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Salvate il soldato Schlein

17 Gennaio 2024 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Quando, poco meno di un anno fa, Elly Schlein espugnò il Pd, una delle prime cose che disse fu che il male era anche dentro il Pd, che c’era molto da fare dentro il partito, e che non voleva più vedere né “stranezze nei tesseramenti”, né “cacicchi” né “capibastone”.

Non so se fosse consapevole di quanto antiche fossero quelle pratiche nel mondo post-comunista, o se ricordasse che a evocare per la prima volta l’espressione “cacicchi” per stigmatizzare le correnti del partito era stato – un quarto di secolo fa – nientemeno che Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, il partito erede del Partito Comunista, e secondo anello della catena Pci-Pds-Ds-Pd.

Né so se la neo-segretaria si rendesse conto che, ai membri del suo partito, quelle parole avrebbero potuto ricordare quelle pronunciate da Renzi pochi anni fa, dopo aver lasciato il Pd: “il mio errore più grande è stato non ribaltare il partito. Non entrarci con il lanciafiamme come ci eravamo detti. In alcuni casi il Pd ha funzionato, in altre zone è rimasto un partito di correnti. Ritengo che le correnti siano il male del partito”.

Soprattutto, non so se Elly Schlein, quando ebbe a pronunciare quelle parole di rinnovamento e di speranza, avesse contezza dell’enormità dell’impresa che si accingeva a compiere. Perché, dieci mesi dopo le fatidiche parole contro i cacicchi, l’impressione è che la guerra la stiano vincendo proprio loro, i signori delle tessere, i notabili locali, ma soprattutto i capi delle correnti.

E non sto pensando solo alle guerre sulle candidature, per le elezioni Regionali come per le Europee. O agli episodi che hanno visto i membri del Pd dividersi (cioè votare diverso) sia in Europa, sia nel Parlamento italiano: è successo nei giorni scorsi sulle armi all’Ucraina, ed è successo sull’abolizione del reato di abuso di ufficio.

Quello che più mi colpisce non è l’incapacità della segretaria di imporre a tutti la disciplina di partito, come accadeva ieri nel Pci e accade oggi nel centro-destra, ma è la sua incapacità di sciogliere i nodi politici di fondo. Hai un bel dire che è bello stare in un partito in cui si discute, o trastullarsi sulle pochissime cose su cui non c’è dissenso (salario minimo legale e più soldi alla sanità), il vero problema è tutto il resto. Sulle cose che contano, il Pd è diviso fra quanti la pensano come i Cinque Stelle, e quanti la pensano – se non come Renzi e Calenda – come il Pd prima del governo giallo-rosso.

Quali sono queste cose che contano?

Sono almeno cinque: l’atlantismo e la guerra; l’assistenzialismo e il reddito di cittadinanza; la riforma della giustizia; il mercato del lavoro; la patrimoniale e le tasse.

Su questi temi la segretaria, finora, non ha ancora saputo assumere una posizione chiara e netta. Detto in termini classici, non ha saputo scegliere fra massimalismo e riformismo. O forse sarebbe più esatto dire: in cuor suo ha scelto, ma non ha la forza di esplicitare e imporre la sua linea al partito.

È anche questo, a mio parere, il motivo per cui i cacicchi (e le cacicche) prosperano, e  della guerra contro le correnti non si scorge traccia. Se non scegli, se non dici per andare dove invochi il diritto di decidere, non fai che alimentare il brodo in cui prosperano le fazioni, le cordate, le piccole alleanze di potere.

È un peccato, soldato Schlein. Si può preferire la tua linea o quella di Bonaccini, ma era sano che chi – con le sue idee – era salito sul ponte di comando, poi quelle medesime idee avesse la forza, la volontà e la possibilità di farle vivere. Ed è insano che, chi la battaglia delle idee l’aveva vinta, debba restare intrappolato nella palude, vittima delle imboscate dei suoi stessi commilitoni.

Perché di una cosa si può stare sicuri: se non osa combattere la battaglia per le proprie idee, e rinuncia a debellare le correnti, alla prima difficoltà i cacicchi del suo partito faranno quello che hanno fatto con tutti i segretari. E non ci sarà nessun commando a salvare il soldato Elly (o la soldata Elly?).

Verso le elezioni europee – I paradossi della soglia al 4%

7 Gennaio 2024 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Il 2024 sarà un anno record per il numero di cittadini – 4 miliardi, quasi la metà della popolazione mondiale – che saranno chiamati al voto. Si voterà in India, negli Stati Uniti, in Europa, in Indonesia, in Pakistan, solo per citare le comunità più popolose. E pure in due dittature (o finte democrazie) come Russia e Iran.

Quanto all’Italia, elezioni regionali e comunali a parte (si voterà in 5 regioni e 3700 comuni), l’appuntamento fondamentale sono le elezioni europee di giugno, fra 5 mesi esatti.

Quando se ne parla, molto si discute del problema delle candidature. Non si sa se Giorgia Meloni e Elly Schlein decideranno di presentarsi come capolista in tutte e cinque le circoscrizioni, ma si sa che le donne del Pd non vedono di buon occhio una eventuale “mossa leaderista” della segretaria, che metterebbe in ombra molte di loro.

Quello di cui poco si discute, invece, è un piccolo problema la cui soluzione o mancata soluzione potrebbe avere un grande impatto sul risultato in termini di seggi (l’Italia ne ha 76 a disposizione): il problema della soglia di sbarramento, attualmente al 4%. Come noto, la fissazione ed eventuale modificazione della soglia di sbarramento è materia di competenza nazionale, con un solo vincolo: l’asticella non può essere posta al di sopra del 5% (soglia adottata dalla Francia e da altri 8 paesi). Qualche tempo fa si è ipotizzato di abbassare la soglia al 3% per assicurare una rappresentanza anche alle forze minori, ma nulla finora è stato deciso in vista dell’appuntamento di giugno.

Perché, e per chi, la soglia è cruciale?

La soglia è cruciale per i partiti minori di sinistra e, indirettamente, per il Partito Democratico: Italia Viva, Azione, +Europa, Verdi, Sinistra Italiana attualmente attirano circa il 13% dei consensi, ma sono ben 5 partiti distinti. Nelle condizioni attuali, per superare la soglia del 4% dovrebbero federarsi, come in parte hanno già fatto (Verdi e Sinistra Italiana, Azione e Italia Viva), o tentato di fare (Azione e +Europa). Per sperare di superare il 4% tutti e cinque separatamente, infatti, il loro bacino di consensi dovrebbe essere dell’ordine del 25 %, circa il doppio dei voti di cui effettivamente dispongono. L’ultima supermedia dei sondaggi attribuiva loro appena il 13.1% dei consensi, senza concedere il 4% a nessuno dei cinque, e neppure all’alleanza a due Bonelli-Fratoianni (Verdi+Sinistra Italiana), ferma al 3.6%, risultato peraltro identico a quello delle elezioni politiche dell’anno scorso.

Allo stato attuale, le uniche formazioni che possono nutrire qualche timida speranza di superare il 4% sono Azione (che è data al 3.9%), e l’alleanza Verdi-Sinistra (che è al 3.6%). La lista di +Europa è addirittura sotto il 3%, e anche alle ultime elezioni europee lo aveva superato a malapena (3.1%).

Di qui alcuni scenari possibili. Se la soglia verrà abbassata al 3%, non è da escludere che i 5 partitini di sinistra corrano tutti o quasi tutti separatamente, e che a farcela – alla fine – siano solo Azione di Carlo Calenda e l’alleanza rosso-verde di Bonelli-Fratoianni. I voti sprecati sarebbero circa il 5%, ovvero quelli per Renzi più quelli per +Europa.

Ma se, come è abbastanza probabile, la soglia di sbarramento dovesse restare al 4%?

Allora, per la sinistra, le cose si farebbero complicate. Scegliendo di coalizzarsi in un paio di cordate, i partitini perderebbero un po’ di voti (è sempre così, quando ci si allea) ma almeno eleggerebbero qualche deputato. Scegliendo di andare ognuno per la propria strada, invece, preserverebbero le proprie identità, ma si esporrebbero a un grave rischio: l’invito del Pd al “voto utile” (votate per noi, se volete che il vostro voto conti).

Perché una cosa è abbastanza sicura, qualsiasi cosa dica ufficialmente Elly Schlein: se i cespugli della sinistra restano cinque, e ognuno corre per sé, l’elettore razionale, che non vuole sprecare il suo voto, è “costretto” a votare Pd. Il risultato del Pd alle Europee, in altre parole, dipenderà anche dalle strategie dei partitini di sinistra di fronte alla spada di Damocle dello sbarramento al 4%.

Con un esito paradossale: un buon successo del Pd, basato sullo spolpamento dei suoi potenziali alleati, potrebbe rafforzare la segretaria, ma – al tempo stesso – renderle più difficile rimettere insieme i cocci dell’alleanza in vista delle future elezioni politiche.

Consensi ai 3 partitini di sinistra

  Europee 2019 Camera 2022 Supermedia
Italia Viva 7.8 3.1
Azione 3.9
+Europa 3.1 2.8 2.5
Verdi 2,3 3.6 3.6
Sinistra italiana 1.8
TOTALE 7.2 14.2 13.1

Italia Oggi intervista Luca Ricolfi

28 Dicembre 2023 - di fondazioneHume

In primo pianoPolitica

Professore, in Francia, grazie ai voti di Rn e senza la sinistra, è stata approvata una legge che inasprisce le misure contro l’immigrazione irregolare e rende più facile anche revocare i permessi di soggiorno. Macron è più a destra del governo di destra italiano?

Per quel che capisco, il punto è che Macron non dispone di una maggioranza autonoma, e quindi è in balia delle opposizioni, di destra e di sinistra. Ma forse la riflessione che la vicenda di questa legge suggerisce è anche che abbiamo un po’ troppo idealizzato il sistema francese, e che dobbiamo compiacerci di non averlo preso come modello per la riforma del nostro sistema. Tra l’altro, trovo stupefacente che un primo ministro – in questo caso la semisconosciuta Mme Élisabeth Borne – sia costretta a varare una legge dicendo che probabilmente è incostituzionale. Almeno, in Italia le accuse di incostituzionalità provengono da chi le leggi non le ha votate…

Quanto alla sostanza del problema, credo che la chiave sia molto semplice: fra 6 mesi si vota per il Parlamento europeo, e i politici stanno capendo che l’opinione pubblica – oggi più che mai – vede gli immigrati come un problema, più che come una risorsa.

Non è strano per i politici di destra e centro-destra, ma è una novità per quelli di sinistra, che sono spaccati fra chi comincia a capire il nesso fra immigrazione e criminalità e chi resta abbarbicato alle vecchie parole d’ordine cosmopolite.

Perché l’immigrazione irregolare è diventata tema così sentito anche nell’elettorato di sinistra?

Non è una novità assoluta, il problema è sentito a destra almeno da 30 anni. Quel che è nuovo, forse, è che ormai anche i progressisti si rendono conto che c’è un conflitto insanabile fra imperativo dell’accoglienza e sicurezza dei cittadini. In Italia è chiarissimo: gli immigrati sono meno del 9% della popolazione, ma commettono circa il 40% dei reati, compresi quelli più odiosi, come le aggressioni in strada e gli stupri. E, a giudicare dagli ultimi dati ufficiali e consolidati (fermi al 2022), dopo il Covid i minorenni stranieri stanno dando un apporto sempre maggiore alla criminalità.

Alcuni le risponderebbero che se ci sono più minori stranieri che delinquono rispetto agli italiani è perché non siamo stati capaci di fare abbastanza integrazione. Siamo noi a essere inadeguati.

Certo, in astratto è così. Ma vale in tutti i campi. C’è sempre qualcosa che la società avrebbe potuto fare per evitare centinaia di emergenze sociali. Avremmo potuto mettere più medici e infermieri negli ospedali, più insegnanti nelle scuole, più alloggi popolari nelle periferie, più badanti nelle case, più psicologi alle calcagna di ogni sbandato, più cultura e meno violenza/sesso/droga nei media, più sport e meno telefonini, più concerti e meno trapper, più scienziati e meno influencer, ma la domanda è: con quali risorse, con quali priorità, con quali restrizioni alla nostra libertà?

Più specificamente: la precondizione di un’accoglienza riuscita è la possibilità di regolare il flusso degli ingressi sulle risorse disponibili per accoglienza e integrazione. È illogico teorizzare il diritto di entrare liberamente in Europa, e poi stupirsi se le condizioni di vita di una parte degli immigrati non sono degne di un paese civile.

L’accoglienza diffusa dei migranti resta uno dei cavalli di battaglia del Pd di Elly Schlein. Quanto vale elettoralmente questa posizione?

A occhio, direi che vale un -10% di consensi, che poi è precisamente quel che manca alla sinistra per diventare maggioranza.

Romano Prodi è tornato a evocare la necessità di un federatore per il campo del csx. Conte ha subito replicato che forse servirà per le correnti del Pd. Che cosa si giocano i due partiti alle prossime Europee?

Come partiti, non si giocano molto. Avranno comunque il 35% dei seggi europei destinati all’Italia, e difficilmente si assisterà a un trionfo di Schlein su Conte, o di Conte su Schlein. La vera posta in gioco dell’appuntamento europeo, a mio parere, non è il destino di Pd e Cinque Stelle, ma il colore della prossima Commissione, che potrebbe – per la prima volta – escludere o marginalizzare i socialisti. Quanto a Conte e Schlein, ho l’impressione che non saranno né lei né lui a federare il centro-sinistra alle prossime elezioni. Mi aspetto che, di qui al 2027 emergano altre figure, un po’ meno scialbe.

Certo, è anche possibile che a cavare le castagne dal fuoco dello schieramento progressista non sia l’apparizione di un federatore (o di una federatrice), ma che ci pensi il governo in carica, che potrebbe inciampare in qualche guaio così grosso da far rimpiangere il Pd e i Cinque Stelle. Ma se questo non dovesse accadere, ai progressisti resterebbe il problema di trovare un leader o una leader in grado di reggere il confronto con Giorgia Meloni. E secondo me è più verosimile che un leader nuovo e carismatico emerga dal mondo Cinque Stelle piuttosto che dalla nomenklatura del Pd.

Quindi lei pensa a uno schieramento di sinistra-centro in cui a federare sia il M5s?

No, penso che anche la mia ipotesi sia improbabile, ma non così improbabile come l’ipotesi che dai 20 capicorrente del Pd miracolosamente salti fuori un leader capace di controllare il partito e imporre la propria guida anche ai Cinque Stelle.

Sta formulando una specie di endorsement dei Cinque Stelle?

Per niente. La mia opinione sui Cinque Stelle resta negativa, se non altro perché hanno scassato i conti pubblici (se Giorgia Meloni dovrà remare tutta la Legislatura per tentare di varare qualche straccio di riforma economico-sociale, è solo perché i Cinque Stelle hanno devastato la finanza pubblica).

In realtà la mia apertura – possiamo chiamarla così? – verso i Cinque Stelle nasce da una considerazione sociologica: il problema del centro-sinistra è recuperare i ceti popolari, e i Cinque Stelle sono l’unica forza politica (nominalmente) di sinistra ancora in grado di attirarne i voti. Il compito storico del Pd è tenersi i voti dei ricchi e dei “ceti medi riflessivi”, cosa per la quale Elly Schlein è fin troppo attrezzata con le sue idee sul green, la transizione energetica, i diritti LGBTQIA+ (ho dimenticato qualche lettera?). Il compito dei Cinque Stelle è riportare a sinistra nuovi segmenti dell’elettorato popolare.

Sarebbe la fine della centralità del Pd…con quali effetti sul csx?

Malefici, se i Cinque Stelle non riusciranno a liberarsi del qualunquismo e della superficialità che si portano dietro dall’origine. Benefici, se la cultura politica dei Cinque Stelle evolvesse, e dovesse riuscire a sinistra quel che, negli ultimi 10 anni, Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia hanno fatto a destra: convogliare verso di sé una parte dei voti popolari così cospicua da rompere l’egemonia del partito più grande (Forza Italia) e del leader più ingombrante (Berlusconi).

A più di un anno dall’insediamento del governo Meloni, come è cambiata la politica italiana? Le esperienze dei governi tecnici sono alle spalle?

Direi proprio di sì. Se si farà, la riforma presidenzialista renderà impossibile la formazione di “governi del Presidente” (che poi questo sia un bene, è tutto da vedere, anche se è difficile negare che è stato proprio un certo abuso del potere presidenziale a legittimare il cambio di assetto istituzionale). Quanto ai mutamenti della politica italiana nell’era Meloni, direi che sono essenzialmente due, strettamente interdipendenti: poche riforme economico-sociali (perché le risorse sono state prosciugate dallo sciagurato bonus del 110%), e conseguente spostamento dell’asse dell’azione di governo sul teatro internazionale. Dove, a quanto pare, Meloni ha una marcia in più.

La sinistra securitaria – Verso le elezioni europee

9 Ottobre 2023 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Il trend del consenso elettorale in Europa è piuttosto chiaro: elezioni e sondaggi, da qualche anno, segnalano uno spostamento del baricentro dell’opinione pubblica verso destra. I segnali più recenti in questo senso vengono, oltre che dall’Italia, da Francia, Germania, Svezia, Finlandia, Grecia e, per certi versi, pure dalla Spagna e dalla Danimarca, due paesi dove la destra ha perso le elezioni ma il complesso delle forze di centro-destra ha, sia pure di poco, aumentato i consensi.

È ragionevole pensare che, alla base di tali spostamenti, vi sia l’aggravarsi del problema dei migranti. Un tema che noi italiani traduciamo automaticamente in “sbarchi”, ma che nella maggior parte dei paesi significa attraversamenti (terrestri) delle frontiere esterne dell’Europa e movimenti secondari fra Stati dell’Unione Europea, due fenomeni che allarmano sempre di più governi e opinioni pubbliche. Si può molto disquisire sulla gravità effettiva della situazione, dividendosi fra quanti vedono un’invasione in atto, e quanti preferiscono parlare di “invasione percepita”. Ma è del tutto inutile. Grave o no che sia la situazione, è inevitabile che il tema dei migranti sia al centro della imminente campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo. Tanto più che il voto è previsto per il prossimo mese di giugno, in una stagione che è la più favorevole agli attraversamenti del Mediterraneo.

A prima vista, l’irrompere del tema dei migranti favorisce la destra, che da decenni ne ha fatto un cavallo di battaglia. Ma non è scontato. Molto dipende dalla linea politica con cui le forze di sinistra, prima fra tutte il Pd, si rivolgeranno all’elettorato. Ove Elly Schlein dovesse insistere con la linea attuale, che minimizza la gravità del problema degli sbarchi, effettivamente l’esito più probabile sarebbe un rafforzamento dei partiti più ostili ai migranti, ossia Lega e Fratelli d’Italia. E forse pure una redistribuzione di voti interna della sinistra a vantaggio dei Cinque Stelle, che da sempre rappresentano la componente più critica sugli sbarchi e sulle Ong (ricordate i “taxi del mare” di Luigi Di Maio?).

Ma se Elly Schlein correggesse la rotta, prendendo sul serio il problema dei flussi migratori? Se il Pd ammettesse che la moltiplicazione dei salvataggi in mare e il rafforzamento delle strutture dell’accoglienza non possono essere la soluzione, e proponesse delle misure realistiche e praticabili?

In quel caso, l’accusa a Giorgia Meloni di non aver mantenuto le promesse di bloccare gli sbarchi, un’accusa ossessivamente ripetuta da tutti i media progressisti da quando è in carica il nuovo governo, potrebbe diventare credibile (ed elettoralmente remunerativa per la sinistra). Una parte degli italiani, delusi dall’impotenza dell’esecutivo, potrebbe convincersi che – in materia di controllo dei flussi migratori – la sinistra ha soluzioni più efficaci di quelle della destra.

Fantascienza?

Probabilmente sì, perché il Pd è saldamente in mano a un manipolo di fedeli della segretaria. Ma non perché sinistra e sicurezza siano due parole che non possono stare insieme. Una sinistra non sorda alla domanda di sicurezza proveniente dai ceti popolari esiste da tempo negli Stati Uniti (con i Blue dogsdel partito democratico) e nel Regno Unito (il cosiddetto Blue Labour), ma anche in Europa, dove le recenti affermazioni elettorali dei partiti socialisti in paesi come la Danimarca e la Slovacchia sono avvenute su severi programmi di controllo dell’immigrazione.

E in Italia?

In Italia basterebbe non dimenticare la nostra storia. Su posizioni nettamente securitarie si sono trovati in passato diversi sindaci di sinistra, come Flavio Zanonato a Padova, Sergio Cofferati a Bologna, lo “sceriffo” Vincenzo De Luca a Salerno. Ultra-securitari sono stati i comportamenti del ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd) ai tempi del governo Gentiloni, così come i suoi recenti interventi a sostegno della linea Meloni-von der Leyen in Africa. E posizioni securitarie sono state assunte da intellettuali di sicura fede progressista, come lo psicanalista Massimo Recalcati o l’economista Carlo Cottarelli. Quest’ultimo, in un’intervista di poche settimane fa, è arrivato ad elogiare il “modello australiano”, proponendo di concentrare in Algeria i migranti salvati in mare “in attesa che siano sbrigate le pratiche burocratiche”.

Insomma, in Italia una sinistra securitaria esiste, anche nel Pd. Se non la vediamo, è perché la comunicazione del partito è monopolizzata dal cerchio magico della segretaria. E la minoranza, il coraggio di uscire allo scoperto non lo ha ancora trovato.

Verso le elezioni europee – Il dilemma migratorio

12 Settembre 2023 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Di elezioni europee si parla ancora poco, almeno in modo esplicito. Ma sottotraccia è lì che vanno la mente e le mosse dei politici, che già pensano come posizionarsi in vista del voto di giugno 2024. Fra i temi di cui non si parla ancora in modo esplicito, ma che pendono come una spada di Damocle su tutti, c’è sicuramente lo spinosissimo nodo dell’immigrazione illegale in Europa. Un nodo che in Italia si presenta con tre facce: sbarchi a Lampedusa e negli altri porti del Sud, ingressi a Trieste dalla rotta balcanica, respingimenti francesi a Ventimiglia.

È interessante il fatto che, rispetto a questo problema, le forze politiche siano sostanzialmente mute. Non nel senso che non ne parlino, ma nel senso che non parlano delle soluzioni.

Il centro-destra pare ormai rassegnato a considerare ineluttabile il flusso di migranti dalla rotta centrale del mediterraneo, almeno finché l’Europa non batterà un colpo (ma quale colpo? più soldi all’Italia? pattugliamenti di Frontex davanti alle coste della Tunisia e della Libia?). Quanto alla rotta balcanica, alla pressione su Trieste e le altre città del Friuli, se ne parla poco perché qualsiasi soluzione si scontra con l’ostilità dei cittadini, spaventati dall’arrivo di centinaia di stranieri collocati in un limbo incapace di accoglierli e di integrarli.

Quanto al centro-sinistra, l’impegno maggiore non è a prospettare soluzioni che vadano oltre il “più soldi ai sindaci per gestire l’accoglienza”, bensì a denunciare le promesse tradite di Giorgia Meloni, a partire da quella di fermare gli sbarchi con il “blocco navale”.

Insomma, sia la destra sia la sinistra paiono a corto di idee, o meglio di idee nuove, per affrontare il prossimo appuntamento europeo. Con ogni probabilità, il Pd si presenterà con il consueto schema: i migranti non sono il problema, i migranti sono la soluzione (ai bisogni di manodopera delle imprese). E magari aggiungeranno: in passato abbiamo sbagliato, è tempo che il Pd cancelli Marco Minniti e le sue politiche di contenimento dei flussi, come già sta cancellando Renzi e il suo sciagurato Jobs Act.

E il partito di Giorgia Meloni? A giudicare dalla cautela con cui si sta muovendo sul terreno migratorio, si direbbe che l’incapacità di fermare gli sbarchi, combinata con i drammatici problemi delle imprese che non trovano forza lavoro, possa condurre a una riconsiderazione del problema dell’immigrazione. I cui termini essenziali sono abbastanza chiari, se non ci si lascia offuscare dal velo dell’ideologia.

Il dilemma in cui qualsiasi governo è destinato ad incappare discende dal sistema di incentivi che regola i flussi migratori. Se l’immigrazione irregolare in Europa viene ostacolata e criminalizzata, i numeri diventano più gestibili, ma cresce la quota di stranieri che non si possono integrare, e con essa il senso di insicurezza dei nativi (a partire dai ceti popolari). Se viceversa l’immigrazione viene liberalizzata, allargando le maglie anche a chi non ha diritto all’asilo, il flusso è destinato a diventare presto ingestibile, con benefici tangibili per le imprese (più manodopera, salari più bassi), ma costi drammatici per i ceti popolari (dumping salariale, disordine urbano). Detto per inciso, è questo il motivo per cui un comunista come Marco Rizzo, ma anche altri esponenti della sinistra, si oppone all’aumento dei flussi migratori.

Il tutto complicato da una circostanza spesso dimenticata: l’affanno delle imprese non riguarda solo la mancanza di manodopera a bassa qualificazione, ma anche – se non prevalentemente – la mancanza di forza lavoro qualificata: elettricisti, meccanici, fonditori, saldatori, fabbri, tecnici informatici e così via. Pensare che questa lacuna possa essere colmata lasciando via libera agli sbarchi e allentando la sorveglianza ai confini con la Slovenia è perlomeno ingenuo.

Ecco perché, quello dell’immigrazione, è un problema vero, che richiederebbe un approccio analitico, attento ai costi e ai benefici delle varie politiche, senza scorciatoie ideologiche. Non sembra che, con l’approssimarsi dell’appuntamento europeo, tale consapevolezza si stia facendo strada, né a sinistra né a destra.

È un peccato, perché i problemi veri meritano di essere affrontati a viso aperto, non elusi a colpi di slogan e ideologia.

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