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Il futuro della nostra civiltà tecnologica: viaggio fra i possibili scenari

17 Marzo 2025 - di Mario Menichella

In primo pianoSocietà

Il dovere più importante che abbiamo

nei confronti dei nostri discendenti

è quello di sopravvivere”.

                                      (Harold W. Lewis)

 

Come scrivevo già vent’anni fa nel mio libro Mondi Futuri, “tutti noi, quotidianamente, prevediamo o tentiamo di prevedere in qualche modo il futuro. La maggior parte delle persone, però, si interessano esclusivamente ai problemi personali e si limitano a guardare verso il futuro immediato. Soltanto pochi individui si spingono più in là, occupandosi dei problemi che riguardano gli altri abitanti del pianeta e relativi a un futuro non vicino. Eppure, avere una prospettiva globale, prevedere il futuro a lungo termine della società e del mondo intero, non è per l’«Homo technologicus» attuale solo il modo per soddisfare delle curiosità innate; bensì, ora più che mai, rappresenta soprattutto un esercizio utile per la propria sopravvivenza”. Il libro in questione parlava del futuro dell’attuale stato di cose sul nostro pianeta, collocando l’argomento in un contesto via via sempre più ampio, soffermandosi sul futuro della civiltà tecnologica, su quello dell’Homo sapiens, del pianeta Terra, della Galassia e, infine, sul destino dell’intero universo. In questo articolo, però, mi limiterò ad accennare solo ai primi due, ovvero al futuro della civiltà tecnologica ed a quello della nostra specie, dato che interessano sicuramente di più il lettore.

Una chiave di lettura per comprendere il presente

All’alba del terzo millennio, l’umanità si trova, per la prima volta nella sua storia, di fronte a una serie di grandi sfide e di problemi globali emergenti – crescita della popolazione mondiale, impoverimento delle risorse naturali, deterioramento ambientale, crescente vulnerabilità alle epidemie, proliferazione delle armi di distruzione di massa e, in campo economico, degli strumenti derivati, escalation del terrorismo e delle dispute fra Paesi, aumento delle migrazioni internazionali, sviluppo incontrollato dell’intelligenza artificiale, aumento del potere delle lobby e della censura – che minacciano addirittura la sopravvivenza della civiltà tecnologica e dell’intera specie Homo sapiens sul nostro piccolo e fragile pianeta.

Sono queste, infatti, le 10 grandi tendenze globali del cambiamento che stanno plasmando il mondo e di cui ho accennato già in un precedente articolo [1] pubblicato dalla Fondazione Hume e – nel caso di 7 di esse – ancor prima, nel mio saggio Mondi futuri. Viaggio fra i possibili scenari [2], di cui proprio quest’anno ricorre il ventennale della pubblicazione. Un aspetto fondamentale che va sottolineato è che ciascuna delle tendenze di cambiamento menzionate non è stata selezionata dall’Autore casualmente: ognuna di esse, infatti, reca in sé il potenziale di poter innescare, direttamente oppure indirettamente, il collasso della nostra civiltà tecnologica, ovvero del mondo come noi lo conosciamo.

Le 10 principali forze o tendenze planetarie del cambiamento che sono, a mio avviso, all’origine della maggior parte dei più seri problemi globali attuali e delle principali minacce per il futuro della nostra civiltà tecnologica, “sorprese” escluse, evidentemente.(fonte: adattata da M. Menichella, “Mondi futuri”)

Ma, poiché non è possibile fermare lo sviluppo tecnologico, l’unica strada percorribile per colmare il divario oggi esistente fra ciò che bisognerebbe capire ed i mezzi concettuali necessari alla comprensione è quella di realizzare forti “iniezioni” di educazione nei sistemi umani, utilizzando tutti gli strumenti culturali disponibili. L’obiettivo principale di questo articolo è proprio quello di fornire un piccolo contributo in tale direzione, sulla falsariga di quanto feci a suo tempo con il mio libro: proporre delle semplici chiavi di lettura per capire meglio il mondo in cui viviamo e, soprattutto, il mondo verso cui stiamo andando o, peggio, potremmo andare se non riusciamo a governare quanto prima l’“astronave Terra”.

Oggi ci troviamo  in un’epoca assolutamente unica nella storia della vita, dell’uomo e della civiltà: un’epoca caratterizzata, come non mai, da grandi promesse per il futuro; ma, per la prima volta, gravida di micidiali pericoli per la nostra vita e per il nostro benessere, se non addirittura per la sopravvivenza della specie Homo sapiens sulla Terra. In particolare, attualmente stiamo vivendo in un’epoca davvero unica nella storia dell’uomo, perché solo in tempi recenti l’evoluzione culturale della nostra specie ha iniziato ad accelerare in modo straordinario, provocando un divario tecnologico, demografico ed economico senza precedenti tra paesi ricchi e paesi poveri, e una serie di problemi emergenti a livello mondiale che minacciano il nostro benessere e perfino il nostro futuro su questo nostro pianeta.

Siamo la prima specie vivente a rischio di autodistruzione

I precedenti timori sul nostro futuro non sono certamente esagerati se si considera che, a partire da 550 milioni di anni fa, quando si sono sviluppati i primi grandi organismi pluricellulari, sul nostro pianeta sono apparse miliardi di forme viventi profondamente diverse fra loro e che l’Homo sapiens rappresenta la prima e unica specie, nella lunga storia del mondo animale, ad aver raggiunto – sia pure solo negli ultimi decenni dell’attuale civiltà tecnologica – la capacità di provocare, più o meno deliberatamente, la sua stessa estinzione. Ciò è avvenuto verso la metà del secolo scorso, quando la specie umana ha acquisito, per la prima volta, la capacità di autodistruggersi grazie al controllo dell’immensa energia racchiusa nell’atomo, una conquista della nostra civiltà tecnologica ben presto impiegata dalle due superpotenze, USA e URSS, per la costruzione di migliaia di micidiali ordigni nucleari. Da allora, la spada di Damocle di una guerra termonucleare globale capace di provocare l’estinzione del genere umano pende sulle nostre teste, sebbene la fine della Guerra fredda abbia creato in molti l’illusione che il pericolo sia cessato.

Per capire l’eccezionalità dell’epoca storica in cui siamo entrati relativamente da poco, basta riflettere sul fatto che, fino a cinquant’anni fa, l’Homo technologicus – anche volendo – non avrebbe mai potuto provocare la propria estinzione: né con una guerra, né in alcun altro modo. Perfino i conflitti più violenti della storia recente sono stati, infatti, assai limitati, in termini di potenza distruttiva, rispetto a un moderno missile carico di testate nucleari. La bomba di tipo convenzionale più potente utilizzata durante la Seconda guerra mondiale aveva una potenza di circa 10 tonnellate di TNT (trinitrotoluene, ovvero tritolo), mentre tutte le bombe riversate dagli alleati sulle forze irachene durante l’intera Prima guerra del Golfo non hanno superato, complessivamente, le 85.000 tonnellate di TNT. Una testata nucleare media di un missile balistico ha invece una potenza dell’ordine del megaton, equivalente, cioè, a ben 1.000.000 di tonnellate di TNT. Inoltre, molti missili che fanno parte dell’arsenale strategico delle potenze nucleari sono a testata multipla: hanno, cioè, più testate, indirizzabili ciascuna su un obiettivo diverso.

Oggi l’umanità è costretta a passare attraverso una sorta di “collo di bottiglia” evolutivo, stretto e senza precedenti. È come se noi stessimo conducendo sulla nostra specie un gigantesco esperimento che non ammette possibilità di errore. L’unica strada per uscire davvero da questo collo di bottiglia che abbiamo appena imboccato è quella, troppo lontana nel tempo per rappresentare una soluzione realistica e pratica, di colonizzare prima lo spazio vicino alla Terra e, poi, di espandersi gradualmente nella Galassia: l’emigrazione di un cospicuo numero di persone in zone lontane del Sistema Solare, e in seguito della Via Lattea, libererebbe la specie umana dall’incombente minaccia di estinzione. Infatti, le varie colonie create nello spazio profondo dai nostri discendenti sopravviverebbero a qualsiasi catastrofe terrestre e, grazie alle enormi distanze reciproche che le renderebbero, di fatto, dei mondi isolati dal nostro pianeta e fra loro, potrebbero continuare a percorrere ciascuna una differente strada evolutiva, contro l’unica attuale.

Una rappresentazione artistica del “collo di bottiglia” evolutivo in cui si trova oggi l’umanità, realizzata dall’Autore con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. Si noti come all’orizzonte incomba lo spettro di una catastrofe nucleare.

Con la trasformazione del cosmo in un nuovo e sconfinato habitat per l’uomo, il pericolo di una nostra completa estinzione potrebbe venir fugato addirittura per sempre. Ma vi è pure un’altra ragione per cui lo spazio potrebbe un giorno costituire, oltre che una garanzia di salvezza, la frontiera finale del genere umano. Il fatto è che, al ritmo di crescita degli ultimi decenni, l’aumento della popolazione, del consumo delle risorse non rinnovabili, del deterioramento ambientale ed i numerosi altri trend negativi in atto non sono sostenibili a lungo sul nostro piccolo pianeta: dunque, lo sviluppo quasi esponenziale che sta caratterizzando, qui sulla Terra, la nostra epoca sembra dover rappresentare soltanto una fase transitoria nella lunga storia dell’uomo e della civiltà. Ma che cosa potrà allora succedere all’umanità, sia nel bene che nel male, nei prossimi anni, secoli o perfino milioni di anni? Quale potrebbe essere, insomma, il futuro a breve, medio e lungo termine della nostra civiltà tecnologica e dell’intera specie umana?

La futurologia, ovvero l’arte di prevedere il futuro

Ovviamente, se ci limitiamo a estrapolare oltre il lecito le tendenze attuali, non arriviamo al futuro ma a una caricatura del presente. Per fortuna, esiste una tecnica predittiva più raffinata, applicabile anche sul medio termine e resa possibile solo in tempi relativamente recenti dall’introduzione del computer: è quella della previsione, per così dire, “scientifica” del futuro. Si tratta di una rivoluzione concettuale, perché occorre vedere tutto in termini di “sistemi”: si parla, così, di sistemi umani o socioculturali (ad es., famiglia, nazione, società mondiale), di sistemi naturali o biologici (gruppo di specie, ecosistema, biosfera) e di sistemi fisici (Sistema Solare, galassia, universo). In generale, un sistema interagisce con altri sistemi o ne fa semplicemente parte (ad es., una nazione appartiene alla società mondiale), e il suo stato è di solito descritto dal valore di alcune “variabili” o parametri, sebbene non possa essere ridotto soltanto a queste. Prevedere il futuro di un sistema, quindi, significa valutare l’andamento futuro delle sue variabili.

Ebbene, l’approccio scientifico alla predizione del futuro consiste nel compiere le estrapolazioni sulla base di un modello del sistema che ci interessa: si cerca, cioè, di trovare delle relazioni matematiche tra le diverse variabili del sistema in modo da poterlo descrivere il più fedelmente possibile e da poter poi effettuare simulazioni del suo comportamento con l’aiuto del computer. Nel caso dei sistemi fisici, spesso è la teoria stessa che fornisce, attraverso alcune leggi, la relazione matematica tra le diverse variabili: il moto dei pianeti nel Sistema Solare, per esempio, è prevedibile in modo preciso perché descritto dalla legge di gravitazione universale di Newton. Ciononostante, questo e alcuni altri sistemi fisici (e non) esibiscono un comportamento caotico: ovvero, un lieve mutamento delle condizioni iniziali conduce a grandi differenze nel risultato finale. In pratica, se un sistema è caotico, esiste una scala di tempo oltre la quale non si possono fare previsioni accurate, ma solo in termini di probabilità: ad esempio, per il sistema atmosfera – e, più in generale, in meteorologia – essa è di appena cinque giorni.

In linea di principio, il metodo dei modelli e delle simulazioni è applicabile, oltre che ai sistemi fisici, a numerose altre situazioni: economia, ecologia, politica, clima, sviluppo demografico e tecnologico sono tutti campi in cui entrano in gioco sistemi complessi e comportamenti umani che mettono alla prova le nostre capacità predittive. Tuttavia, quando c’è di mezzo l’uomo, di solito le variabili che descrivono il sistema sono tantissime e tutte collegate fra loro da complessi cicli di retroazione, il che complica enormemente qualsiasi tentativo di previsione. In tal caso i modelli, specie su tempi abbastanza lunghi, non possono prevedere quale sarà il futuro, ma consentono di pensare ad esso in modo più concreto e quantitativo. Infatti, variando le condizioni del sistema all’inizio o nel corso della simulazione, si può vedere che cosa accadrebbe sotto una varietà di ipotesi, e quindi imparare moltissimo su uno specifico argomento semplicemente analizzando quali e quanto grandi siano gli effetti prodotti da determinati cambiamenti.

La previsione del futuro diventa davvero molto difficile quando c’è di mezzo l’uomo, come mostrato in questa rappresentazione artistica realizzata dall’Autore con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. Infatti, prevedere il futuro dell’umanità è incredibilmente complesso, non solo per la molteplicità di variabili in gioco – tecnologiche, ambientali, sociali e politiche – ma anche perché l’essere umano, da sempre, cerca di dare un senso al proprio destino attraverso il trascendente. Questa tensione verso qualcosa che va oltre la realtà tangibile può influenzare le nostre decisioni e visioni del futuro, rendendo ancora più difficile una previsione puramente razionale o matematica. Alla fine, quindi, il futuro dell’umanità è una sorta di combinazione di logica, caos e speranza.

Se il futuro dell’uomo e della civiltà non si può prevedere per via matematica, una tecnica relativamente recente ma ampiamente usata consente di saperne di più, anche sul lungo termine, ed è quella di “ragionare per scenari”. Si tratta di fare congetture ragionevoli e alternative fra loro sull’avvenire – gli scenari, per l’appunto – usando molta immaginazione e basandosi sulla conoscenza dei punti fermi, delle incertezze e delle tendenze principali del nostro tempo in campo sociale, economico, politico, tecnologico, eccetera. Naturalmente, se per ogni tendenza si adotta un trend estremamente positivo, si ottiene uno scenario positivo, e in effetti gli scenari più semplici da ottenere sono quelli totalmente ottimistici o pessimistici, ma si possono immaginare una serie di scenari intermedi. Dunque gli scenari permettono, più che di prevedere un ben preciso futuro, di capire meglio la situazione nella sua globalità, di valutare l’importanza di certi eventi o di loro combinazioni, nonché di fare ipotesi sui vari possibili mondi futuri tenendo conto delle “sorprese”, cioè degli eventi per loro natura imprevedibili.

Quali sono i futuri possibili per una civiltà tecnologica?

Il problema di come una generica civiltà tecnologica giunta ad uno stadio di sviluppo simile al nostro possa in seguito evolvere è stato affrontato in passato – sia pure con scopi completamente diversi – non tanto da futurologi, sociologi, economisti o storici, quanto, piuttosto, da una ristretta categoria di ricercatori: quella degli astronomi, dei fisici e degli ingegneri impegnati nella caccia a ipotetiche civiltà extraterrestri che potrebbero nascondersi nelle profondità dell’universo.

In particolare, analizzando i molteplici possibili sbocchi evolutivi futuri di una società tecnologica aliena evolutasi sulla falsariga della nostra, alcuni scienziati interessati al SETI (acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence) hanno tentato di valutare, negli ultimi quarant’anni, la durata media di una civiltà tecnologica extraterrestre. Essa, infatti, indicata di solito con la lettera L, rappresenta uno dei parametri fondamentali della famosa “equazione di Drake”, la semplice formula matematica proposta negli anni Sessanta dal radioastronomo americano Frank Drake per stimare il numero di civiltà aliene potenzialmente contattabili oggi presenti nella Galassia. In base a tale equazione, maggiore è la durata media di eventuali società tecnologiche extraterrestri in grado di inviare o ricevere segnali radio, di costruire sonde spaziali, o di manifestare in qualche modo la propria esistenza o di rilevare la presenza altrui, e maggiore è – a parità di altri fattori contemplati dalla formula di Drake – la probabilità, per la nostra giovanissima civiltà, di entrare prima o poi in contatto con delle intelligenze aliene.

Ebbene, uno dei risultati per noi più importanti di questi originali studi è che, prendendo come modello la nostra attuale società tecnologica, si possono immaginare vari tipi di scenari futuri. Il più pessimistico prevede la scomparsa definitiva della specie umana a causa di un’improvvisa e rapida autodistruzione oppure di una catastrofe di origine astrofisica: eventi che, in linea di principio, possono avvenire anche l’anno prossimo, come pure tra secoli o millenni. Invece, lo scenario più ottimistico è quello della sopravvivenza della specie umana e di un progresso tecnologico continuo o quasi-continuo: cioè, di uno sviluppo della tecnologia fino ai suoi estremi limiti, in un futuro che ha apparenti analogie con quello ipotizzato da molti scrittori di fantascienza. Tra queste due ipotesi estreme – e forse per questo, sebbene non necessariamente, meno plausibili – vi sono poi tutta una serie di possibilità intermedie, che racchiudono probabilmente l’evoluzione futura effettiva della nostra civiltà tecnologica.

I due scenari limite ottimistico e pessimistico, e quelli intermedi, possono venire visualizzati in maniera rozza – ma sicuramente assai intuitiva – su un grafico, riportando sull’asse orizzontale il tempo e su quello verticale il livello di sviluppo raggiunto dalla nostra civiltà tecnologica in funzione, appunto, del tempo. Per livello di sviluppo si intende, sostanzialmente, la capacità raggiunta fino a quel momento dall’uomo di allentare la propria dipendenza dai vincoli posti dalla natura. Nel grafico da noi proposto, tuttavia, l’andamento nel tempo del grado di sviluppo a partire dai primi Homo sapiens a oggi è rappresentato, per semplicità, con una linea quasi-retta, la quale potrebbe far pensare a un progresso lineare nel tempo; il che, ovviamente, è vero solo in primissima approssimazione, dal momento che, nella storia umana, a momenti di crescita molto rapidi si sono alternati lunghi periodi pressoché di stasi. L’andamento preciso della curva, in ogni caso, dipende da come viene misurato il livello di sviluppo raggiunto: se, ad esempio, dal grado di complessità dei manufatti prodotti, dalla quantità di informazione gestita, e così via.

Il futuro forse più realistico della nostra civiltà tecnologica, almeno sul brevissimo termine, è compreso tra i due scenari estremi: quello assai pessimistico di una rapida autodistruzione e quello, assai ottimistico, di un progresso tecnologico continuo. (fonte: adattata da M. Menichella, “Mondi futuri”)

Nell’ambito degli scenari futuri intermedi, si possono immaginare innumerevoli andamenti per la curva del livello di sviluppo tecnologico, dati dalle possibili combinazioni di fasi più o meno lunghe di stagnazione, di parziali cadute, di oscillazioni, eccetera. Infatti, il progresso tecnologico praticamente continuo attuale potrebbe essere, piuttosto presto, rallentato o interrotto in modo più o meno brusco da varie cause, quali crisi ambientali, sociali, economiche, oppure distruzioni e catastrofi dovute all’azione dell’uomo o della natura. D’altra parte, se il grado di sviluppo della tecnologia umana scendesse, in seguito a tali eventi, ben al di sotto del livello odierno, si potrebbe avere la fine della civiltà tecnologica propriamente detta – magari a vantaggio di una società più simile a quella, non tecnologica, della Grecia classica – o la fine della stessa civiltà, che significherebbe precipitare in uno stato di barbarie. Almeno nel primo caso, però, una nuova civiltà potrebbe risollevarsi ai livelli di oggi e superarli; o, al contrario, non tornare a uno stadio di sviluppo tecnologico elevato, ma riuscire, in compenso, a sopravvivere più a lungo.

L’imprevedibilità del futuro: la “singolarità” e le “sorprese”

In realtà, gli scenari fortemente ottimistici – o quelli intermedi, che prevedono comunque un discreto progresso tecnologico futuro – possono essere delineati in maniera ancora abbastanza attendibile finché non si supera una certa soglia di sviluppo, oltre la quale non solo non è possibile prevedere granché di preciso, ma probabilmente non ha nemmeno troppo senso parlare di civiltà tecnologica: ad esempio, perché la società umana si sarà evoluta in qualcosa di assai differente, di cui ciò che noi oggi chiamiamo civiltà tecnologica rappresenta soltanto uno stadio di passaggio. Per lo stesso motivo, del resto, non ha granché senso parlare di società tecnologica per l’epoca degli antichi Romani, e mai quei nostri lontani progenitori si sarebbero potuti figurare la moderna società umana. La soglia oltre la quale il futuro diventerà, per definizione, qualcosa di inimmaginabile rappresenta un momento importante nell’evoluzione dell’odierna civiltà, ed è chiamata dai futurologi “singolarità”: in pratica, la si raggiungerà quando i limiti del prevedibile verranno superati in una vasta gamma di aree tecnologiche fondamentali.

A sinistra: La singolarità tecnologica impedisce, in linea di principio, la previsione di ciò che accadrà dopo di essa (qui rappresentato con l’area più scura). Il movimento filosofico e culturale del transumanesimo da una parte, e la fantascienza dall’altra, possono illuminarci su questa sorta di “zona d’ombra” del nostro futuro. A destra: il tumultuoso sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe portare a una “singolarità” (ed eventualmente a esseri “trans-umani”) molto prima di quanto si creda, impedendoci di fare previsioni sull’evoluzione successiva della nostra civiltà tecnologica. (fonte della figura di sinistra: adattata da M. Menichella, “Mondi futuri”)

Non sappiamo, purtroppo, quanto la singolarità potrebbe collocarsi lontano nel futuro, come pure non abbiamo indicazioni quantitative riguardo l’ancor più importante parametro L, la durata media di una civiltà tecnologica capace almeno di inviare onde radio nello spazio e di riceverne (e dunque con un grado di sviluppo sostanzialmente uguale o anche ben superiore al nostro). Una stima pessimistica porta ad attribuire ad L un valore di poche decine di anni, pari al tempo che può trascorrere, ad esempio, dall’invenzione dei radiotelescopi a una guerra termonucleare globale che provochi una prematura autodistruzione della civiltà. Una stima ottimistica, invece, per quanto ne sappiamo, potrebbe concedere a una civiltà tecnologica una durata di milioni, o addirittura miliardi, di anni: per la verità, non conosciamo un limite superiore a tale longevità, se non quello generico – e comunque estremamente lontano nel tempo per preoccuparsene – rappresentato dal progressivo venir meno di certi requisiti di abitabilità dovuti all’invecchiamento della propria stella, della propria galassia e, infine, dell’intero universo.

Il futuro della nostra civiltà tecnologica si articola, come il passato, su diverse scale temporali, sebbene non sia possibile sapere con esattezza su quale scala si collocheranno i grandi eventi legati all’uomo o ai suoi lontani discendenti. Su una scala temporale molto breve – diciamo, di pochi anni – è ragionevole tentare di estrapolare quasi tutte le tendenze attuali ed escludere, salvo sorprese catastrofiche, cambiamenti radicali. Su una scala temporale di 100 anni, importanti accadimenti storici e rivoluzionarie scoperte scientifiche impediscono già previsioni precise dell’evoluzione successiva. Su una scala di 1.000 anni, si può assistere alla colonizzazione umana del Sistema Solare, come pure al declino della civiltà occidentale e alla comparsa di altre civiltà dominanti. Su una scala di 10.000 anni, l’uomo può scomparire per sempre, o espandersi nello spazio interstellare, magari decidendo nel frattempo di intervenire geneticamente su se stesso a livello di specie. Su una scala di 100.000 o più anni, risulta impossibile fare previsioni, ma probabilmente il nostro destino – buono o cattivo che sia – sarà già stato deciso da tempo.

In realtà, sul breve termine, questo dell’estrapolazione dal passato è un metodo che in genere funziona piuttosto bene, purché ad alterare gli sviluppi futuri non intervengano nel frattempo delle “sorprese”, cioè degli eventi inattesi in grado di modificare bruscamente i cambiamenti che i trend in corso sembrano suggerire. Si tratta di un’ipotesi di solito abbastanza ragionevole nel caso dei sistemi fisici e naturali, molto meno nella nostra società o comunque quando entrano in gioco i comportamenti umani. Per definizione stessa, le sorprese sono eventi – spesso di grande impatto e talvolta catastrofici – che non è possibile anticipare perché mai accaduti prima o perché difficilmente prevedibili: ne sono un esempio l’invenzione del transistor e la formazione del buco nell’ozono, la comparsa del morbo della mucca pazza e dell’epidemia di SARS, nonché il terribile attacco terroristico dell’11 settembre. Le sorprese rendono tipicamente poco attendibili le estrapolazioni delle tendenze umane superiori ai 10-20 anni nel futuro, e possono “mandare all’aria” anche le proiezioni a brevissimo termine.

I rischi globali terminali e quelli sopportabili

L’uomo, sin dalle sue origini, è stato esposto a varie minacce relative alla sua sopravvivenza – malattie, guerre, carestie, eccetera – ma si è sempre trattato di pericoli superabili dall’umanità nel suo insieme. Oggi, invece, per la prima volta nella Storia, sta emergendo una categoria di rischi completamente nuova: quella dei rischi globali terminali, cioè delle minacce in grado di causare la scomparsa in breve tempo dell’intero genere umano, oppure di compromettere in modo drastico e permanente il suo potenziale di sviluppo futuro. Un bang, o “botto”, che provochi l’estinzione rapida e improvvisa dell’Homo sapiens, è l’esito più ovvio e concettualmente facile da capire di un rischio globale terminale. Due modi in cui già ora il mondo potrebbe finire in un botto sono una guerra mondiale combattuta con armi termonucleari e la caduta sulla Terra di un grosso corpo asteroidale o cometario. Ma un crunch, o “lento declino”, della civiltà, come sarebbe ad es. quello provocato da un inarrestabile effetto serra a valanga, non sarebbe meno grave di un botto, se portasse la società a un arresto tecnologico senza fine.

Inoltre, mentre alcuni eventi sono in grado di spazzare direttamente via l’Homo sapiens dal pianeta, altri possono provocare “solo” il rapido collasso della moderna civiltà, in quanto almeno una piccola parte degli esseri umani riuscirebbe a sopravvivere. È il caso, ad esempio, di un’epidemia assai diffusa e letale, di una guerra termonucleare dagli effetti limitati, o magari della caduta di un corpo extraterrestre dalle dimensioni non troppo grosse. Ora, però, non è detto che, una volta collassata, la civiltà possa risorgere e superare i livelli di sviluppo pre-crisi, anche se la specie umana dovesse sopravvivere ancora a lungo. Noi potremmo, ad esempio, aver già esaurito o consumato troppe delle risorse facilmente disponibili di cui una società tornata a vivere alle condizioni dell’età della pietra avrebbe bisogno per raggiungere il nostro livello di tecnologia. Per di più, una razza umana precipitata in uno stato primitivo sarebbe vulnerabile ai processi naturali di estinzione né più né meno di qualsiasi altra specie animale.

I rischi terminali vanno poi ben distinti dai rischi globali sopportabili, cioè quelli che non provocano né l’estinzione dell’umanità, né il suo retrocedere permanente a uno stato di barbarie o a un livello (più basso rispetto all’attuale) di civiltà “quasi non tecnologica”. Questo tipo di rischi include, ad esempio, una recessione economica mondiale senza precedenti, un riscaldamento globale moderato, una consistente perdita della biodiversità planetaria, una guerra su larga scala combattuta con armi convenzionali. Purtroppo, la soglia critica che, per un dato tipo di evento, separa le conseguenze terminali da quelle sopportabili – cioè che distingue un botto “finale” da uno che non lo è – risulta sempre assai difficile da determinare. Naturalmente, il fatto che un rischio globale sia sopportabile non significa che sia accettabile o non particolarmente serio, ma solo che l’umanità può alla fine riprendersi e che gli effetti, per quanto gravi, sono da considerarsi transitori. D’altra parte, è anche vero che un rischio globale sopportabile potrebbe costituire un rischio terminale per molti individui o, localmente, per intere popolazioni.

I rischi globali terminali e i rischi globali sopportabili, in effetti, non sono altro che due delle categorie in cui si possono classificare qualitativamente i rischi. In base alle conseguenze dell’evento e alla sua portata, cioè alle dimensioni del gruppo di persone minacciate, distinguiamo difatti 6 diversi tipi di rischi, come nella tabella qui sotto: i rischi “sopportabili” (che possono essere personali, locali o globali) ed i rischi “terminali” (personali, locali o globali). “Globale” significa che il rischio riguarda l’intero genere umano ed i suoi discendenti; “personale” o “locale” che riguarda, rispettivamente, il singolo individuo o un gruppo circoscritto di persone. Per ogni classe di rischio è riportata in tabella una conseguenza tipica: a livello personale, ad esempio, la morte – ma pure un danno fisico permanente o una condanna al carcere a vita – sono eventi terminali, perché precludono all’individuo la possibilità di vivere il tipo di vita a cui aspira. Infine, un ulteriore parametro che caratterizza ogni rischio è, ovviamente, la sua probabilità di verificarsi: a parità di altri fattori, una minaccia è tanto più seria quanto maggiori probabilità ha di concretizzarsi.

Tabella che mostra una semplice classificazione qualitativa dei diversi tipi di rischi in base alle conseguenze dell’evento e alla portata della minaccia. (fonte della tabella: M. Menichella, “Mondi futuri”)

Il mondo sta andando verso uno schianto…

Lo sviluppo tecnologico della nostra civiltà è diventato ormai rapidissimo e, col suo stesso realizzarsi, fornisce all’uomo mezzi di distruzione sempre più potenti. Se non saremo in grado di controllare la nostra tecnologia, potremmo arrivare ad autodistruggerci all’improvviso e in un tempo relativamente breve: noi chiameremo “schianto” (bang), o “botto”, questa possibile fine della civiltà o dell’intera umanità.

In effetti, la rapida catastrofe associata a uno schianto può, a seconda delle caratteristiche specifiche dell’evento scatenante, provocare varie conseguenze immediate sul genere umano. La peggiore eventualità è rappresentata dall’estinzione della nostra specie, l’Homo sapiens: si tratterebbe, ovviamente, della prima irreparabile crisi della nostra civiltà tecnologica, fatale a tal punto che rimarrebbe anche l’unica, perché non riusciremmo a superarla. Ma se una piccola parte dell’umanità sopravvivesse al disastro, i danni dello schianto si limiterebbero, almeno inizialmente, al repentino collasso dell’attuale civiltà tecnologica, o della civiltà tout court. Un simile esito potrebbe costituire solo una fase transitoria, che non inibirebbe una successiva crescita della civiltà umana oltre i livelli di sviluppo finora raggiunti; o, al contrario, potrebbe compromettere in modo drastico e permanente il potenziale di sviluppo futuro della nostra civiltà tecnologica, che pertanto non ritornerebbe mai più nemmeno ai livelli pre-crisi. In quest’ultimo caso, un’umanità divenuta vulnerabile potrebbe anche finire per estinguersi prematuramente.

Pertanto, si può immaginare l’esistenza di due “soglie” importanti in relazione al livello di sviluppo tecnologico a cui precipita la civiltà immediatamente dopo il botto. Esse permetterebbero di separare i tre possibili esiti finali dello schianto: una prima soglia separerebbe l’esito finale dell’estinzione dell’uomo dal collasso permanente della civiltà tecnologica al di sotto dei livelli pre-crisi; mentre una seconda soglia, più alta, separerebbe tale collasso permanente da un collasso solo temporaneo della nostra civiltà. Il grado di sviluppo tecnologico post-bang corrispondente a ciascuna soglia, però, non è definito da un valore preciso, bensì da un ampio intervallo di valori, perché l’esito finale di uno schianto può variare col tempo trascorso dal botto. Infatti, più questo è lungo, maggiore è la probabilità che la popolazione sopravvissuta al collasso della civiltà si possa, nel frattempo, estinguere. E, nello stesso arco di tempo, una civiltà che all’inizio sembrava incapace di “risollevarsi” dal collasso potrebbe invece risorgere; mentre, al contrario, una ritenuta in grado di superare lo schianto, potrebbe non recuperare.

A sinistra, un libro dell’amico Roberto Vacca, futurologo, che affrontava (in maniera alquanto sommaria) il tema della degradazione dei grandi sistemi. A destra, una figura da me realizzata oltre vent’anni fa per affrontare in maniera più analitica l’argomento del futuro della nostra civiltà tecnologica e dei vari scenari possibili. Essa mostra le due importanti soglie nel livello di sviluppo post-bang che separano i tre possibili esiti di uno schianto, o bang, della nostra civiltà tecnologica. Esse dipendono dal tempo T al quale si valutano tali esiti. In particolare, per la soglia 2, che separa il collasso permanente sotto i livelli pre-crisi dal collasso solo temporaneo, esiste un intero intervallo di valori di soglia che diventa sempre più ampio al crescere di T. (fonte: figura di destra adattata da M. Menichella, “Mondi futuri”)

Può essere, quindi, assai difficile stabilire a priori se le conseguenze di un evento che provochi uno schianto dalla prevedibile portata immediata collochino questo al di sopra o al di sotto delle due soglie critiche – e, nel senso appena illustrato, ambigue – che determinano se si avrà poi, sul lungo termine, un certo esito piuttosto che uno del tutto diverso. Un semplice esempio è rappresentato dalla collisione contro la Terra di un asteroide vagante nello spazio, i cui effetti dipendono, in primo luogo, dalle dimensioni del proiettile cosmico. Se quest’ultimo fosse un asteroide del diametro di 100 chilometri, l’estinzione del genere umano, a causa delle catastrofi che conseguenze climatiche innescate dall’impatto, sarebbe assicurata: cioè l’evento si collocherebbe al di sotto di entrambe le precedenti soglie critiche. Se il diametro dell’asteroide fosse di appena 100 metri, al contrario, le conseguenze dell’urto sarebbero locali e limitate, e l’evento si collocherebbe al di sopra di entrambe le soglie. Non è invece nota la posizione rispetto alle due soglie di un evento intermedio, quale l’impatto con un corpo largo pochi chilometri.

La soglia che separa un crollo improvviso e permanente della civiltà quale noi la conosciamo da un collasso e un ritorno solo temporaneo al livello di una civiltà primitiva rappresenta, già di per sé, una vera e propria incognita. Difatti, la nostra moderna società, che soprattutto nei paesi avanzati è basata sul perfetto funzionamento di grandi strutture e organizzazioni, nonché di grandi sistemi tecnologici, risulta particolarmente fragile e vulnerabile a eventi catastrofici di eccezionale portata che ne riducano in modo rapido e massiccio la popolazione. D’altra parte, la capacità di recupero di una società sottoposta a una rapidissima degradazione dei propri sistemi sociali e tecnologici è proprio uno degli elementi fondamentali che non conosciamo bene. Sui relitti di una civiltà crollata e frazionata in molte piccole realtà indipendenti, autarchiche e arretrate potrebbe in seguito nascere, da qualche isola di ordine sociale magari posta in aree del mondo oggi in via di sviluppo, una nuova civiltà tecnologica; o, diversamente, potrebbero regnare sempre più incontrastati il caos e la barbarie: semplicemente, non lo sappiamo.

Vi sono almeno tre modi noti in cui l’attuale società tecnologica potrebbe già oggi crollare prematuramente in uno schianto come spiacevole risultato del suo stesso sviluppo. Una possibilità ovvia è una guerra nucleare globale seguita da un fallout devastante, che provocherebbe l’estinzione della specie Homo sapiens e di gran parte della vita presente sulla Terra. Come nei quarant’anni di Guerra Fredda, questo tipo di schianto sembra oggi diventato di nuovo probabile, mentre è in diminuzione – grazie ai vaccini a mRNA – il grado di rischio di una pandemia naturale altamente letale, che non potrebbe provocare l’estinzione della nostra specie ma una sua significativa riduzione numerica: evento in teoria sufficiente a far collassare la nostra civiltà. Il terzo e ultimo pericolo mortale, che al contrario si va facendo più probabile con il passare degli anni, è rappresentato dalla messa a punto, in qualche laboratorio, di una micidiale arma genetica, una sorta di “arma finale”: un patogeno in grado di sterminare l’intero genere umano o quasi, e che potrebbe venire impiegato in maniera deliberata o sfuggire al controllo dei suoi ideatori.

…o verso una lenta crisi su scala globale?

L’altro modo in cui la nostra civiltà tecnologica potrebbe regredire rispetto al livello di sviluppo attuale è quello non di un crollo improvviso, bensì di un ben più lento “lamento”: un declino, insomma, assai più graduale – riguardante una scala temporale di decenni, invece che di settimane o mesi – dovuto ai crescenti stress esercitati dall’attività dell’uomo sui sistemi naturali e sui sistemi umani medesimi, e destinati a diventare, oltre una certa soglia, insostenibili.

Il crescente impatto dell’uomo sull’ambiente non sarebbe un problema se non fosse per il fatto che il nostro pianeta ha – globalmente e localmente – una limitata “capacità di carico” o di sostentamento della popolazione, che dipende sia dalla quantità di risorse non rinnovabili di cui esso dispone, sia dalla capacità dell’ambiente di sostenerne le attività. In ecologia, la capacità di carico è definita come “il massimo numero di esemplari di una data specie che un determinato habitat è in grado di sostentare indefinitamente”: quando tale livello massimo viene superato – magari per una crescita eccessiva, non “sostenibile”, appunto, della popolazione – inizia il declino delle risorse, cui farà poi seguito il declino della popolazione stessa. Ad esempio, nel caso di una popolazione batterica che si moltiplica in laboratorio nel mondo limitato di una capsula di Petri, la crescita non è sostenibile proprio a causa della capacità di carico: prima o poi, i batteri consumano tutte le risorse disponibili e vengono sommersi dai propri rifiuti, o “inquinamenti”, estinguendosi, una fine certamente non bella.

Naturalmente, le interazioni umane con l’ambiente sono molto più complesse di quelle dei batteri e una fine simile, per l’uomo, sembrerebbe improponibile. Tuttavia, nella storia della nostra specie esiste un “fresco” precedente, riguardante l’isola di Pasqua, che dovrebbe farci riflettere. Milleseicento anni fa, quando venne colonizzata dai polinesiani, l’isola era un vero paradiso, ricco di foreste, di animali e di terra fertile. Dopo secoli di pace e di prosperità in cui i colonizzatori crearono una società sofisticata dal punto di vista economico, politico e culturale – testimoniata anche dalle famose statue giganti – per la crescita della popolazione gli alberi vennero tagliati a un ritmo superiore a quello di rigenerazione. La conseguente scarsità di legna per le imbarcazioni ridusse la quantità del pescato, costringendo a una caccia intensiva, mentre l’erosione del suolo dovuta alla deforestazione provocò la diminuzione dei raccolti. A causa della fame così sopraggiunta, si scatenarono gravi disordini; e, quando gli europei arrivarono sull’isola, nel 1772, i pochi superstiti vivevano ormai in uno stato di cannibalismo e di violenza su una distesa sterile e desolata.

Un’immagine realizzata dall’Autore, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, di come verosimilmente appariva l’Isola di Pasqua dopo che i suoi abitanti avevano dissennatamente esaurito le risorse che garantivano il loro sostentamento, costringendoli al cannibalismo. Donde l’importanza del concetto di “capacità di carico”, che rappresenta il numero di persone che possono essere supportate in una determinata area entro i limiti delle risorse naturali, senza degradare l’ambiente naturale, sociale, culturale ed economico per le generazioni presenti e future.

Come ci insegna il semplice ma istruttivo esempio dell’isola di Pasqua, infatti, il vero guaio rappresentato dal superamento della capacità di carico a causa dell’eccessivo impatto dell’attività umana sull’ambiente e sugli ecosistemi, è che ciò può provocare, attraverso una fitta rete di rapporti causali tra le varie componenti in gioco, un forte impatto anche sulla società e sui suoi vari sistemi sociali, economici e politici. In altre parole, un impatto crescente dell’uomo sui sistemi naturali, oltrepassata una determinata soglia critica, produrrebbe un notevole impatto – con esito potenzialmente catastrofico – anche sui sistemi umani. Qualora la pressione sui sistemi naturali diventasse insostenibile, si avrebbe un lento declino della società, poiché si innescherebbe un processo di instabilità che porta a un deterioramento irregolare ma relativamente continuo della condizione umana; e, se il sistema è del tutto isolato e in balìa di se stesso, la popolazione e la sua crescita tenderebbero a ridursi a valori molto più bassi di quelli massimi pre-crisi.

Poiché non abbiamo ancora colonizzato lo spazio, la Terra rappresenta di fatto un habitat isolato, sebbene di gran lunga più vasto e complesso della remota e sperduta isola di Pasqua. Ora, fino a un paio di secoli fa, la popolazione umana e i relativi consumi erano così limitati che la capacità di carico poteva essere superata giusto su un’isola. Oggi, però, le tre maggiori “correnti” del cambiamento – crescita della popolazione, sviluppo tecnologico e aumento del benessere economico – sono tali che l’impatto dell’attività umana sui sistemi naturali è rilevante sia per valori assoluti sia per ritmo di incremento. Il rischio è dunque che la capacità di carico venga oltrepassata, un giorno probabilmente non troppo lontano, anche a livello planetario, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare. Estrapolando su scala globale gli esempi precedenti, il timore è che non soltanto singoli paesi sottosviluppati, ma addirittura il mondo nella sua interezza e le sue istituzioni, entrino in gravissima crisi quando gli eccessivi tassi di crescita attuali portino al superamento della capacità di carico della Terra.

L’interazione fra i trend e le soglie critiche dei sistemi socio-politico-economici

Inoltre, capita di rado che gli attuali trend in materia di popolazione-risorse-ambiente agiscano da soli: il più delle volte, interagiscono con le altrettanto preoccupanti tendenze in tema di malattie, migrazioni, armi di distruzione di massa e terrorismo. In altre parole, l’inquinamento dell’ambiente globale ed i livelli intollerabili di consumo delle risorse sono soltanto due variabili di una serie di fattori politici, economici, sociali ed ecologici in grado di generare direttamente disordini o crisi, soffocando lo sviluppo di un paese o di un’intera società. Il crescente impatto dell’uomo sui sistemi umani non sarebbe tuttavia così temibile se questi ultimi non avessero, come i sistemi naturali, delle soglie critiche e instabili – poco o per niente conosciute – che potrebbero venire, prima o poi, raggiunte e oltrepassate a causa degli stress sempre maggiori a cui le strutture socio-politico-economiche sono sottoposte. A rischio, in particolare, risulta l’equilibrio geopolitico tra alcune superpotenze nucleari, come pure quello fra il Nord del mondo, ricco e industrializzato (con l’Europa e gli Stati Uniti in testa), e il Sud povero ed in via di sviluppo.

L’Occidente, in effetti, si rende conto che la sua sicurezza e il suo benessere, per la prima volta, sono messi in forse da minacce non più solo di tipo militare, che provengono soprattutto dal Sud economico del pianeta e risultano difficili da tenere sotto controllo. Esse sono, da una parte, quelle dirette, rivolte agli interessi vitali e all’integrità territoriale delle nostre nazioni: parliamo del rischio di attentati o, addirittura, di attacchi missilistici con armi di distruzione di massa, scatenati da gruppi terroristici internazionali o da Stati-canaglia. Invece, le minacce indirette, non militari, alla sicurezza e al benessere occidentale provenienti dal Sud del mondo sono quelle derivanti dal degrado dell’ambiente globale, dal rapido esaurimento delle risorse planetarie, dall’emergere di nuove malattie e dal rischio di immigrazioni massicce: tutti fenomeni che nascono, di solito, nei paesi in preda all’esplosione demografica, e sono resi ancor più inquietanti dal sorgere di movimenti radicali islamici, dall’allargarsi del divario economico Nord-Sud e dalla sempre più iniqua distribuzione mondiale di risorse primarie e di tecnologie.

Già solo il divario demografico e tecnologico sempre più ampio fra il Nord ricco e il Sud povero del mondo potrebbe portarci sul medio termine – cioè nei prossimi decenni, e forse secoli – allo stesso risultato di una catastrofe ben più spettacolare e repentina. Questo perché gli attuali andamenti in tema di popolazione-ambiente-risorse e di epidemie-armamenti-migrazioni-terrorismo, che derivano in ultima analisi dal suddetto divario, sono sempre più fonte di povertà, malattie, degrado ambientale, conflitti, violenze e imbarbarimento. Al ritmo di crescita degli ultimi anni, quindi, i trend odierni non sono sostenibili a lungo sul nostro pianeta, a causa della crescente pressione esercitata sui sistemi naturali e umani che potrebbe presto superare la soglia di guardia. Si potrebbe, a quel punto, innescare su scala mondiale una spirale molto pericolosa, che porterebbe verso una situazione esplosiva di instabilità internazionale, di grave crisi ecologica e di maggiore conflittualità fra gli stati, alimentando un circolo vizioso assai difficile da interrompere e, dunque, creando una seria minaccia alla sicurezza e al benessere globali.

Il superamento di soglie critiche poco conosciute e studiate potrebbe causare, molto prima di quanto comunemente si pensi, il collasso dei sistemi socio-politico-economici anche nei paesi del Nord ricco e industrializzato del mondo, come raffigurato in questa immagine drammatica creata dall’Autore con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.

Si prospettano, in effetti, più che una serie di crisi limitate e in teoria superabili dovute ad un solo fattore – un effetto serra galoppante, una guerra per l’acqua, un attentato terroristico devastante – crisi di più vasta portata causate da una concomitanza di fattori o di eventi sottovalutati. Esse potrebbero dare il via, con l’eventuale crollo dell’ordine sociale che ne seguirebbe soprattutto nei paesi ricchi e industrializzati – più vulnerabili per la sofisticata organizzazione sociale ed i grandi e complessi sistemi economici e tecnologici che li sostengono – a un processo catastrofico in grado di paralizzare il funzionamento delle società più sviluppate e di condurre alla morte migliaia o milioni di persone. Si preannuncia, quindi, un lento deterioramento del tenore di vita attuale nel mondo occidentale, ed è a rischio addirittura la sopravvivenza di una civiltà tecnologica e dell’uomo sulla Terra, dal momento che il decadimento della società potrebbe far crescere, di pari passo, la probabilità che si possa arrivare a un collasso improvviso della civiltà o a una fine dell’umanità nella follia o nella disperazione di uno schianto.

Desidero dedicare questo articolo, non senza una grande nostalgia nonostante il tempo trascorso dalla sua scomparsa, alla memoria dell’amico e maestro Paolo Farinella (1953-2000), che mi incoraggiò ad affrontare tematiche così importanti fin dai tempi dell’Università. Se ho sviluppato una passione per i temi interdisciplinari, lo devo anche a lui. Ho inoltre un enorme debito nei confronti di Luciano Anselmo (già CNR, Pisa) per i preziosi consigli ricevuti nella fase finale di revisione del testo. Naturalmente, la responsabilità di ogni eventuale errore residuo è esclusivamente dell’Autore.

Mario Menichella (fisico e divulgatore) – m.menichella@gmail.com

Riferimenti bibliografici

[1]  Menichella M., “Le 10 grandi tendenze planetarie che più influenzano il nostro futuro”, Fondazione Hume, 3 febbraio 2025.

[2]  Menichella M., “Mondi futuri: Viaggio fra i possibili scenari, Scibooks Edizioni, 2005.

Il libro è liberamente scaricabile dal mio sito web personale (http://www.menichella.it) all’indirizzo: http://www.menichella.it/MONDI%20FUTURI.pdf

Le 10 grandi tendenze planetarie che più influenzano il nostro futuro

3 Febbraio 2025 - di Mario Menichella

In primo pianoPoliticaSocietà

“Chi non pensa al futuro, non ne avrà uno”

John Galsworthy

Una ventina d’anni fa usciva il mio libro “Mondi futuri. Viaggio fra i possibili scenari”, che affrontava il tema delle reciproche interconnessioni fra i problemi globali, le minacce emergenti e le grandi forze del cambiamento che plasmano lo sviluppo della nostra civiltà tecnologica. Accanto a scenari ottimistici, si prospettavano catastrofi che avrebbero potuto mettere a rischio il futuro del mondo. Oggi questi ultimi scenari sembrano essere quelli più vicini a realizzarsi e il libro pare rivelarsi profetico. La strada per migliorare le condizioni del nostro mondo passa attraverso l’individuazione dei problemi realmente importanti e la successiva ricerca di soluzioni interdisciplinari e condivise. L’uomo, con i suoi comportamenti, le sue conoscenze, la sua coscienza e responsabilità può agire positivamente, sia nei diversi campi a cui è chiamato ad impegnarsi che sul proprio territorio di appartenenza. Ma tutto parte da una chiara consapevolezza di quella che è l’evoluzione in atto e degli enormi rischi ad essa connessi, che sono spesso sottovalutati o per ignoranza o perché – erroneamente – ritenuti improbabili.

L’importanza di una visione d’insieme che oggi manca

Se vi chiedessi all’improvviso di elencare le 10 principali forze di cambiamento che stanno maggiormente influenzando il presente e il prossimo futuro della nostra civiltà tecnologica, è probabile che fatichereste a trovare una risposta completa (ma, anche solo per curiosità, chiudete un attimo gli occhi e provateci per davvero): forse ne individuereste alcune, ma dubito che riuscireste a identificarne più di 6 o 7, anche concedendovi un’ora di tempo per rifletterci.

La ragione principale risiede nel fatto che, in una società così complessa e interconnessa, manca una visione d’insieme, quello che mi piace definire “il guardare la foresta invece dei singoli alberi”. Il sistema scolastico e universitario, infatti, forma nella maggior parte dei casi degli specialisti che, proprio a causa di una eccessiva specializzazione, finiscono col sapere – passatemi l’espressione un po’ tranchant – “tutto di nulla”, dato che il loro campo di approfondimento è assai ristretto. Ciò porta a una grave carenza di veri scienziati o esperti in grado di cogliere i collegamenti fra discipline diverse.

Occorre, in altre parole, avere la capacità di cogliere le connessioni invisibili fra problemi, fenomeni, avvenimenti e aree del sapere all’apparenza distanti fra loro. E non è solo una questione teorica: basti pensare a come la pandemia di COVID-19 abbia mostrato quanto siano fragili e interdipendenti le nostre strutture sanitarie, economiche e sociali su scala globale. Oppure come l’innovazione tecnologica accelerata dall’intelligenza artificiale stia ridefinendo non solo il lavoro, ma anche le nostre relazioni sociali, politiche e culturali. Siamo, insomma, soggetti a potenti forze del cambiamento ed ai relativi rischi.

Questo è stato uno dei motivi, insieme alla mia curiosità e alla passione per le tematiche interdisciplinari, che mi spinsero, 26 anni fa, a intraprendere un’approfondita analisi dei problemi globali e delle loro interconnessioni. Questo percorso mi portò, sette anni più tardi, a scrivere e pubblicare il libro “Mondi futuri: Viaggio fra i possibili scenari” (oggi non più in commercio, ma scaricabile gratuitamente dal mio sito web personale: trovate il link nella bibliografia in fondo a questo articolo), che è stato definito da molti lettori  un saggio sorprendentemente attuale e, in certi aspetti, quasi “profetico”.

Tuttavia, considerando che nel frattempo la situazione è evoluta e sono emerse nuove minacce per l’umanità, ho ritenuto opportuno aggiornare quell’analisi. Ho presentato per la prima volta una sintesi di questo aggiornamento durante una conferenza pubblica tenutasi circa un anno fa presso la splendida Biblioteca Comunale di Pistoia. L’evento faceva parte di una serie di incontri-dibattito intitolata “Dal Macro al Micro“, organizzata dall’associazione culturale Orizzonte Green (https://www.orizzontegreen.it/), fondata principalmente grazie all’iniziativa dell’ing. Marco Bresci.

Le 10 principali forze del cambiamento nella civiltà attuale

Considerando la vastità dell’argomento trattato nel mio libro, in questo articolo mi concentrerò su uno degli aspetti a mio avviso fondamentali: le grandi tendenze a breve ed a medio termine. Queste tendenze sono, da un lato, la causa dei problemi immediati che l’umanità deve affrontare e, dall’altro, rappresentano minacce future già visibili o che potrebbero emergere nel lungo periodo.

Una mia illustrazione grafica della relazione fra 1. Tendenze, 2. Problemi attuali e 3. Minacce future. In primo piano la copertina del libro “Mondi futuri”, da cui la figura è tratta.

Un esempio concreto è l’epidemia di SARS-CoV-2, che possiamo considerare quello che io chiamo “un problema immediato” (almeno lo è stato fino a poco tempo fa), derivante da una tendenza più ampia: la “crescente vulnerabilità alle epidemie”. Questa tendenza racchiude in sé minacce per il futuro potenzialmente ancora più gravi, come quella descritta nel mio libro: un virus ingegnerizzato in laboratorio che combini la letalità del virus Ebola, il lungo periodo di incubazione dell’HIV e la facilità di trasmissione dell’influenza. Un virus del genere potrebbe avere una letalità vicina al 100%!

Non stiamo quindi parlando affatto di questioni marginali, bensì di tematiche fondamentali per il futuro della nostra civiltà su questo pianeta. Ma andiamo al sodo: in questa slide, tratta dalla mia conferenza, è riportato l’elenco delle 10 grandi tendenze di cui ho parlato in apertura. Le prime 7 erano già presenti nel mio libro “Mondi futuri”, mentre le ultime 3 rappresentano, purtroppo, delle nuove e sgradite “new entry”.

Le 10 grandi tendenze del cambiamento che sono, a mio avviso, all’origine della maggior parte dei più seri problemi globali attuali e delle principali minacce per il futuro della nostra civiltà tecnologica.

Come si può notare, le aree trattate spaziano dalla demografia all’ecologia, dalla genetica alla fisica, dalla geopolitica all’antropologia, dall’economia all’intelligenza artificiale, solo per citare alcune delle macro-discipline coinvolte in questa analisi. Naturalmente, non intendo qui approfondire ciascuna di queste tendenze, molte delle quali sono illustrate dettagliatamente nel mio libro. Il mio obiettivo è piuttosto quello di far comprendere l’importanza di adottare una visione globale e sistemica del mondo.

All’inizio di questo articolo ho citato un aforisma del romanziere inglese John Galsworthy: “Chi non pensa al futuro non ne avrà uno”. Questo aforisma sembra voler sottolineare l’importanza, valida anche per la nostra civiltà tecnologica, di pianificare e riflettere sul futuro. Se non ci si preoccupa delle scelte che si fanno oggi e di come queste possano influenzare il domani, si rischia di non avere un futuro soddisfacente o, peggio, di non averlo affatto! È come dire che le azioni di oggi determinano il nostro domani: se non ci si prepara, il futuro potrebbe risultare fortemente problematico o assolutamente buio e incerto.

Le connessioni tra le problematiche e il fattore “imprevisti”

Un aspetto fondamentale che desidero sottolineare è che ciascuna delle tendenze di cambiamento menzionate non è stata selezionata casualmente: ognuna di esse ha il potenziale di innescare, direttamente o indirettamente, il collassodella nostra civiltà tecnologica. Si tratta quindi di questioni di massima rilevanza, che devono essere considerate all’interno di un quadro complessivo più ampio e che ci invitano a prendere responsabilità per le decisioni presenti, affinché possano guidarci verso un domani migliore.

Il punto centrale è che molte delle 10 tendenze descritte sono strettamente interconnesse. Per esempio, la carenza di determinate risorse può sfociare in conflitti armati; il cambiamento climatico può provocare migrazioni su larga scala; e l’incremento demografico può intensificare sia il consumo di risorse che il degrado ambientale. Non sorprende, dunque, che nel mio libro abbia incluso un grafico delle interconnessioni tra i vari “problemi”, “minacce” e “tendenze” (intese/i nel senso illustrato in precedenza), elaborato durante i sette anni di preparazione del testo e di ricerca di informazioni presso le più prestigiose biblioteche italiane (all’epoca Internet era ancora agli inizi, non ricco di materiali come oggi).

Nonostante l’analisi delle connessioni tra le sfide attuali e le minacce future aiuti a immaginare i possibili scenari futuri, esistono sempre dei fattori imprevedibili, che nel mio libro definisco “imprevisti”. Due esempi emblematici risalenti agli anni Ottanta sono la scoperta, nel 1985, del buco dell’ozono stratosferico (causato dai clorofluorocarburi rilasciati dall’uomo nell’atmosfera attraverso le bombolette spray, gli agenti refrigeranti, etc.) e, l’anno seguente, l’identificazione del morbo di Creutzfeldt-Jacob – noto come la “mucca pazza” – dovuto ai prioni.

In ambito economico, questi eventi imprevisti e negativi sono spesso denominati “cigni neri”. Un “cigno nero” rappresenta un evento estremamente improbabile ma dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche. Un esempio potrebbe essere l’impiego (da parte di qualsivoglia soggetto e per qualsivoglia ragione) di una bomba atomica tattica, che potrebbe rapidamente degenerare in un conflitto termonucleare globale, come ipotizzato in alcuni celebri film del passato (The Day After, Wargames, ecc.).

Un “cigno nero” è un evento che esula dalle aspettative convenzionali, il quale solitamente quanto più ha un impatto significativo e può cambiare l’attuale stato delle cose, tanto più è ritenuto improbabile.

La durata tipica di una civiltà tecnologica

Una delle motivazioni principali che mi spinsero a scrivere Mondi futuri fu la mia curiosità generale e, in particolare, l’interesse verso la durata di una civiltà tecnologica. Già qualche anno prima, infatti, avevo affrontato questo tema nel libro A caccia di E.T.: La ricerca di vita e intelligenza nello spazio, seguendo le orme di Piero Angela, che lo aveva esplorato agli inizi della sua carriera di divulgatore.

Escludendo l’ipotesi che la nostra civiltà sia un caso unico nell’Universo, è logico supporre che nella nostra galassia si siano sviluppate altre civiltà tecnologiche. Il loro numero può essere stimato, seppur in modo approssimativo, tramite la piuttosto nota “equazione di Drake”, formulata dall’astronomo americano Frank Drake. Questa equazione considera diversi fattori: il tasso medio di formazione di stelle simili al Sole, la frazione di queste stelle con sistemi planetari, e così via. L’ultimo termine dell’equazione è rappresentato da L, ovvero la durata di una civiltà tecnologica capace di comunicare, cioè in grado di emettere onde radio e segnali ottici nello spazio.

Slide che mostra l’astronomo Frank Drake e la sua famosa equazione per stimare il numero di civiltà galattiche comunicative. In primo piano, il mio libro “A caccia di E.T.”, con prefazione di Margherita Hack.

Il problema è che disponiamo di un solo esempio concreto di civiltà tecnologica: la nostra. Siamo diventati una civiltà comunicativa poco più di un secolo fa e potremmo autodistruggerci in qualsiasi momento. Questo pensiero mi ha spinto a esplorare il futuro e la possibile fine del mondo, dell’Universo, del pianeta Terra e della specie Homo sapiens. Era un tema che nessuno aveva mai analizzato in modo sistematico e interdisciplinare come tentai di fare nel mio saggio, nonostante fosse principalmente un’opera divulgativa.

Il mondo, così come lo conosciamo oggi, potrebbe finire, come già suggeriva il poeta Thomas S. Eliot, con un “botto” improvviso o con un “laménto”, intendendo con quest’ultimo semplicemente un lento declino. Per determinare la durata tipica di una civiltà tecnologica come la nostra, è necessario analizzare a fondo le possibili strade che conducono al declino o al collasso, sia totale che parziale. Questo è un tema affascinante che offre molte scoperte davvero interessanti durante il percorso.

La crisi di “intelligibilità” e le sfide attuali

Già vent’anni fa, nella prefazione del mio libro Mondi futuri, scrivevo che “avere una prospettiva globale e prevedere il futuro a lungo termine della società e del mondo intero non è, per l’Homo technologicus attuale, solo un modo per soddisfare una curiosità innata; rappresenta soprattutto un esercizio utile per la propria sopravvivenza. Oggi, infatti, ci troviamo in una crisi di ‘intelligibilità’: si è creato uno scarto profondo tra ciò che bisognerebbe comprendere e i mezzi concettuali necessari alla comprensione, dovuto alla differente velocità di crescita tra tecnologia e cultura”.

Nella stessa prefazione, rileggendola oggi, si possono trovare previsioni che si sono rivelate sorprendentemente accurate, come quelle relative alle epidemie e alle migrazioni di massa: “All’alba del terzo millennio, l’umanità si trova, per la prima volta nella sua storia, di fronte a una serie di grandi sfide e problemi globali emergenti che minacciano non solo la sicurezza e il benessere dei paesi più ricchi e industrializzati (come l’Europa e gli Stati Uniti), ma anche la sopravvivenza della civiltà tecnologica e dell’intera specie Homo sapiens sul nostro sempre più piccolo e fragile pianeta”.

Oggi è evidente a chiunque che ci troviamo sull’orlo di potenziali catastrofi in diversi ambiti. Tuttavia, la tendenza a concentrarsi sui singoli problemi, piuttosto che avere una visione d’insieme, rende difficile per i cittadini comuni e per i leader politici stabilire una gerarchia chiara dei rischi e delle priorità da affrontare (un esempio di problema assai serio ma largamente sottovalutato per la disinformazione alimentata dalle lobby è la crescita esponenziale dell’inquinamento elettromagnetico, ma questo è un tema che merita un articolo a sé). Dunque è come navigare a vista in un mare pieno di pericoli, senza un radar, proprio come fece il Titanic meno di un secolo fa… e sappiamo tutti come è andata a finire!

Se siete arrivati a leggere fino a qui, comprenderete meglio cosa intendevo quando affermavo, un po’ brutalmente, che la nostra società forma persone che sanno “tutto di nulla”: si approfondisce la conoscenza in settori molto ristretti a scapito di una visione globale e interdisciplinare, quella che servirebbe ai decisori politici. Paradossalmente, le uniche figure che mantengono una visione più ampia sono scrittori e giornalisti, che però oggi si trovano sempre più limitati dall’aumento della censura e dell’auto-censura, fenomeni legati al crescente potere delle lobby (la già citata tendenza n°10).

L’ultima slide della mia conferenza, dedicata proprio al tema della censura, purtroppo sempre più di attualità. Nella foto, l’ing. Marco Bresci, organizzatore dell’evento.

Esiste, è vero, la cosiddetta “teoria dei sistemi”, una disciplina interdisciplinare che analizza come le parti di un sistema complesso interagiscono fra loro per formare un sistema coerente. La teoria dei sistemi si occupa di studiare i modelli complessi e le interconnessioni fra i diversi elementi in vari ambiti, come la biologia, la sociologia, l’ecologia e la filosofia. Ma ciò non basta minimamente per avere una visione dei problemi globali presenti e futuri e delle loro interconnessioni, tant’è che nel mio libro essa rappresenta una parte piccolissima – seppure molto interessante e originale – delle tematiche trattate.

Quel “vuoto” che va colmato quanto prima

All’epoca della stesura del mio libro a mia conoscenza non esistevano, a livello mondiale, istituzioni accademiche che si interessassero di problemi globali in maniera interdisciplinare: una organizzazione internazionale – peraltro privata – che mi viene a mente è il “Club di Budapest”, fondato dal filosofo e sistemologo Ervin Laszlo, che si occupa(va) di promuovere la consapevolezza globale e il cambiamento sociale sostenibile. Per il resto, gli unici modesti tentativi di interpretazione delle complesse interazioni fra le varie tendenze planetarie erano i lacunosi studi “Global Trends” della CIA.

Perfino l’utile serie dei famosi libri Vital Signs, editi dal prestigioso Worldwatch Institute, che ha fornito annualmente analisi dettagliate su tendenze globali in ambiti quali energia, ambiente, economia e società (insieme ai volumi, altrettanto preziosi, del rapporto State of the World), è andata avanti dal 1992 fino al 2015 (data dell’ultimo volume pubblicato, il numero 22), poiché questo Istituto – fondato nel 1974 dall’economista Lester R. Brown, un pioniere della ricerca sulle questioni ambientali e sulla sostenibilità globale – ha purtroppo cessato la sua attività nel 2017, ovvero ben otto anni fa.

Purtroppo, la “colpa” – se naturalmente di colpa si può parlare – di queste poche istituzioni (mi sono limitato a citarne due fra le più famose a livello mondiale) che si sono interessate di problemi globali in maniera interdisciplinare è quella di non aver lasciato un’“eredità”, intesa sia in termini di continuità operativa sia di una vera e propria “scuola” (come si direbbe in ambito accademico). Sebbene Brown e Laszlo siano ancora vivi e rimangano figure rispettate, oggi sostanzialmente dietro di loro c’è il “vuoto”, complici anche i cambiamenti degli ultimi vent’anni nel panorama della comunicazione.

Infatti, l’ascesa di nuove piattaforme digitali, dei social media e di forme di comunicazione “dal basso”, delle “fake news” e di quant’altro hanno reso più difficile perfino a istituzioni e personaggi autorevoli e già affermati mantenere la loro posizione centrale nel dibattito globale. Inoltre, le organizzazioni no profit e di ricerca affrontano notoriamente problemi legati ai finanziamenti – indispensabili per conservare la propria indipendenza – specialmente in un contesto in cui le priorità politiche e sociali possono cambiare. Il risultato è che oggi viviamo in un “deserto” di ricerca e comunicativo su questioni chiave.

Mario Menichella (fisico e divulgatore) – m.menichella@gmail.com

Riferimenti bibliografici

[1]  Menichella M., “Mondi futuri: Viaggio fra i possibili scenari, Scibooks Edizioni, 2005.

Il libro è liberamente scaricabile dal mio sito personale (http://www.menichella.it) all’indirizzo: http://www.menichella.it/MONDI%20FUTURI.pdf

Prigionieri del presente

7 Gennaio 2018 - di Luca Ricolfi

Politica

Confesso che non li ho ascoltati tutti e per intero, i messaggi dei presidenti della Repubblica degli ultimi 50 anni. Però almeno la metà sì, e spesso dall’inizio alla fine, quasi sempre combattendo un’aspra battaglia contro la noia.

Questa volta no, non mi sono annoiato. Mattarella ha fatto un mezzo miracolo: è riuscito a parlare poco, senza frasi in codice, dicendo cose non scontate. Soprattutto, ha evitato i moniti e le liste della spesa, quei lunghi elenchi di cose non fatte che tanti suoi predecessori non erano stati capaci di risparmiarci.   Leggi di più

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