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Forza Italia e il destino del centro

29 Agosto 2024 - di Luca Ricolfi

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Che succede in Forza Italia?

In questi ultimi giorni si sta parlando di una imminente proposta di legge di Forza Italia che agevolerebbe l’acquisizione della cittadinanza italiana ai ragazzi stranieri che hanno completato uno o più cicli di studio. L’idea è già stata bocciata da Lega e
Fratelli d’Italia (non è nel programma di governo), mentre una significativa apertura sul cosiddetto Ius scholae – ovvero la cittadinanza in base agli anni di scuola in Italia – è arrivata da Giuseppe Conte con un articolo sul Corriere della Sera.

La cosa interessante è che Conte non solo ha appoggiato l’idea, attribuendone la paternità ai Cinque Stelle, ma ha anche attaccato il massimalismo di Pd e Alleanza Verdi-Sinistra (AVS), che punterebbero sullo Ius soli (basta nascere in Italia per ottenere la cittadinanza), ossia su una proposta non solo impraticabile (mancano i numeri in parlamento) ma anche politicamente sbagliata.

Una lettura congiunta di questi due episodi suggerisce un’ovvia osservazione: sia a destra (con Forza Italia) sia a sinistra (con i Cinquestelle) è in atto un tentativo di differenziarsi dalle forze più radicali, spostandosi verso il centro.

Questo doppio movimento, tuttavia, è molto più credibile a destra che a sinistra. La mossa di Forza Italia, infatti, non è estemporanea come quella dei Cinque Stelle, ma segue una serie di recenti mosse dello stesso tipo. Pochi giorni fa Tajani, leader di Forza Italia, ha fatto significative e assai esplicite aperture anche su un’altra proposta non gradita agli alleati di governo, quella di varare un provvedimento svuotacarceri, misura peraltro perfettamente in linea con la tradizione garantista del partito berlusconiano. Ancora più significativamente, un paio di mesi fa Marina Berlusconi, presentando i progetti della casa editrice Silvio Berlusconi Editore, ha fatto una dichiarazione molto impegnativa: “Se parliamo di aborto, fine vita o diritti Lgbtq, mi
sento più in sintonia con la sinistra di buon senso. Perché ognuno deve essere libero di scegliere”.

Sono tre mosse significative, che convergono su un unico obiettivo: salvare Forza Italia rafforzandone il profilo moderato garantista, liberale, e pure laico-libertario. Alla luce delle ultime mosse, non vi sarebbe nulla di strano se domani Forza Italia dovesse farsi promotrice di una legge sul fine vita, o desse disco verde al matrimonio egualitario.

È realistico un simile progetto di riposizionamento politico?

Secondo me sì, ma per spiegare perché occorre tornare ai Cinque Stelle e al loro speculare progetto di distacco da Pd e AVS. La differenza fra le due situazioni è che a sinistra qualsiasi forza moderata suscita una crisi di rigetto di natura ideologica, aggravata dal ricordo della stagione renziana. Mentre a destra un analogo rigetto non avviene perché i partiti di centro-destra, ormai da decenni, sono abituati a ricercare un equilibrio fra loro in modo pragmatico, lungo linee negoziali, senza scontri sui principi ultimi.

Ecco perché a destra c’è posto per una robusta gamba moderata, mentre a sinistra non c’è.

E la Margherita? potrebbe obiettare qualcuno, pensando a quando il centro sinistra la gamba moderata ce l’aveva eccome.
Ma è precisamente questo il punto. Per essere pienamente accettati nello schieramento di centro-sinistra, i moderati dovettero creare un loro partito, dotato di una massa elettorale critica, vicina a quella della componente post-comunista, e puntare su un “papa straniero” (Romano Prodi). È così che riconquistarono la maggioranza nel 2006, dopo il quinquennio berlusconiano.
Oggi siamo lontanissimi da quelle condizioni. La Margherita non esiste più, inabissata nel Pd; il progetto di dare al centro-sinistra una gamba moderata è fallito con la dissoluzione del Terzo Polo; la massa elettorale di Renzi è ridicola; il partito di Conte ha ben poco di moderato; quello di Calenda lotta per non scomparire; Elly Schlein è tutto tranne che un papa straniero.

Allo stato attuale il duo Tajani-Marina Berlusconi è di gran lunga l’offerta più credibile per gli elettori che guardano al centro.

[articolo per la Ragione, inviato il 19 agosto 2024]

Sinistre in fuga dal centro

17 Giugno 2024 - di Dino Cofrancesco

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Le elezioni europee dell’8-9 giugno hanno confermato la crisi profonda in cui versa la democrazia italiana: che si tratti di ’mal comune mezzo gaudio’ non consola molto, dimostrando solo come il nostro abbia reazioni sempre più simili a quelle degli altri paesi dell’area euro-occidentale.

Quali sono i sintomi più gravi della malattia? Ne elenco solo due.

Il primo è la spaccatura profonda che da anni divide ormai le nostre società civili. In Italia alla coalizione di centro-destra, egemonizzata da un partito postfascista che ha espresso una sincera adesione ai valori della democrazia liberale, e si trova a Palazzo Chigi, grazie a due alleati, Forza Italia – una formazione centrista della cui anima liberale nessuno potrebbe dubitare – e la Lega Salvini – un composito movimento populista che non ha affatto tradito le sue origini, come attestano le sue battaglie per le autonomie differenziate; corrisponde una coalizione egemonizzata da un PD, quello di Elly Schlein, sempre più lontana da una filosofia riformistica e costantemente tentata da un’alleanza, più o meno organica col Movimento 5 Stelle, che al suo qualunquismo (né destra/né sinistra) dovette i suoi inaspettati successi elettorali, e che oggi, con Giuseppe Conte, fa pensare a un neo-peronismo giustizialista. Ancora più a sinistra si colloca l’Alleanza Verdi Sinistra (vicina a un non trascurabile 7%) che con
il liberalismo classico non ha alcun rapporto (non è, a mio avviso, una colpa).

Le sinistre unite hanno retto all’onda lunga della destra grazie anche ai grandi quotidiani, che un tempo si dicevano dei padroni’, come quelli del Gruppo Gedi («Stampa», «Repubblica» etc.) e a una stampa furiosamente antigovernativa, tipo «Domani» e «Il Fatto quotidiano». Partiti, stampa, movimenti di protesta, finte associazioni ecologiche – che, in realtà riversano sul nemico di sempre, il capitalismo, le loro apprensioni per gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici – centri sociali vari, associazioni LGBT, pacifisti scatenati contro il sionismo, minoranze universitarie emule del ’68, aficionados di Ilaria Salis, parrocchie ribelli: è, questo, un mondo vario e composito che attesta che la sinistra è viva e vegeta e nulla ha perso delle sue caratteristiche d’antan.     È una constatazione, la mia, che non ha nulla di moralistico: il mondo è pieno di valori in conflitto e la loro dialettica è il sale della democrazia. E tuttavia, ci si chiede, può una democrazia ‘a norma’ sopravvivere quando gli attori principali in competizione trovano consensi elettorali allontanandosi dal centro? È una buona notizia che i riformisti e gli ex margheritini del PD siano destinati ad essere emarginati? Che le sinistre parlino con la voce di Claudia Fusani, di Daniela Preziosi, di Massimo
Giannini, di Ezio Mauro? Che le ali mediane del sistema politico, Azione di Carlo Calenda o Stati Uniti di Europa del duo Emma Bonino/Matteo Renzi non abbiano alcun potere di riassestare verso il centro l’asse della politica italiana? (Negli ultimi tempi della campagna elettorale, va pur detto, le loro critiche al governo erano così spietate da portare acqua al mulino di Elly Schlein, allontanando potenziali elettori, pur lontani dalla Meloni, ma vicini a un’opposizione corretta e non delegittimante).

L’altro dato emerso dalle urne è anch’esso poco rassicurante.

«In queste elezioni, ha scritto Augusto Minzolini – la politica estera, in presenza di due guerre, ha pesato come non mai in passato». Verissimo, ma fa sorridere l’analisi l’editorialista del «Giornale» quando parla di Un voto contro Putin (ma in quale beato paradiso caraibico vive Minzolini?) e giudica la più grave sconfitta di un partito di governo che si sia verificata dal dopoguerra a oggi – quella subita in Francia da Macron e in Germania da Scholz – il prezzo pagati per “qualche fuga in
avanti” (sic!). In realtà, la difesa a oltranza dell’Ucraina e gli Stati Uniti d’Europa sono stati i cavalli di battaglia di columnists e di scienziati politici dei grandi quotidiani ma non hanno toccato nessun cuore. Ma di quale Europa stiamo parlando se gli stati del vecchio continente sono tutti appiattiti (ammettiamo pure, con qualche buona ragione) sulle direttive di Washington e della Nato,
se nelle guerre che si stanno svolgendo sotto le nostre case i rappresentanti degli stati europei si sono astenuti da ogni iniziativa autonoma, da ogni tentativo di contribuire al farsi degli eventi, sia pure a fianco della Casa Bianca? Stati Uniti d’Europa! Siamo europei! ma davvero si poteva credere che, con queste genericità retoriche, si sarebbero ottenuti i voti dell’uomo della strada?     In un esemplare editoriale del «Corriere della Sera» dell’8 giugno u.s., L’Europa non è solo un’idea, Ernesto Galli della Loggia ha fatto rilevare: «le élite europee hanno finito per credere (…) che per radicarsi e legittimarsi nella coscienza dei propri cittadini, bastassero i grandi principi e i vantaggi concreti assicurati dall’Unione. Ma nessun corpo politico è stato mai tenuto insieme solo
da queste cose».

Non mi sembra che questa saggezza storica faccia parte della political culture dei Calenda, dei Renzi, dei Della Vedova. Il contrappeso centrista e moderato al trionfo della sinistra tendenzialmente illiberale è affidato alle mani di attori politici moralmente e intellettualmente affetti dal morbo di Parkinson.

[commento elettorale uscito su Paradoxa-Forum il 13 giugno]

Requiem per il terzo polo

13 Giugno 2024 - di Luca Ricolfi

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Sarà magari una coincidenza, ma certo colpisce che i più clamorosi successi di queste elezioni europee siano tutti al femminile: grazie al successo dei rispettivi partiti, Ursula Von del Leyen, Giorgia Meloni, Marine le Pen, Elly Schlein avranno un ruolo
decisivo nei futuri assetti dell’unione Europea.

Ma anche in Italia l’esito del voto premia esclusivamente le liste a traino femminile: non solo Giorgia e Elly, ma anche la lista Verdi-Sinistra condotta a un clamoroso risultato (quasi il 7%) dalla candidatura di Ilaria Salis.

Ciascuno a suo modo, i tre risultati sono eccezionali. Il 28.8% di Meloni, in quanto il suo governo è l’unico fra quelli dei grandi paesi europei ad uscire vincente, per di più in un momento (elezioni intermedie) di solito non favorevole ai governi in carica. Il
24% di Elly Schlein, in quanto il Pd è l’unico partito (insieme a AVS) che aumenta i consensi anche in termini assoluti, e ci riesce a dispetto dei voti in libera uscita temporaneamente sottratti al Pd per sostenere la causa della Salis. Il 6.8% della lista AVS, perché – secondo i sondaggi – il superamento della soglia del 4% non era per niente sicuro.

Fra i tre risultati, tuttavia, quello più impattante è stato quello della Salis. In un colpo solo, la pasionaria della lista Verdi-sinistra è riuscita nel miracolo di escludere dal Parlamento Europeo sia la lista di Renzi-Bonino (Stati Uniti di Europa) sia, verosimilmente, quella di Calenda (Azione). È facile immaginare, infatti, che – in assenza del magnete Salis – molti dei voti AVS sarebbero finiti su quelle due liste, consentendo ad almeno una delle due di raggiungere il 4%. L’extra-risultato di Salis
si aggira infatti intorno al 3%, mentre i voti mancanti a Stati Uniti d’Europa sono pari appena allo 0.2 %, e quelli mancanti ad Azione allo 0.7%: due divari colmabili con 1/3 dei consensi che Salis ha portato a Bonelli e Fratoianni.

Visto da questa angolatura, il risultato di AVS è probabilmente il più influente sul futuro del nostro sistema politico. Dopo il flop europeo, sembra estremamente difficile che Renzi e Calenda riescano a mettere insieme i cocci del Terzo polo, che pure aveva guadagnato un non disprezzabile 7.8% alle elezioni politiche. Le recriminazioni reciproche, scattate subito dopo il voto, testimoniano dei limiti caratteriali e strategici dei due leader, e annunciano un futuro non proprio allegrissimo per il centro-sinistra. Se non interverrà qualche invenzione, o qualche nuovo imprenditore della politica, i cosiddetti elettori di centro, che pure esistono, e valgono più o meno il 15% del corpo elettorale, non avrà altra strada che rivolgersi alla neo-resuscitata Forza Italia, il cui leader Tajani da tempo ripete che “occupiamo lo spazio fra Giorgia Meloni e Elly Schlein”. Una simmetria che fino a ieri,
sussistendo i partiti di Renzi e Calenda, poteva apparire artificiosa e pure un po’ furbesca, ma che ora, implosi quei due partiti, suona piuttosto come una constatazione di realtà.

Così il successo di AVS rivela la sua duplice valenza. Da un lato consolida il patto d’acciaio fra PD e AVS, due forze sempre più simili tra loro, e sancisce la perifericità dei Cinque Stelle rispetto ai due partiti di sinistra-sinistra. Dall’altro scava un baratro
fra la sinistra e il centro, fornendo a Tajani le praterie di cui ha bisogno per espandere Forza Italia. Verso il 20%, dice lui. Ma anche il 15% basterebbe ad assicurare buona salute al partito che fu di Berlusconi, e lunga vita alla maggioranza di governo.

Meloni ringrazia.

[Articolo uscito sulla Ragione il 12 giugno 2024]

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