, la sinistra e le femministe dovrebbero smettere di difendere a spada tratta la 194, come se fosse una sorta di linea Maginot contro i propositi liberticidi delle destre-destre retrograde e oscurantiste. Perché quel che si teme possano fare i gruppi pro-vita è quel che già – in teoria almeno – dovrebbe fare il personale dei consultori.
Opporsi all’ingresso delle associazioni pro-vita nei consultori ha senso per almeno due ordini di motivi. In primo luogo, perché non vi è alcuna norma che garantisca che dipendenti e volontari abbiamo qualificazioni adeguate. In secondo luogo, perché non
vi è alcuna garanzia che i membri di tali associazioni non esercitino pressioni indebite, o mettano in atto colpevolizzazioni delle donne. Ma se ci si oppone all’ingresso delle associazioni pro-vita, allora, per coerenza, è all’impianto complessivo della legge 194 che bisognerebbe porre mano, a partire dall’articolo 2.
Dare modo alle donne di riflettere sul bivio che hanno davanti a sé è più che ragionevole, ma solo se i loro interlocutori sono professionisti preparati e ideologicamente neutrali. Altrettanto ragionevole sarebbe aumentare i gradi di libertà delle donne, affrontando finalmente il problema dei medici obiettori di coscienza, e facendo sì che la scelta di abortire non sia dettata da mera mancanza di risorse economiche.
È su questo, non sull’interruzione di gravidanza in Costituzione, che sarebbe il caso di imitare la Francia, con le sue politiche di sostegno alla maternità, ben più generose delle nostre. Contrariamente a quello che siamo portati a pensare, la maggior parte
dei diritti non sono questione di inclusione/esclusione (come nel caso del diritto di voto), ma più prosaicamente di avere/non avere le risorse per renderli effettivi.
[Articolo uscito sulla Ragione il 18 giugno 2024]