Elezione di Ursula von der Leyen – L’arroccamento
In primo pianoPoliticaSocietàCon 401 voti favorevoli Ursula von der Leyen è stata rieletta alla presidenza della Commissione Europea. Ne bastavano 361, ne ha avuti 40 in più. Il numero di voti ottenuti è quasi identico al numero di seggi (401) di cui dispongono i tre partiti – popolari, socialisti, liberali – che da sempre reggono le sorti dell’Unione Europea. Ma la corrispondenza aritmetica è fallace: in realtà, contro von der Leyen hanno votato diverse decine di franchi tiratori della sua stessa maggioranza, ed è solo grazie al soccorso dei Verdi che la maggioranza è risultata ampia. Quanto al partito di Giorgia Meloni, dopo molti dubbi e incertezze, ha finito per votare contro, insieme alle destre-destre.
L’ampio discorso con cui von der Leyen ha chiesto la riconferma conteneva, tra le altre cose, alcune robuste aperture ai Verdi sul Green Deal, e qualche timido segnale ai Conservatori di Giorgia Meloni sul problema migratorio. È abbastanza logico che i
Verdi non si siano fatti sfuggire l’opportunità di entrare in maggioranza, è meno chiaro se abbia fatto bene o male Giorgia Meloni a votare contro.
Le due letture che ascolteremo nei prossimi giorni sono entrambe ragionevoli: gli ultra-europeisti diranno che così l’Italia si è isolata, gli euro-scettici diranno che von der Leyen ha concesso troppo poco sul contrasto all’immigrazione e quasi nulla sui problemi degli agricoltori. Quel che mi sembra difficile negare è che le aperture ai Verdi sul Grean Deal sono state più significative di quelle ai Conservatori sul contrasto all’immigrazione (è mancato, in particolare, qualsiasi riferimento all’esternalizzazione delle frontiere e al modello Albania).
Quanto ai partiti italiani, è interessante notare che il voto su von der Leyen ha spaccato sia la maggioranza di governo sia l’opposizione. Fra i partiti di governo Forza Italia ha votato convintamente a favore, la Lega convintamente contro, mentre Fratelli d’Italia è rimasto incerto fino all’ultimo (salvo poi votare come la Lega). Fra i partiti di opposizione il Pd ha votato a favore, i Cinque Stelle contro, mentre l’alleanza Verdi-Sinistra si è già spaccata fra Verdi (a favore) e Sinistra (contro).
Sul piano internazionale, un aspetto molto importante – e non del tutto scontato – del discorso di von der Leyen è stato il suo netto posizionamento pro-Ucraina (sostegno a oltranza) e il suo altrettanto netto richiamo anti-Israele sugli eccidi di civili nella
striscia di Gaza. Una presa di posizione che non meriterebbe particolare attenzione se non avvenisse nelle stesse ore in cui le dichiarazioni del neo-nominato vice di Trump, il sentore James David Vance, delineano una linea politico-militare statunitense
diametralmente opposta: compromesso territoriale con la Russia di Putin, disco verde a Israele per Gaza. Dobbiamo prepararci, in caso di vittoria di Trump, a un inedito quanto drammatico contrasto strategico-militare fra Europa e Usa?
Non meno gravido di implicazioni è quanto Ursula von der Leyen ha annunciato sul piano politico interno, e cioè il suo impegno nella “lotta agli estremismi”. Un monito chiaramente rivolto a Viktor Orbán e ai nuovi gruppi dei Patrioti e dei Sovranisti, piuttosto che ai Conservatori di Giorgia Meloni o al piccolo gruppo della sinistra estrema. Quel che la neo-presidente ha delineato, per molti versi, è la variante europea della strategia francese del “cordone sanitario” contro la destra estrema, con la sola importante differenza di non aver chiesto i voti dell’estrema sinistra.Questa linea politica non è priva di senso, specie se si crede che la posta in gioco sia la democrazia, che le destre estreme costituiscano una seria minaccia all’ordine democratico, e che la santa alleanza delle forze democratiche – dai Verdi ai Popolari – sia in grado di erigere una robusta e duratura barriera contro la “marea nera” montante. Ma siamo sicuri che sia la lettura giusta, o l’unica possibile? I risultati elettorali mostrano che i tre raggruppamenti di destra cui von der Leyen ha chiuso la porta sono i medesimi che il voto popolare ha premiato. E che il gruppo cui invece la ha aperta (i Verdi) è fra quelli puniti dal voto. Insomma: la nuova Commissione europea ha scelto di muoversi nella direzione opposta a quella dell’opinione pubblica, pur avendo l’opportunità – grazie alla presenza dei Conservatori – di dare un sia pur piccolo segnale di sintonia con le preoccupazioni degli elettori. Quasi che l’avanzata simultanea delle destre – di tutte le destre, compresi Conservatori e Popolari – fosse il sintomo di una malattia, piuttosto che un segnale di preoccupazioni più o meno legittime dei cittadini, come quelle in materia di immigrazione e di politiche agricole.
Che questa scelta di arroccamento dell’establishment europeo sia stata lungimirante o miope, lo vedremo fra qualche anno, quando si tornerà al voto. Per ora sia lecito sollevare il dubbio.
[articolo uscito sul Messaggero il 19 luglio 2017]