Più poveri ma più eguali?
Nel mese di marzo appena trascorso l’Istat ci ha inondato di dati statistici sul mercato del lavoro, sulla povertà, sulla disuguaglianza. Apparentemente il quadro è univoco: secondo il report (provvisorio) sulla povertà, nel 2023 il numero di famiglie in povertà assoluta (ossia non in grado di acquistare il paniere di sopravvivenza) è aumentato rispetto al 2022, e ha toccato il massimo storico dal 2014, ossia da quando esiste questo tipo di statistica. L’aumento, dichiara l’Istat, è molto modesto – dall’8.3% all’8.5% in termini di famiglie, dal 9.7 al 9.8% in termini di individui – ma il fatto resta: nel primo anno di governo Meloni il numero di poveri è aumentato. Comprensibilmente tutti i media, salvo qualche quotidiano di destra, hanno dato enorme rilievo a questo risultato. Altrettanto comprensibilmente, questo aumento è stato attribuito al depotenziamento del reddito di cittadinanza, e all’aumento della precarietà e dei cosiddetti working poor, ovvero lavoratori che hanno sì un lavoro, ma non riescono ad assicurare un tenore di vita accettabile ai loro familiari.
E tuttavia, se anziché leggere solo uno dei report pubblicati dall’Istat li leggiamo tutti, il quadro si fa meno limpido.
La tesi che la causa sarebbe la riduzione del reddito di cittadinanza, ad esempio, cozza con il fatto che nel Mezzogiorno, ossia nella zona del paese che più ha beneficiato del reddito di cittadinanza, il numero di famiglie povere non solo non è aumentato, ma è addirittura diminuito del 4.4%: da 906 mila famiglie nel 2022 a 866 mila nel 2023. Ma anche la tesi dell’aumento del precariato non funziona: i posti di lavoro dipendente stabili sono aumentati di 418 mila unità, mentre quelli a temine sono addirittura diminuiti, sia pure di poche migliaia.
In realtà, quel che i dati Istat mostrano è che l’aumento dei poveri è concentrato nel centro-nord, e tocca essenzialmente le famiglie di stranieri, probabilmente perché la maggior parte degli stranieri risiede nel Centro-Nord. Se consideriamo solo le famiglie di italiani, non vi è – nell’Italia nel suo insieme – alcun aumento del tasso di povertà assoluta.
Perché ciò sia accaduto (cosa di cui saremo certi solo a ottobre, quando l’Istat pubblicherà le stime definitive) non è chiarissimo. Una possibile lettura del fenomeno è che le nuove regole e i maggiori controlli associati ai nuovi sussidi, pur lasciando relativamente indenni le famiglie povere del Sud, abbiano invece avuto effetti significativi sulle famiglie di immigrati, concentrate nel centro-nord e decisamente più esposte al lavoro irregolare. Resta il fatto che, complessivamente, la povertà assoluta è leggermente aumentata fra il 2022 e il 2023.
Ma continuiamo a leggere i report dell’Istat, in particolare l’indagine sulle forze di lavoro (che arriva fino a dicembre del 2023) e le simulazioni sugli effetti che i provvedimenti del governo potrebbero avere avuto sulla distribuzione del reddito nel 2023. Ebbene, queste analisi segnalano che fra il dicembre del 2022 e il dicembre del 2023 gli occupati sono aumentati di 456 mila unità; i disoccupati sono diminuiti di 171 mila unità; gli inattivi nella fascia 15-64 anni sono diminuiti di 310 mila unità; il tasso di occupazione (sempre nella fascia 15-64 anni) è aumentato dal 60.8% al 61.9%, toccando il massimo storico.
Difficile pensare che queste cifre non impattino sulla diseguaglianza, visto che – in Italia – il principale fattore di diseguaglianza è l’insufficiente (e mal ripartito) accesso al lavoro. In breve, è possibile che al lieve aumento della povertà non si accompagni un parallelo aumento della diseguaglianza – come da più parti si è detto e scritto – ma esattamente il contrario: un sia pur lieve miglioramento degli indicatori di eguaglianza/diseguaglianza.
I dati confermano pienamente questa congettura: secondo le simulazioni dell’Istat, nel 2023 la povertà relativa (un classico indicatore di diseguaglianza) avrebbe dovuto scendere dal 20% al 18.8% e l’indice di Gini (la misura più usata per valutare la concentrazione del reddito) dal 31.9% al 31.7%.
Se tutti questi numeri dovessero rivelarsi sostanzialmente veritieri, avremmo l’ennesima conferma di un fatto ben noto agli economisti: povertà e diseguaglianza sono due fenomeni distinti, che possono anche muoversi in direzioni opposte. Ma avremmo anche una sorpresa: quella di un governo di destra che, anziché aumentare il grado complessivo di diseguaglianza, sta timidamente iniziando a ridurlo.
(uscito su La Ragione il 2 aprile 2024)