Kamala Harris e Donald Trump – 50 sfumature di cattiveria

24 Luglio 2024 - di Luca Ricolfi

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Alla fine Biden ha fatto il passo indietro che tutti (tranne la moglie Jill) gli chiedevano. E ha pure lanciato Kamala Harris, la sua vice, come candidata democratica alla presidenza. Ora si attende di capire se il Partito Democratico statunitense accetterà la candidatura, oppure aprirà i giochi per spianare la via a un altro candidato. E naturalmente si attende di conoscere il nome dell’eventuale vice-presidente democratico.

Ma supponiamo, per un attimo, che la prescelta per fermare l’ascesa di Trump sia proprio Kamala Harris, e proviamo a immaginare che tipo di campagna elettorale andrà in scena. Ebbene, io credo che quella cui assisteremo sarà a una campagna non
convenzionale. E addirittura sorprendente per noi europei, che sull’America siamo pieni di stereotipi.

Noi siamo convinti, per esempio, che i democratici siano i buoni, tutti accoglienza e diritti, e i repubblicani siano i cattivi, nemici dei migranti e delle donne. In qualche misura è vero, ma il punto è in quale misura.

Prendiamo la candidata presidente Kamala Harris. Da quando è stata eletta, lei e Biden sono stati durissimi con l’immigrazione irregolare. Il primo viaggio ufficiale di Kamala Harris è stato andare in Messico e in Guatemala a dire in modo chiaro: non
venite! se lo farete vi respingeremo. Il quadriennio Biden-Harris è stato costellato di atti e dichiarazioni assai severe verso i migranti, con conseguente indignazione della sinistra del partito (Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez). Su molti punti il duo Biden-Harris si è mosso come il duo Meloni-Salvini: analogo è l’impegno ad “aiutarli a casa loro”; analogo è il tentativo di esternalizzare in altri paesi le richieste di asilo (modello Albania); analoga è l’aspirazione a moltiplicare rimpatri e respingimenti;
analoga è la volontà di contenere le migrazioni irregolari e stroncare il traffico di esseri umani.

Se non sapessimo nulla di quel che accade negli Stati Uniti, e ci avessero chiesto di indovinare chi era al governo basandoci soltanto sulle politiche migratorie, avremmo detto che l’inquilino della Casa Bianca era un feroce repubblicano, ostile ai migranti. In breve: la candidata Harris ha un profilo moderato, sensibile alle preoccupazioni degli elettori in materia di immigrazione, e potrà essere attaccata per non aver fatto abbastanza, non certo per aver chiuso un occhio, o favorito l’immigrazione irregolare.

Esattamente come è appena accaduto nel Regno Unito con la vittoria di Starmer, i progressisti si presentano all’elettorato con un profilo moderato, attento all’elettore mediano incerto fra destra e sinistra e perciò potenzialmente decisivo. Lo stereotipo
dei democratici buoni e dei repubblicani cattivi regge forse sul piano dei toni e del linguaggio, ma nella sostanza c’è tutt’al più una (piccola) differenza di grado nella cattiveria.

Si potrebbe obiettare che, almeno sul piano dei diritti, la differenza fra i cattivi repubblicani e i buoni democratici regge. Ma anche qui, in realtà, quel che troviamo sono essenzialmente differenze di grado. Contrariamente a quel che si potrebbe supporre, sui diritti Trump si è mostrato molto cauto, e probabilmente dovrà esserlo ancora di più se la candidata democratica sarà una donna. Sull’aborto, ad esempio, ha chiarito di non volere una norma nazionale che lo proibisca, e di essere comunque sempre per la libera scelta della donna nei casi di stupro, incesto o pericolo di vita per la madre. Sulla fecondazione in vitro ha dichiarato che la pratica dovrebbe essere legale in tutti gli Stati americani, e ha duramente criticato una sentenza ultra-reazionaria della Corte Suprema dell’Alabama, in virtù della quale la distruzione di embrioni congelati sarebbe equiparabile all’omicidio colposo di minori. La distanza con i democratici c’è, ma forse è meno grande di quel che siamo portati a credere, tanto più ove i democratici dovessero recepire il monito di Hillary Clinton a mitigare l’ossessione per i diritti trans, se non vogliono perdere le elezioni.

Ecco perché dicevo che la campagna elettorale potrebbe rivelarsi sorprendente.

Scontate le grandi differenze in politica economica e in politica estera, sui temi che più coinvolgono i cittadini – immigrazione e diritti – potremmo invece scoprire una Harris meno buona di quel che si crede, e un Trump meno cattivo di quel che si vuol
pensare, perché entrambi sono impegnati nella caccia ai moderati.

Quanto al risultato, starei cautissimo. Nonostante gli ultimi eventi giochino nettamente a favore di Trump, i sondaggi non gli dànno – per ora – un margine di vittoria rassicurante. Alla fine, decisivo potrebbe essere l’elettore mediano, che può
otare sia repubblicano sia democratico. E decide in base alla ragionevolezza dei programmi.

[Articolo uscito sulla Ragione il 22 luglio 2024]