Se c’è un aspetto sicuramente positivo nel dibattito sul Green Pass, per quanto caotico e a volte persino sguaiato sia, è che finalmente, dopo oltre un anno di pensiero unico “pandemically correct” imposto con ogni mezzo, compresi alcuni più adatti a un regime autoritario che a uno Stato democratico (cfr. Paolo Musso, Il virus dell’autoritarismo), si comincia a discutere non questo o quel dettaglio delle strategie dei governi occidentali, ma i loro presupposti di fondo. E ciò è un bene di per sé stesso, dato che molti dei suddetti presupposti sono erronei, come qui abbiamo più volte cercato di documentare.
Di ciò va dato merito soprattutto a Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, che hanno dato fuoco alle polveri con il loro articolo A proposito del decreto sul “green pass”, pubblicato il 26/07/2021 sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, e al quotidiano La Stampa, che, nonostante la sua posizione ufficiale di sostegno incondizionato al governo, ha aperto le sue pagine a una discussione pubblica sul tema.
Se c’è invece un aspetto sicuramente negativo, è che purtroppo le critiche dei due filosofi, come del resto praticamente tutte le altre che si sono sentite finora, partono dalla premessa che i dubbi di chi non vuole vaccinarsi siano giustificati perché l’efficacia e la sicurezza dei vaccini non sarebbero ancora state dimostrate. Non voglio qui entrare nel merito della questione, anche se dopo miliardi di dosi inoculate è ormai abbastanza evidente che i rischi sono davvero minimi, mentre sull’efficacia si può discutere quanto i vaccini proteggano (il discorso è reso estremamente complesso dal fatto che, come è noto, la letalità del virus varia moltissimo a seconda dell’età), ma non che una protezione ci sia e che sia consistente.
Ma, ripeto, non voglio insistere su questo, perché ciò che vorrei qui sottolineare è che tale premessa è del tutto superflua, dato che le critiche di Cacciari e Agamben restano valide anche a prescindere da essa: infatti le condivido anch’io, che non soltanto mi sono vaccinato, ma sono addirittura favorevole all’obbligo di vaccinazione per tutti (che è tutt’altra cosa dal Green Pass). Sarebbe quindi opportuno concentrarsi solo su di esse, senza offrire a chi non vuole affrontarle un comodo pretesto per accomunarle impropriamente ai deliri negazionisti e complottisti dei No-Vax (come infatti quasi sempre è accaduto).
Perché parliamoci chiaro: contrariamente a ciò che il governo continua a sostenere, il Green Pass non è affatto uno strumento di prevenzione, dato che anche nei luoghi a cui si può accedere soltanto con esso continuano ad essere in vigore le stesse regole in base a cui abbiamo vissuto negli ultimi tempi. Di conseguenza, delle due l’una: o questa strategia era sbagliata, e allora il governo dovrebbe fare un pubblico mea culpa (di cui però non vi è traccia); oppure non lo era (come i dati dell’epidemia sembrano suggerire), e allora non si capisce perché mai dovremmo cambiarla. Non solo: tutto ciò dà l’impressione (errata, ma inevitabile) che il governo non creda realmente all’efficacia dei vaccini, il che fa aumentare la diffidenza verso i vaccini stessi e di conseguenza rende semmai più difficile la prevenzione.
A conferma di ciò, basta scorrere la lista dei luoghi accessibili solo col Green Pass per rendersi subito conto che non sono stati scelti quelli a maggior rischio sanitario (che sono anzitutto il trasporto pubblico locale e i luoghi di lavoro al chiuso, attualmente accessibili anche ai non vaccinati, a parte alcune particolari categorie), bensì quelli a minor rischio di scontro sociale, cioè quelli da cui essere esclusi rende la vita sgradevole, ma non impossibile: bar, ristoranti, cinema, teatri, musei, congressi, lunghi viaggi e – ahimè – lezioni universitarie, evidentemente considerate anch’esse parte del “superfluo”, secondo una mentalità tanto demenziale quanto purtroppo diffusa nel nostro paese.
Appare quindi evidente che il vero (e neanche tanto nascosto) obiettivo del Green Pass, come ha riconosciuto candidamente Andrea Crisanti, «è quello di indurre a vaccinarsi chi è riluttante o indeciso facendo leva su benefici personali che ne deriverebbero in termini di qualità di vita» (Green Pass e Terra piatta, su La Stampa, del 02/08/2021), dato che il loro numero (attualmente oltre 21 milioni di persone, allora quasi 30) è ancora troppo alto perché la campagna vaccinale possa avere pieno successo. Ciò che lascia stupiti è che Crisanti pensi che ciò sia cosa buona e giusta, pur avendo riconosciuto che si tratta di un metodo che viene usato intenzionalmente per forzare la gente a fare qualcosa che la legge non prescrive. Ciò è infatti inaccettabile per almeno due ragioni, una pratica e una di principio.
Anzitutto, dal punto di vista pratico, questa strategia rischia di rivelarsi un vero boomerang per il governo. Se è vero, infatti, che il primo annuncio dell’obbligo del Green Pass ha provocato un’impennata nelle richieste di vaccinazione, guardando agli avvenimenti di questi giorni sembra abbastanza chiaro che ciò abbia influito essenzialmente sui “pigri”, cioè su quelli che, pur non essendo contrari a vaccinarsi, non avevano particolarmente fretta di farlo. Per questo, come ha riconosciuto anche Marcello Sorgi, che pure l’aveva sempre difeso, «è prevedibile che [il Green Pass] non possa dare più risultati di quelli ottenuti» (dopo meno di un mese dalla sua introduzione!) e «ha anche influito negativamente sui contrari, rendendoli più esacerbati» (Ora ci vuole l’obbligo vaccinale, su La Stampa del 31/08/2021), fenomeno che rischia di accentuarsi ancor più nelle prossime settimane, quando con il ritorno a scuola e al lavoro i disagi diventeranno più pesanti.
Inoltre, la stessa legalità di questo strumento è molto dubbia, perché la Costituzione permette sì, come ha notato Zagrebelsky (Quell’obbligo è legittimo, su La Stampa del 06/08/2021), delle limitazioni agli spostamenti dei cittadini per ragioni sanitarie (art. 16), ma quelle imposte dal Green Pass vanno ben al di là di ciò, impedendo a chi non lo ha di usufruire di tutta una serie di servizi e in alcuni casi addirittura di svolgere il proprio lavoro. E come si potrà sanzionare costoro per “assenza ingiustificata” (come è già stato annunciato), quando è lo Stato che gli impedisce di lavorare perché non vaccinati, benché, per altro verso, gli riconosca il diritto di non vaccinarsi? Come si spiega che il Green Pass venga richiesto per svolgere certi lavori, ma non altri? Perché viene richiesto al ristorante, ma non nelle mense aziendali? Perché sui treni a lunga percorrenza e non su quelli regionali, molto più affollati? Perché gli studenti delle scuole potranno assistere alle lezioni anche senza, mentre quelli universitari no? E perché, di conseguenza, i docenti universitari saranno costretti a prolungare ulteriormente la deleteria didattica a distanza, che invece a scuola si vuole (giustamente) evitare a tutti i costi? A nessuna di tali domande sembra possibile dare una risposta sensata: e quando ciò accade, significa che il difetto è nel manico, cioè che è insensato il provvedimento che le provoca.
Per di più, ciò rischia di dar luogo a un’enorme quantità di azioni legali, che, prevedibilmente, avranno esiti diversi a seconda dell’orientamento politico dei magistrati, creando un guazzabuglio giuridico inestricabile che non aiuterà certo la velocizzazione della giustizia perseguita dalla riforma Cartabia. Peggio ancora, si rischia di causare fortissime tensioni sociali e anche episodi di violenza, che purtroppo hanno già iniziato a verificarsi e che nella situazione attuale sono l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. E questo, considerando che stiamo parlando di oltre un terzo della popolazione italiana, è davvero giocare col fuoco.
Ma il problema più grave è quello di principio. Il Green Pass rappresenta infatti un drammatico ritorno allo sciagurato atteggiamento, tipico del governo Conte, di voler “rieducare” i cittadini con minacce, menzogne e furbate di bassa lega, anziché responsabilizzarli attraverso la verità e la trasparenza, cercando al contempo di scaricare su di essi le responsabilità più scomode, che un governo degno di questo nome dovrebbe invece avere il coraggio di assumersi in prima persona.
Prima si trattava del funzionamento delle misure di prevenzione, che hanno disastrosamente fallito, cosa che il governo precedente ha sempre cercato di imputare alle poche migliaia di persone che non le rispettavano, per evitare di doversi chiedere (e soprattutto di doverci spiegare) come mai i milioni e milioni di persone che le rispettavano continuavano lo stesso a morire. Oggi si tratta del funzionamento della campagna vaccinale, che invece, grazie al cielo (e alla cacciata di Conte), sta avendo un successo molto maggiore, ma ancora insufficiente per eliminare definitivamente il virus, del che il governo attuale, attraverso il Green Pass, sta cercando di scaricare la responsabilità sui cittadini che non vogliono vaccinarsi.
La differenza è che questa volta una responsabilità da parte dei cittadini in questione effettivamente esiste, ma ciò che invece resta (purtroppo) uguale è l’assurdo atteggiamento del governo, che prima li autorizza a comportarsi in un certo modo e poi li biasima e addirittura li sanziona perché lo fanno. Tale atteggiamento è stato purtroppo fatto suo perfino dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che in varie occasioni (per esempio durante la cosiddetta “cerimonia del ventaglio” del 28 luglio e nel discorso inaugurale al Meeting di Rimini del 20 agosto), ha dichiarato, in tono di aspro rimprovero verso i renitenti, che «vaccinarsi è un dovere morale e civico». Ora, questo modo di esprimersi può sembrare nobile se ci si ferma all’emotività suscitata dalle parole, senza riflettere sul loro significato (e infatti è stato acriticamente lodato da quasi tutti i mass media), ma in realtà rappresenta un equivoco pericolosissimo, perché uno Stato di diritto non può imporre “doveri morali”, ma solo doveri giuridici o nulla. E dispiace che anche Draghi, che per il resto sta facendo bene e che anche sul virus aveva fin qui tenuto un atteggiamento ben più corretto, si sia alla fine adeguato all’andazzo.
Intendiamoci: anch’io credo che nella situazione attuale non vaccinarsi sia un atto di egoismo (oltre che di autolesionismo) e l’ho pure detto a muso duro a diversi amici. Il punto, però, è che queste considerazioni appartengono a una sfera nella quale la politica non può e non deve intromettersi. Hanno quindi ragione Cacciari e Agamben a denunciare questo atteggiamento come intrinsecamente antidemocratico, mentre sbagliano quelli che ritengono che si tratti di una questione opinabile, dipendente dal «proprio concetto di libertà individuale» (Ma tu e i filosofi avete torto, su La Stampa del 29/07/2021). Neanche per sogno! Si tratta invece di un principio fondamentale e irrinunciabile, altrimenti si cade nello Stato etico e di qui nel totalitarismo.
Come si fa, infatti, a far rispettare un “dovere morale”, che per definizione non è giuridicamente sanzionabile? Ma è chiaro: attraverso la disapprovazione sociale, come accade tipicamente nei regimi autoritari, dove tutti sanno benissimo che chi non si conforma alle esortazioni morali del “caro leader” di turno viene inesorabilmente emarginato, anche se di per sé il suo comportamento non è proibito da nessuna legge. Il Green Pass si pone nella stessa logica, che rappresenta il brodo di coltura ideale per tutte le tendenze autoritarie, presenti purtroppo in abbondanza non solo nel calamitoso Speranza, ma anche in diversi altri componenti dell’attuale maggioranza, così come di quella precedente: perciò il rischio che si produca una deriva illiberale e antidemocratica è assolutamente reale e anzi in parte si sta già verificando.
In uno Stato democratico, invece, se il governo ritiene (come personalmente ritengo anch’io) che tutti dovrebbero vaccinarsi, allora deve prendersi la responsabilità di rendere la vaccinazione giuridicamente obbligatoria, per mezzo di una legge, che, ovviamente, dovrà essere discussa e approvata (o respinta) democraticamente in Parlamento.
Nonostante le apparenze, infatti, l’imposizione di un obbligo giuridico non è solo molto più efficace che l’imposizione di un obbligo morale, ma è anche molto più rispettoso della libertà, della dignità e della privacy delle persone. È più rispettoso della libertà perché un obbligo giuridico richiede solo l’adesione esteriore, mentre un obbligo morale richiede anche un’adesione interiore. È più rispettoso della dignità perché chi dissente da un obbligo giuridico è semplicemente uno che non è d’accordo con l’opinione della attuale maggioranza, che domani potrebbe cambiare, mentre chi dissente da un obbligo morale è per definizione una persona immorale, non solo oggi, ma anche domani e per sempre. Ed è più rispettoso della privacy perché richiede che venga controllato soltanto l’adempimento dell’obbligo in questione e non ogni singolo movimento delle persone.
Inoltre, diversamente dalla limitazione dei diritti dei cittadini prodotta dal Green Pass, l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio è espressamente previsto dalla Costituzione (art. 32), con l’unico limite del «rispetto della persona umana», che non è certo violato dalla vaccinazione obbligatoria, dato che attualmente in Italia ne sono previste ben dieci (che comprendono, tra l’altro, malattie pericolosissime come la poliomielite, la difterite e il tetano, che proprio grazie all’obbligo vaccinale sono quasi completamente scomparse da tutti i paesi progrediti, senza contare il vaiolo, che da solo ha fatto più morti di tutte le guerre della storia messe insieme, mentre oggi è stato completamente eradicato dalla faccia della Terra).
Se invece il governo ritiene che ciò non sia opportuno, allora lo dica chiaramente e poi spieghi altrettanto chiaramente che il prezzo da pagare per la libertà di scelta è che il Covid resterà con noi ancora a lungo come malattia endemica “di nicchia” tra i non vaccinati, ai quali a questo punto dovrà essere concesso di vivere liberamente come tutti gli altri (perché Green Pass e stato di emergenza non possono certo essere mantenuti in eterno), con il conseguente rischio, basso, ma non trascurabile, che, continuando a circolare, sia pure “a bassa intensità”, a un certo punto il virus possa sviluppare una mutazione capace di eludere i vaccini e dare inizio a una nuova pandemia.
E con ciò giungiamo all’altro pericolosissimo equivoco giustamente segnalato da Cacciari e Agamben: quando e in base a quali criteri l’emergenza Covid verrà dichiarata conclusa? Infatti, l’altra giustificazione “ufficiale” del Green Pass è che si tratterebbe di una misura temporanea e di breve durata. Ma se il numero di persone che alla fine deciderà di vaccinarsi non dovesse essere sufficiente ad eliminare il contagio (almeno non in tempi brevi), ma solo a ridurlo, quando si riterrà che il livello di mortalità del Covid sarà divenuto tollerabile e che sarà dunque possibile conviverci senza più far uso di misure speciali, così come accade per molte altre malattie con cui conviviamo da moltissimo tempo?
Secondo logica, dato che nessuno si è mai sognato di dichiarare lo stato di emergenza a causa dell’influenza, questo momento dovrebbe arrivare quando la mortalità da Covid si sarà stabilizzata all’incirca sullo stesso livello, cioè (probabilmente) fra non molto, dato che praticamente ci siamo già arrivati. Ma purtroppo in questa sciagurata vicenda di logico c’è sempre stato ben poco e al proposito vi sono già state molte prese di posizione assai poco tranquillizzanti da parte di personaggi illustri e meno illustri.
Le più inquietanti, almeno fino ad ora, sono la dichiarazione resa il 7 agosto al TG1 delle 20 dal presidente dell’ISS Silvio Brusaferro e l’intervista rilasciata l’11 agosto a La Stampa dal direttore dell’Istituto Galeazzi, il virologo Fabrizio Pregliasco, che sono agli antipodi sulla mitica “immunità di gregge” (raggiungibile entro fine settembre per il primo, irraggiungibile per il secondo), ma concordano entrambi sulla futura necessità di “abituarsi a convivere col virus”. Tuttavia, mentre Brusaferro non specifica cosa ciò significherebbe, Pregliasco lo fa eccome: secondo lui, infatti, «possiamo raggiungere dei livelli minimi di sicurezza, ma questo ci obbligherà a continuare con il tracciamento e le altre misure» e potremo togliere le mascherine «non prima della fine del prossimo anno», il che evidentemente significa che se fosse per lui si potrebbe continuare anche dopo.
È perciò assolutamente reale e va preso molto sul serio il rischio che, di proroga in proroga, si vada avanti con lo stato di emergenza a tempo indeterminato anche con una mortalità bassissima, in nome della presunta “unicità” del Covid, che in realtà è una pura leggenda urbana, eppure ha orientato in modo tanto determinante quanto drammaticamente errato le nostre politiche di prevenzione (cfr. Paolo Musso, Quando il pandemically correct uccide). E c’è anche di peggio in agguato.
Infatti, una volta che la gente si sia abituata a considerare “inaccettabile” anche solo una decina di morti al giorno, che è meno di quanti ne faccia ogni anno l’influenza, il rischio è che, anziché cominciare a considerare il Covid come l’influenza, si cominci a considerare l’influenza (e magari anche altre malattie a basso rischio) come il Covid, col risultato di vivere in un perenne stato di emergenza, sacrificando così, in nome della “nuda vita”, cioè della pura sopravvivenza biologica (che in ogni caso è destinata prima o poi a finire), tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta, come giustamente denuncia da tempo Giorgio Agamben.
Se qualcuno pensasse che sia un’esagerazione, faccio presente che qualche settimana fa a Superquark un personaggio di cui non ricordo il nome ha detto testualmente che «della mascherina non potremo più fare a meno, perché dovremo usarla per proteggere gli altri ogni volta che avremo l’influenza». E sappiamo tutti perfettamente che Piero Angela, nonostante i suoi 92 anni, è ancora il deus ex machina incontrastato della divulgazione scientifica italiana. Di conseguenza, se una certa parola d’ordine inizia a girare nelle sue trasmissioni c’è una probabilità niente affatto trascurabile che ben presto si trasformi in una campagna mediatica in grande stile.
Vi sembra ancora un’esagerazione? E allora sappiate che nell’intervista prima citata Pregliasco continuava affermando che anche dopo la fine del Covid «sarebbe auspicabile che [le mascherine] si continuassero a tenere nei luoghi di lavoro o in caso di sintomi da malattie respiratorie come l’influenza o il raffreddore». Sì, avete letto bene: mascherine obbligatorie per il raffreddore! Uno scenario da incubo, che però, evidentemente, a lui non sembra affatto tale.
Ora, di fronte ad affermazioni del genere è davvero difficile, anche per un convinto anticomplottista come me, non sentirsi spinto a pensar male. Non sto dicendo, sia chiaro, che ci sia un “piano” costruito a tavolino per prolungare artificialmente l’epidemia (cosa a cui non credo nel modo più assoluto), ma solo che non tutti sembrano così ansiosi di voltar pagina al più presto, come sarebbe logico aspettarsi. E ciò induce a pensare che ci sia davvero qualcuno, non solo tra i politici, ma anche tra gli scienziati, che vede questa situazione non solo come un problema, ma anche come un’opportunità per “rieducare” (ovviamente per il loro bene!) gli “indisciplinati” cittadini italiani.
Non sono quindi Cacciari e Agamben ad avere le allucinazioni quando denunciano il rischio di un progressivo slittamento verso un vero e proprio “regime di controllo” a base sanitaria, certamente ancora democratico nella forma (non è questo che è in discussione), ma sempre più autoritario nella sostanza: ad averle, semmai, sono quelli che non vedono (o non vogliono vedere) i chiarissimi indizi del suo incombere.
Il fatto che provvedimenti analoghi siano stati adottati anche in altri paesi, primo fra tutti la Francia, lungi dal legittimare ciò che sta accadendo da noi, lo rende anzi ancor più preoccupante, perché dimostra che questa tentazione autoritaria rappresenta un problema culturale che investe ormai tutto l’Occidente; e non riguarda soltanto la destra, ma anche e anzi ancor più la sinistra e perfino il centro (cfr. ancora Paolo Musso, Il virus dell’autoritarismo, e Marco del Giudice, Dove va il politicamente corretto? Uno sguardo dagli USA).
Per scongiurare un tale pericolo occorre un cambiamento culturale profondo, perché profonde e antiche sono le sue radici, come cercherò di spiegare in un prossimo articolo. Tuttavia, la cosa in assoluto più importante ed urgente è tornare a dire le cose come stanno, senza più trucchetti, furberie e retropensieri assortiti. Come dice il Vangelo (Mt 5, 37): «Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più (Green Pass compreso) viene dal Maligno».