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Elezioni in Germania – Grosse Koalition alla prova

26 Febbraio 2025 - di Luca Ricolfi

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Apparentemente le elezioni in Germania non hanno riservato sorprese.

Le previsioni dei sondaggi sono state sostanzialmente rispettate, i popolari della CDU/CSU del futuro cancelliere Friedrich Merz hanno vinto, i socialdemocratici dell’SPD e i liberali della FDP sono crollati, il temuto partito di estrema destra AfD ha superato il 20%, miglior risultato dalla sua fondazione nel 2013. I popolari della CDU/CSU e i socialdemocratici della SPD (partito del cancelliere uscente Olaf Scholz) si apprestano ad avviare le trattative per formare un governo di Grosse Koalition.

A guardar bene, però, di risultati non scontati ve ne sono parecchi. Non era scontato, ad esempio, che i liberali e il nuovo partito di Sahra Wagenknecht (BSW) sarebbero rimasti fuori del parlamento, non raggiungendo la soglia del 5%. Se la BSW avesse raggiunto il 5% (vi è andata vicinissima, con il 4.97%), il neo-cancelliere sarebbe stato costretto ad allearsi anche con i Verdi (o con la BSW stessa), varando un governo più eterogeneo e quindi più instabile: con i Verdi al governo, ad esempio, la promessa marcia indietro sulle politiche green sarebbe stata meno facile da attuare, e più foriera di tensioni entro il nuovo esecutivo.

Anche le percentuali dei vincitori, pur abbastanza vicine a quelle previste dai sondaggi, non erano così scontate. Il nuovo cancelliere aveva chiesto agli elettori di dargli forza contrattuale (verso la SPD) conferendogli almeno il 30% dei voti, ma si è dovuto accontentare del 28.5%. Quando alla AfD di Alice Weidel, non erano in pochi – dopo gli ultimi attentati in Germania e in Europa – a scommettere su uno sfondamento più ampio della barriera del 20% (ha ottenuto “solo” il 20.8%).

Ancora meno scontata era la resurrezione della Linke, il partito di estrema sinistra guidato da Heidi Reichinnek, che ha preso l’8.8% (i sondaggi gli davano solo il 7%), quasi raddoppiando i consensi delle precedenti elezioni politiche. Un successo che, verosimilmente, ha determinato l’esclusone dal parlamento della BSW di Sahra Wagenknecht e la disfatta dei Verdi, che hanno ottenuto ancora meno voti di quanti gliene assegnassero i sondaggi.

Ma la vera sorpresa, che nessuno aveva previsto nelle dimensioni in cui si è manifestata, è l’exploit della partecipazione elettorale, passata dal 76.4% delle ultime elezioni politiche all’82.5%, il valore più alto dai tempi dell’unificazione tedesca. Tutto lascia pensare che, alla radice del boom dei votanti, vi sia il timore per l’avanzata della AfD, un timore che ha richiamato alle urne elettori che normalmente non votano, ma che sono sensibili ai richiami anti-fascisti e anti-nazisti. Sono questi quasi 4 milioni di elettori in più che hanno conferito ai risultati la loro specifica curvatura, non sempre evidente nei commenti delle ultime ore. Se Afd non è andata molto oltre il 20% e l’estrema sinistra (linke + BSW) ha triplicato il suo peso elettorale rispetto alle ultime elezioni è perché la matrice del surplus di mobilitazione è stata prevalentemente progressista.

Il risultato complessivo di questi sommovimenti è che, nel giro di meno di 4 anni (dal settembre 2021 a oggi), l’elettorato tedesco si è enormemente radicalizzato e polarizzato. I partiti anti-sistema (Afd, Linke, BSW), tutti guidati da donne carismatiche e fortemente sostenuti dall’elettorato giovanile, raccolgono oggi quasi il 35% dei voti, contro il 15% di 4 anni fa. Specularmente, i due partiti cardine del sistema (SPD e CDU/CSU), che si apprestano a formare il governo, raccolgono appena il 45% dei consensi, ancora meno di quanti (il 50% scarso) ne raccogliessero nel 2021.

Vista da questa angolatura la vicenda tedesca è singolare, anche se non unica (qualcosa di simile è in corso in Francia). Il sistema politico si polarizza, i partiti di sistema implodono, scendendo al di sotto del 50% dei consensi, ma al governo riescono ad andarci lo stesso perché si coalizzano tra loro e perché la legge elettorale li premia. In Germania CDU/CSU e SPD controllano il 52% dei seggi con appena il 45% dei voti.

In Francia centristi e forze moderate governano, ma il consenso popolare premia le ali estreme (Marine Le Pen e Mélanchon). In entrambi i casi, il governo delle forze pro-sistema è il frutto della dottrina del “cordone sanitario” (in tedesco: Brandmauer, muro tagliafuoco), che sbarra la strada del governo all’estrema destra, ma al tempo stesso non riesce a stabilire solide alleanze con l’estrema sinistra.

In queste condizioni, è arduo profetizzare al governo tedesco un cammino sereno. Se vorrà mantenere le promesse elettorali sui migranti e sulle politiche green, il cancelliere Merz potrà essere costretto ad accettare i voti dell’estrema destra. Ma se farà marcia indietro su entrambi i versanti per compiacere l’alleato di governo, difficilmente potrà evitare, alle prossime elezioni, un’ulteriore avanzata dell’Afd.

Non è una novità, bensì il solito, irrisolto, dilemma dell’antifascismo: provare a normalizzare le destre radicali associandole al governo, o tenerle lontane a costo di rafforzarle?

Germania e Francia sembrano aver imboccato quest’ultima strada, quella dell’arroccamento dei partiti moderati. Quanto all’Italia, il diritto di governare le destre se lo sono conquistato con il voto. E, per ora, nulla di drammatico pare esserne seguito.

[articolo uscito sul Messaggero il 25 febbraio 2025]

Europa spaventata – Il partito dei rimpatri

17 Febbraio 2025 - di Luca Ricolfi

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Fra una settimana si vota in Germania. Travolto dai dissidi interni e da una drammatica crisi di consenso, il governo Scholz affronta la prova elettorale nelle condizioni peggiori possibili: divisioni fra gli alleati della uscente “coalizione semaforo” (Spd, Verdi, Liberali), incertezze sulla guerra in Ucraina e i rapporti con Trump, polemiche per l’attentato dei giorni scorsi a Monaco di Baviera, lacerazioni sulla questione dei rimpatri forzati.

Secondo i sondaggi i socialdemocratici hanno perso 10 punti rispetto alle ultime elezioni (2021), Liberali e Verdi ne hanno persi quasi altri 10, il tutto a beneficio di tre formazioni fortemente ostili all’immigrazione irregolare: i popolari della CDU-CSU, in salita di circa 5 punti, il nuovo partito di sinistra anti-migranti di Sahra Wagenknecht (BSW), dato vicino al 5%, e soprattutto la temutissima AFD (Alternative für Deutschland) di Alice Weidel, che dovrebbe passare dal 10 al 21% dei consensi.

In queste condizioni prevedere che governo si formerà è impossibile per tre ordini di ragioni. Primo, la composizione del parlamento dipenderà in modo cruciale da quali partiti non passeranno la soglia di sbarramento del 5% (tre partiti piccoli ma importanti, ossia Liberali, Linke e BSW, rischiano di non farcela). Secondo, se la composizione riflettesse abbastanza fedelmente le risultanze dei sondaggi, il partito maggiore (la CDU-CSU) potrebbe, almeno sulla carta, dar luogo a tre diversi tipi di coalizioni, differenti tra loro innanzitutto per il grado di adesione alla politica dei rimpatri (remigration). In ordine di severità, dalla coalizione più blanda alla più ostile: alleanza con verdi e socialdemocratici, alleanza con socialdemocratici e BSW, alleanza con la sola Afd, In quest’ultimo caso cadrebbe il “muro spartifuoco” (brandmauer) che dalla fine della seconda guerra mondiale – non solo in Germania – ha sempre tenuto fuori del governo le formazioni di estrema destra, più o meno arbitrariamente tacciate di simpatie naziste.

Difficile pensare che l’attentato di Monaco (auto che piomba sulla folla, 28 feriti e un bimbo in fin di vita) non sospinga ulteriormente verso destra gli equilibri parlamentari. Nessun paese più della Germania, negli ultimi 12 mesi, è stato scosso da tanti attentati e aggressioni: un attentato analogo, ma ancora più grave (6 morti e 200 feriti) era avvenuto poco più di un anno fa a Magdeburgo. Da allora si sono susseguiti, con impressionante progressione, gli episodi di accoltellamento: Aschaffenberg (gennaio), Mannheim (maggio e giugno), Stoccarda (giugno), Wolmirstedt (giugno), Solingen (agosto). E, cosa fondamentale per comprendere lo stato d’animo dell’opinione pubblica, in tutti i casi precedenti l’attentatore era straniero, e talora più o meno connesso a terrorismo e islam. Di qui la stretta connessione, nella mente di in una parte cospicua dell’opinione pubblica, fra immigrazione irregolare, sicurezza, terrorismo, divenuti poco per volta fili di una matassa indistricabile.

Faccenda solo tedesca, che non ci riguarda?

In parte è così, per almeno due motivi. In primo luogo, il numero totale degli immigrati in Germania, dopo il “wir schaffen das” della Merkel nel 2015, ha assunto dimensioni abnormi, non eguagliate da nessun grande paese europeo (circa il 20%, il doppio che da noi). In secondo luogo, in Italia non esiste, anzi non è mai esistito, un partito di massa ostile all’immigrazione e confinato all’opposizione dalla conventio ad excludendum da parte di tutti gli altri partiti.

Per certi versi, invece, quel che accade in Germania non è una faccenda solo tedesca. La richiesta che gli immigrati irregolari, specie se commettono reati violenti, vengano prontamente rimpatriati come sta cercando di fare Trump negli Stati Uniti, attraversa l’intera Europa, ed è tutt’altro che marginale in Italia. Anzi, ho l’impressione che, specie nel mondo progressista, non ci si renda conto appieno di quanto quella richiesta sia estesa, intensa e trasversale. Per farcene un’idea, basta consultare i risultati di un recentissimo sondaggio Eumetra condotto da Renato Mannheimer. Fatto 100 il numero di persone che hanno preso posizione pro o contro i rimpatri, la percentuale di favorevoli alle espulsioni è del 65% in generale (quasi 2 italiani su 3), sale intorno all’80% fra gli operai e le persone con un basso titolo di studio, sfiora il 90% fra gli elettori di destra, ma è oltre il 50% persino in alcune forze di opposizione (Cinquestelle e Terzo polo). Quanto agli elettori del Pd, sono quasi 1 su 3 i favorevoli alle espulsioni di massa.

Di qui, per la sinistra, un’amara (quanto ovvia) verità: se vuole governare, in Italia come in Germania, non può continuare a eludere o minimizzare il problema dei migranti irregolari. Quel che le è riuscito in passato, vincere le elezioni senza prendere di petto il problema migratorio, non sembra più possibile nell’Europa spaventata di oggi.

[articolo uscito sul Messaggero il 16 febbraio 2025]

Mezzi di informazione e manifestazioni contro il self-id – Un inquietante silenzio

6 Novembre 2024 - di Luca Ricolfi

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La notizia è che quasi nessuno, e meno che mai i grandi giornali e le grandi reti tv, ne ha parlato. Eppure è successo, un po’ dappertutto nel mondo (o più precisamente nei paesi democratici).

Parigi. Berlino. Milano. Madrid. Barcellona. Maiorca. Lisbona. Vienna. Praga. Berna. Copenhagen. Bruxelles. The Hague. Lussemburgo. Oslo. Londra. Manchester. Edimburgo. Dublino. Glasgow. Cardiff. Swansea. New York. Washington. Atlanta.
San Francisco. Chicago. Chennai, Tokyo. San Poalo, Buenos Aires, Rio de Janeiro. Taipei. Brisbane. Wellington. Montreal…

Sono decine e decine le grandi città in cui, il 1° novembre, si sono date appuntamento migliaia di donne per protestare davanti alle ambasciate e ai consolati della Germania. Perché tanto silenzio? Come mai ogni sera veniamo minuziosamente informati delle più banali, irrilevanti, o semplicemente ultra-localistiche manifestazioni di protesta, e nulla, invece, ci viene detto di quel che è appena capitato nelle principali città del mondo?

Per provare a capire, ricapitoliamo i fatti. Il 1° novembre, in Germania, è entrata in vigore una legge rivoluzionaria sul self-id, o autodeterminazione di genere. La nuova legge permette a chiunque di cambiare genere con un atto puramente amministrativo,
indipendentemente da qualsiasi valutazione di medici, psichiatri, psicologi, giudici. In particolare, permette a qualsiasi maschio di proclamarsi femmina, e così accedere a spazi e benefici riservati alle donne. Dove gli spazi invasi possono essere i reparti
femminili nelle carceri, i centri anti-violenza, le competizioni femminili nello sport. Mentre i benefici vanno dalle quote rosa in ambito economico o elettorale alle agevolazioni in materia di assunzioni e pensionamenti.

E non è tutto. Dopo aver cambiato genere una prima volta si può, dopo 12 mesi, tornare al sesso originario, e poi magari cambiare di nuovo, e così via per anni. In linea di principio, una persona può cambiare genere/sesso anche decine di volte, a seconda delle opportunità e dei rischi. Quanto ai minori, dall’età di 14 anni possono cambiare genere con il consenso dei genitori, e dai 14 ai 18 anni anche senza, purché un giudice dia l’ok.

Ma l’aspetto più paradossale della legge, fortemente voluta dalla cosiddetta coalizione semaforo (socialisti, liberali, verdi) è quel che implica per i neonati. Al momento di registrarli all’anagrafe, oltre al nome, ora i genitori potranno anche scegliere il genere fra quattro alternative: maschio; femmina; diverso; nessuno. Un bambino biologicamente maschio potrebbe trovarsi a dover fare i conti con una famiglia che lo tratta come una femmina, e viceversa (per non parlare dei bambini arbitrariamente considerati come di un genere “diverso”, o di nessun genere).

Infine, le sanzioni: chi trattasse un autopercepito lui come una lei (o viceversa), rischia una sanzione fino a 10 mila euro.

È contro tutto questo che si sono mobilitate le donne tedesche, ed è in loro aiuto che sono scese in piazza le donne in tante città di tutto il mondo.

Ed ora torniamo alla domanda iniziale: perché questo silenzio assordante dei mezzi di informazione sulle manifestazioni del 1° novembre a sostegno delle donne tedesche, vittime di una legge che ne comprometterà la sicurezza e ne eroderà le conquiste?

Sarò molto sincero: non mi è chiaro.

Una ragione potrebbe essere che il movimento di resistenza al self-id, pur avendo fra le sue promotrici Joanne Rowling e altre celebrità, è largamente minoritario (ma lo sono anche altri movimenti, di cui in realtà si parla parecchio). Un’altra ragione,
potrebbe essere che, a giudicare dalle immagini circolate nei giorni scorsi, l’età media delle femministe che protestano contro il self-id è abbastanza avanzata (qualcuno potrebbe dire che si tratta soprattutto di boomers, nate fra il 1946 e il 1964). Un’altra
ragione ancora potrebbe essere la forza e l’ubiquità del politicamente corretto, che privilegia nettamente la comunità trans, a scapito del mondo femminile.

Ma anche quest’ultima ragione non mi convince granché: tutta la stampa di destra è ostile alle rivendicazioni trans, eppure anch’essa è rimasta in silenzio. Insomma, il rebus sembra restare tale.

Forse, per capire, dobbiamo scavare in altra direzione. Il punto debole dei presidi davanti alle ambasciate germaniche potrebbe essere, semplicemente, la loro compostezza. Nessuna delle donne scese in piazza ha bloccato il traffico, o imbrattato monumenti, o scagliato molotov contro la polizia. Nessuna si è spogliata, nessuna ha lanciato sassi, nessuna ha gridato slogan offensivi.

Manifestare pacificamente non paga?

[articolo inviato alla Ragione il 3 novembre 2024]

Le tre ragazze terribili e il tramonto del cordone sanitario

9 Settembre 2024 - di Luca Ricolfi

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È un vero peccato che la dott.ssa Boccia abbia scelto proprio questi giorni per attirare su di sé, e sulla sua vicenda con il ministro Sangiuliano, la vigile attenzione del sistema dei media. Avesse scelto un periodo più insignificante, forse oggi non ci sfuggirebbe quel che proprio in questi giorni sta accadendo nel cuore delle nostre democrazie, e segnatamente nei due paesi leader dell’Unione europea, ossia in Francia e Germania.

Volendo riassumere, la metterei così: in questi giorni si sta celebrando, nei due paesi più importanti, il funerale del “cordone sanitario”, ossia dell’idea che verso i partiti estremisti, e in particolare verso l’estremismo di destra erede del fascismo e del
nazismo, le forze politiche “democratiche” dovessero alzare una barriera invalicabile, capace di tenere i barbari lontani dal potere.

È da anni che la barriera scricchiola, ma è proprio in questi giorni che nel muro democratico si sono aperte le due brecce fondamentali. La prima è in Francia, dove il triplo salto mortale di Macron – scioglimento del Parlamento, successo di Marine Le
Pen al primo turno, vittoria del “cordone sanitario” repubblicano ai ballottaggi del secondo turno – sta per dare vita a un governo conservatore, guidato dal gaullista Michel Barnier e tenuto in piedi dai voti del Rassemblement National di Marine Le Pen.

La seconda breccia, assai meno visibile della prima, si è aperta in Germania una settimana fa, quando in Turingia e in Sassonia (due länder della Germania dell’Est) i quattro partiti tradizionali, ossia popolari, socialdemocratici, verdi e liberali, si sono
trovati – anche messi tutti insieme – a raccogliere meno del 50% dei voti. Ora la maggior parte dei voti è in mano ai due partiti estremisti di sinistra (Linke) e di destra (AfD, ossia Alternative für Deutschland), da sempre tenuti fuori dei giochi dal cordone sanitario, nonché a un terzo partito nuovo di zecca (BSW, o Alleanza Sahra Wagenknecht), che aveva già avuto una buona affermazione due mesi fa alle Europee.

In breve: il cordone sanitario è saltato sia in Francia sia in Germania, e a farlo saltare sono state tre ragazze o ex ragazze terribili, le “estremiste” Marine Le Pen, Alice Weidel (presidente AfD), e Sahra Wagenknecht (fondatrice di BSW). Se vorranno restare al potere, alle forze tradizionali potrebbe non bastare unirsi fra loro, e potrebbe risultare necessario aprire alle forze fin qui tenute fuori della cittadella del potere.

Non stupisce che, se questi sono i risultati delle strategie di esclusione, a qualcuno sorga il dubbio: siamo sicuri che siano state strategie lungimiranti? siamo sicuri che non sia stato proprio il cordone sanitario ad alimentare l’estremismo, e a favorire la
replicazione del virus nazi-fascista? Sono domande legittime, anzi doverose. Ma se ne potrebbe formulare una ancora più radicale: siamo sicuri di aver bene interpretato la natura del virus da cui ci volevamo proteggere?

È possibile, in altre parole, che le forze democratiche abbiano mal compreso il significato profondo della “marea nera” di cui, da diversi decenni, si lamenta l’ascesa. Se andiamo a vedere qual è il carburante che sostiene l’avanzata dei partiti estremisti è difficile non accorgersi che, al centro di tutto, c’è la preoccupazione per l’immigrazione irregolare, e in subordine lo scetticismo per le politiche europee in materia di agricoltura, ecologia, e ultimamente pure riguardo alla guerra in Ucraina. Che bollare tutto questo come neo-nazismo, razzismo o estremismo di destra sia riduttivo, e alla fine pericolosamente fuorviante, lo testimonia non solo il radicamento dei partiti estremisti nei ceti popolari, ma il modo in cui i medesimi ceti popolari percepiscono sé stessi. In Germania, ad esempio, le serie storiche dei sondaggi mostrano che nell’ultimo ventennio alla costante ascesa della Afd, ormai prossima a diventare il primo partito tedesco, si accompagna una formidabile diminuzione – sia nel länder dell’ovest che in quelli dell’est – degli elettori che si considerano di estrema destra: erano circa il 10% una ventina di anni fa, sono meno del 3% oggi, e comunque dai sondaggi più recenti risultano più numerosi nelle regioni dell’Ovest (dove la AfD è debole), e meno numerosi in quelle dell’est (dove la AfD è forte).

Ma c’è anche un altro indizio, forse ancora più significativo, che smentisce l’equazione che equipara ostilità agli immigrati e razzismo neo-nazista: la clamorosa affermazione del partito BSW di Sahra Wagenknecht, che si colloca nettamente a sinistra ma non per questo rinuncia a porre con forza il problema dell’immigrazione irregolare, suscitando lo sconcerto degli osservatori più convenzionali, cui pare impossibile che un partito di sinistra possa essere ostile agli immigrati, o che un partito ostile agli immigrati possa non essere neo-nazista.

Il caso tedesco e il caso francese stanno lì a dimostrare che, invece, entrambe le cose sono perfettamente possibili. In Germania, la sinistra sta scoprendo a sue spese che se vuole rimanere al governo non può non fare i conti con la sinistra anti-immigrati di
Sahra Wagenknecht. In Francia, Macron sta prendendo atto che, se vuole dar vita a un nuovo esecutivo, non può continuare a considerare neo-fascisti gli elettori di Marine Le Pen. In entrambi i paesi, i partiti (autoproclamati) democratici si stanno
rendendo conto che – come ha denunciato Alice Weidel – ad essere “profondamente antidemocratico” è il cordone sanitario con cui, in tutti questi anni, hanno escluso forze politiche che rappresentano ormai un elettore su tre.

[articolo uscito sul Messaggero l’8 settembre 2024]

Può esistere un partito sia di destra sia di sinistra?

4 Settembre 2024 - di Luca Ricolfi

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Partiti né di destra né di sinistra non sono rari nelle democrazie. Il tipico esempio sono i partiti liberaldemocratici, che hanno spesso fatto la loro apparizione nei maggiori paesi europei, come il Regno Unito, la Germania, la Francia. Anche l’Italia ha una
lunga tradizione di partiti moderati di centro, sia nella prima Repubblica (pri, psdi, pli), sia nella seconda: recentemente, il Terzo polo di Renzi e Calenda, in passato le infinite varianti del mastellismo-casinismo-follinismo: ccd, cdu, udc, eccetera.

Ma un partito sia di destra sia di sinistra? Può esistere, o è una contraddizione logica, come l’ircocervo che Benedetto Croce evocava per spiegare l’impossibilità del liberalsocialismo?

Dall’8 gennaio di quest’anno dobbiamo invece ritenere che possa esistere. E da ieri, dopo le elezioni amministrative nei länder tedeschi della Germania e della Sassonia, dobbiamo ritenere non solo che possa esistere, ma che possa sfondare. La prova
vivente è la pioggia di voti che, alla sua prima uscita in un’elezione germanica, ha inondato il partito fondato da Sahra Wagenknecht per l’appunto l’8 gennaio. Il partito si chiama Bündnis Sahra Wagenknecht (Lega Sara Wagenknecht), ed è il risultato di una scissione del partito della Linke, la formazione di estrema sinistra radicata nelle regioni della ex Germania dell’Est. Moglie di Oscar Lafontaine, ex leader della Linke, Sahra Wagenknecht è una politica tedesca con una chiara matrice di sinistra, ma si discosta dalla sinistra ufficiale classica, non importa qui se moderata o estrema, su almeno 4 punti fondamentali.

Il primo è il sostegno all’Ucraina, più in generale l’adesione alla Nato, ritenute controproducenti. Il secondo sono le politiche green, troppo costose per i ceti popolari. Il terzo sono gli eccessi del politicamente corretto e dell’agenda LGBT+. Il quarto, di gran lunga il più importante, sono le politiche migratorie, considerate troppo permissive.

In generale, le idee di Wagenknecht si richiamano alla dottrina marxista nel senso che privilegiano i conflitti a livello economico-strutturale, e snobbano quelli di tipo culturale e sovrastrutturale. Di qui la difesa dei lavoratori tedeschi nei confronti della
concorrenza dei migranti, visti come un temibile “esercito industriale di riserva”, e la freddezza rispetto alle rivendicazioni LGBT+.

Il successo di Wagenknecht, che in Turingia ha ottenuto il 16% e in Sassonia il 12%, è cruciale per la politica tedesca perché si è accompagnato a un successo ancora maggiore di Alternative für Deutschland, il partito tedesco più anti-immigrati e più
nostalgico del nazismo, che ormai raccoglie circa 1/3 dei voti in entrambe le regioni. Insieme, i due partiti anti-immigrati sfiorano il 50% dei consensi, a fronte del disastroso risultato dei partiti di governo (socialdemocratici, verdi, liberali), e al discreto ma non sufficiente risultato dei Popolari (24% in Turingia, 32% in Sassonia).
Per questi ultimi si prospetta un dilemma: fare fronte comune con socialdemocratici e Linke contro i due partiti anti-immigrati (BSW e AfD), con il rischio che al prossimo giro possano ottenere la maggioranza dei voti e formare un governo il cui unico vero
obiettivo sarebbe la lotta all’immigrazione illegale; oppure tentare il dialogo con il partito “sia di destra sia di sinistra” di Sahra Wagenknecht, recependo le inquietudini di tanti tedeschi nei confronti degli immigrati.

Resta il fatto che, nei due länder in cui si è votato, i quasi-nazisti di AfD hanno il 30% dei voti, e se Sahra Wagenknecht non avesse canalizzato una parte della protesta contro i migranti, probabilmente veleggerebbero sul 40%.

Qual è la lezione?

Sono tante, e dipendono dai pregiudizi di ciascuno di noi. L’unica lezione difficilmente contestabile è che il partito-ircocervo – sia di destra sia di sinistra – è diventato possibile. Staremo a vedere se solo in Germania.

[articolo uscito sulla Ragione il 3 settembre 2024]

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