Passaporto vaccinale, green-pass, stato di emergenza, tre cose all’apparenza ben distinte fra loro ma che, in realtà, sono legate da un sottile filo rosso, come risulterà chiaro al lettore dalla lettura del presente articolo. Purtroppo, invece, in Italia il dibattito pubblico – sia in televisione sia sulla carta stampata – si è soffermato principalmente su un singolo “albero”, il green-pass, perdendo del tutto di vista la “foresta”, ovvero la visione d’insieme ed il contesto. Eppure, per capire se nella gestione italiana della pandemia stiamo andando verso la vera libertà, come ci viene fatto credere dal Governo o, al contrario, ce ne stiamo sempre più allontanando è necessario allargare la prospettiva, non zoomare sui singoli dettagli. E il quadro che ne emerge (anche grazie all’aiuto dei vari esperti via via citati) non può che sollevare pesanti e motivati interrogativi che non riguardano questa volta la ‘mala gestio’ della pandemia – di cui questo sito ha ampiamente trattato nell’ultimo anno e mezzo – ma la democrazia e la libertà degli individui, l’uguaglianza sociale, l’impatto sull’economia, etc., tutti aspetti di cui da noi poco o nulla si parla.
Il passaporto vaccinale e l'”aparthaid dei vaccini”
I recenti dibattiti sui “passaporti vaccinali” e sul Green-pass – o certificazione formale/obbligatoria della vaccinazione – indicano un potenziale divario sociale sempre più ampio tra coloro che sono vaccinati e coloro che non lo sono. Quelli con la certificazione dell’immunizzazione Covid-19 potrebbero essere autorizzati a viaggiare, lavorare, andare in palestra, praticare sport, partecipare a eventi di intrattenimento, cenare nei ristoranti e, infine, tornare alla vita “normale”. Secondo Clare Wenham, della London School of Economics, una tale distinzione contribuirebbe alla creazione di un “sistema a due livelli” e, dato che “la Storia mostra che quando si creano divisioni all’interno della società ciò porta a disordini civili”, ritiene che ciò possa sfocia in una sorta di “apartheid del vaccino” [1]. Personalmente, sono più pessimista anche a causa dell’impatto economico del pass, e temo che si possa in futuro arrivare a proteste violente.
Si noti che l’idea dell'”aparthaid dei vaccini” non è certo un’invenzione dei media. Infatti, funzionari kenioti hanno accusato il Regno Unito di “apartheid vaccinale” a luglio, dopo che Londra ha aggiunto il paese dell’Africa orientale alla sua “lista rossa” – i 39 paesi in cui il Regno Unito vieta l’ingresso a chiunque sia stato all’interno dei loro confini nei 10 giorni precedenti [5]. La stragrande maggioranza si trova in America Latina e Africa, compresi paesi come il Ruanda, che hanno fatto molto meglio nel controllare la diffusione della pandemia rispetto al Regno Unito. Funzionari britannici affermano che il divieto è necessario per prevenire l’introduzione di varianti di Covid-19. I funzionari kenioti lo hanno visto invece come un esempio di un paese ad alto reddito che usa la pandemia per discriminare e hanno imposto una quarantena di due settimane a tutti i passeggeri provenienti o in transito attraverso il Regno Unito.
Gli esperti affermano che questo scontro sulla capacità di movimento delle persone potrebbe impallidire in confronto alle interruzioni che saranno causate dalla potenziale introduzione su larga scala di “passaporti vaccinali”. E gli sforzi emergenti per limitare i movimenti delle persone in base al fatto che abbiano ricevuto un vaccino contro il Covid-19 stanno aumentando le preoccupazioni per le disuguaglianze a livello mondiale che sono già state rivelate o esacerbate dalla pandemia. In effetti, alla maggior parte delle persone nel sud del mondo non è stato nemmeno offerto un vaccino. Dei circa 850 milioni di dosi di vaccino anti-Covid che sono state somministrate in un qualsiasi giorno di luglio, solo lo 0,1% è andato a persone nei paesi a basso reddito. “Non dovrebbe esserci nessun passaporto vaccinale fino a quando non saremo in grado di garantire un accesso equo per il vaccino”, ha affermato pertanto Joia Mukherjee, chief medical officer di Partners in Health, un’associazione globale senza scopo di lucro per la giustizia sociale [5].
Ma questo obiettivo sembra essere oggi ancora lontano. La pandemia di Covid-19 ha innescato una corsa mondiale ai vaccini. I governi ricchi che hanno investito in vaccini candidati hanno stipulato accordi bilaterali con gli sviluppatori che di fatto comportano la prenotazione di dosi di vaccino per i paesi a più alto reddito – un fenomeno noto come “nazionalismo dei vaccini” – lasciando potenzialmente le persone nei paesi poveri vulnerabili al Covid-19. Una risposta al nazionalismo dei vaccini è stata la creazione della “COVAX Facility”, una partnership internazionale che mira a sostenere finanziariamente i principali candidati al vaccino ed a garantire l’accesso ai vaccini per i paesi a basso reddito [6]. Settantanove paesi ad alto reddito sono membri COVAX. I loro governi aiuteranno a sostenere 92 paesi a basso reddito che altrimenti non potrebbero permettersi i vaccini contro il Covid-19. Molto bello, ma ciò non basta.
Di fatto, stiamo creando un’altra sovrastruttura o gerarchia coloniale di persone provenienti da paesi più ricchi che hanno accesso e paesi più poveri che non hanno accesso. Se ai cittadini dei paesi a basso reddito viene negato l’accesso – avvertono i critici del passaporto vaccinale – si acuirà il divario globale creato da alcuni paesi ad alto reddito che accumulano l’offerta mondiale di vaccini e, così facendo, si impedirà alle persone non vaccinate di avere accesso a beni e conoscenze, anche se le loro controparti provenienti da paesi a reddito più elevato ottengono un balzo in avanti nella ripresa. Inoltre, se i paesi o le agenzie internazionali stabiliscono un passaporto digitale, ad esempio le persone che non hanno accesso agli smartphone potrebbero soffrirne. Si potrebbe anche alimentare un aumento degli sforzi per falsificare i passaporti, come avviene già con il mercato sotterraneo dei certificati contraffatti per la febbre gialla che esiste nell’aeroporto nigeriano di Lagos, dove le card false costano solo 8,50 dollari [5].
Non solo più dell’80% delle dosi di vaccini anti-Covid sono andate a persone che vivono in paesi ad alto reddito, mentre solo l’1% delle persone che vivono in paesi poveri hanno ricevuto almeno una dose di vaccino. Ma i lavoratori asiatici che vivevano muovendosi da un continente all’altro sono stati fra i primi a perdere il lavoro a causa delle restrizioni negli spostamenti, mentre milioni di essi sono rimasti a casa senza la possibilità di guadagnarsi da vivere. Molti ignorano il fatto che i lavoratori migranti rappresentano una componente chiave della moderna economia. Ad esempio, negli Emirati Arabi Uniti ci sono 2,7 milioni di lavoratori indiani, 740.000 del Bangladesh e 560.000 delle Filippine [12]. Sebbene si stia cercando di tornare alla normalità, per questa classe di lavoratori l’incubo è ben lontano dal finire, anche perché il mondo occidentale non riconosce i vaccini cinesi e russi, nonostante l’autorizzazione dell’OMS.
Perché perfino l’OMS è contraria ai passaporti vaccinali
Come osserva l’esperta di diritti umani Kalla Tasneem, “il passaporto vaccinale proposto si concentra sullo stato di vaccinazione in cui vaccinato equivale a ‘sicuro’ e non vaccinato equivale a ‘pericoloso’. Questo indicatore binario fornisce le basi per dividere le popolazioni e controllare ciò che possono e non possono fare, fornendo essenzialmente una nuova base per la discriminazione e la disuguaglianza. Dividere le persone e i paesi in cose da fare e da non fare presenta un rischio nel suo potenziale di stabilire una polarizzazione ancora maggiore e divisioni sociali più profonde. [.. ] Le persone stanno spingendo per tornare a una vita di normalità nell’esistenza quotidiana. Ma dobbiamo chiederci che cos’è questa parvenza di normalità ed a chi è destinata. La distinzione tra persone vaccinate e non vaccinate potrebbe fornire un’altra base che perpetua l’ingiustizia, giustifica la discriminazione e controlla la libertà degli individui?”.
Inoltre, la Tasneem osserva: “L’OMS ha messo in guardia contro il rilascio di passaporti di immunità perché la loro accuratezza non può essere garantita, affermando che ‘attualmente non ci sono prove che le persone che si sono riprese dal Covid-19 e hanno anticorpi siano protette da una seconda infezione’. I vaccini sono temporanei, spiega Sarah Chan, bioeticista dell’Università di Edimburgo; la vaccinazione può fornire una certa protezione dal contrarre il Covid-19, ma non è efficace al 100% nel 100% degli individui. Inoltre, i vaccini approvati non impediscono la trasmissione, e si sa ancora poco della durata dell’immunità o della resistenza alle nuove varianti. La promessa delle vaccinazioni come mezzo efficace per gestire la pandemia e prevenire la trasmissione è discutibile, il che porta alla seguente domanda: vale la pena usare mezzi divisivi e potenzialmente discriminatori per verificare una vaccinazione?”.
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha preso una posizione distinta in merito ai passaporti vaccinali basata su questioni etiche, tecnologiche, legali e scientifiche e sollecita misure che ostacolino meno la libertà di movimento. Le considerazioni etiche riguardano la carenza globale di vaccini e l’ulteriore peggioramento delle disuguaglianze esistenti (sia in termini di accessibilità che di disponibilità di vaccini e test Covid-19). L’OMS attualmente scoraggia le autorità nazionali dall’imporre passaporti per le vaccinazioni Covid-19 [1]. Dicono che “ci sono ancora incognite critiche sull’efficacia della vaccinazione nel ridurre la trasmissione”. Inoltre, per implementare tali passaporti, i vaccini devono essere prima approvati dall’OMS garantendone la qualità e la disponibilità globale. Ciò è della massima importanza se si considera la moltitudine di attuali vaccini Covid-19 e candidati e le differenze nazionali nei vaccini adottati.
I Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie e l’Organizzazione mondiale della sanità si sono uniti nello sforzo di respingere un passaporto vaccinale, con la portavoce dell’OMS Margaret Harris che cita già da molti mesi incertezze sul fatto che il vaccino prevenga la trasmissione, nonché preoccupazioni sull’equità di tale misura. Non a caso, la stessa OMS si è dichiarata contraria sia alla vaccinazione obbligatoria, se non in circostanze professionali specifiche (ma passaporti vaccinali e Green-pass non sono altro, di fatto, che una sorta di obbligo mascherato), sia all’uso dei soli vaccini come arma per combattere la pandemia. John Nkengasong, direttore di Africa CDC, è stato ancora più diretto in una recente conferenza stampa: “La nostra posizione è molto semplice. Qualsiasi imposizione di un passaporto per le vaccinazioni creerà enormi disuguaglianze e le aggraverà ulteriormente” [5].
La pandemia ha evidenziato che, sebbene il virus non discrimini, lo stesso non si può dire per la prevenzione e la cura e per tutto ciò che a valle ne consegue, a cominciare dal passaporto vaccinale. Ciò può avere conseguenze catastrofiche. Sempre più scuole e luoghi di lavoro chiedono prove di determinate vaccinazioni o di vaccini antinfluenzali. Tuttavia, ci sono alcune cose che rendono l’introduzione della prova della vaccinazione contro il Covid-19 molto diversa dall’avere un libretto giallo che mostra che hai avuto un vaccino contro la febbre gialla. La prova di essere vaccinati è essenzialmente classificare le persone in base al loro stato rispetto al Covid-19 e creare una nuova misura per dividere gli abbienti ed i non abbienti, o gli “immunoprivilegiati” e gli “immunodeprivati” [8]. Si tratta di un unicum senza precedenti, eppure nessuno ne ha analizzato a fondo le possibili conseguenze per capire se la “toppa” sia peggiore del “buco”.
La restrizione più ampia su chi è autorizzato a viaggiare a livello regionale e internazionale, in particolare, alla fine potrebbe aggravare il danno economico della pandemia di Covid-19 nei paesi a basso e medio reddito e impedire a studenti, scienziati e molti altri di partecipare al mondo globalizzato, potenzialmente per gli anni a venire. Ma le cose sono, se possibile, ancora peggiori a livello nazionale, poiché esattamente come il divario economico si va allargando sia tra Paesi sia all’interno delle singole nazioni, anche il divario prodotto dalla campagna vaccinale – o vaccine divide, per dirla alla anglosassone – non è meno rilevante. Alcuni paesi, come Israele e l’Italia, stanno introducendo “di getto” normative nazionali che consentono alle persone vaccinate di accedere a spazi, come palestre e ristoranti, vietati alle persone che non sono state vaccinate. Ciò ha conseguenze potenzialmente devastanti e del tutto inesplorate.
Il Green-pass fra (poche) luci e (tante) ombre
Israele ha emesso un Green-pass che consente alle persone di frequentare corsi di ginnastica, teatri, concerti e hotel; l’uso di tali certificati è esteso a coloro che desiderano sedersi all’interno di ristoranti e bar. Tuttavia, mentre questo approccio ha già consentito a circa 5 milioni di cittadini di tornare a una certa “normalità”, il processo di attuazione e applicazione dell’uso di questi passaporti rimane problematico, principalmente per gli aspetti logistici, legali ed etici. Il passaporto verde può essere integrato con test rapidi. Il governo polacco ha emesso un codice QR che consente una versione scaricabile di un documento di conferma del vaccino, che garantisce “i diritti a cui hanno diritto le persone vaccinate”. Oltre alle misure nazionali, grandi attori privati (ad esempio il tour operator britannico Sage e British Airways) stanno valutando l’introduzione di Green-pass o passaporti vaccinali. Gli assicuratori di viaggio possono operare un sistema a due livelli che addebita tariffe più elevate per gli individui non vaccinati.
Ma l’idea sta sollevando serie domande legali ed etiche [10]: le aziende possono richiedere a dipendenti o clienti di fornire prove, digitali o di altro tipo, di essere stati vaccinati quando il vaccino contro il coronavirus è apparentemente volontario? Le scuole possono richiedere che gli studenti dimostrino di essere stati iniettati con quella che è ancora ufficialmente una profilassi sperimentale allo stesso modo in cui richiedono vaccini approvati da tempo per il morbillo e la poliomielite? E infine, i governi possono imporre le vaccinazioni o ostacolare le imprese o le istituzioni educative che richiedono prove di vaccinazione? Gli esperti legali dicono che la risposta a tutte queste domande è generalmente sì, anche se in una società così divisa, i politici sono già pronti a combattere. E gli stati potrebbero emanare una legge che vieta la discriminazione basata sullo stato di vaccinazione (mentre l’Italia fa proprio l’opposto).
In mancanza di tale legge, le aziende possono fare quel che vogliono ed i cittadini che non sono vaccinati ne pagano le conseguenze. Per questo, giocando d’anticipo, negli Stati Uniti il governatore della Florida Ron DeSantis ha preventivamente vietato alle aziende di richiedere l’esibizione di Green-pass o certificati vaccinali. “È completamente inaccettabile che il governo o il settore privato ti impongano l’obbligo di mostrare la prova del vaccino per essere semplicemente in grado di partecipare alla società normale”, ha affermato DeSantis [11]. “Proprio come è una tua scelta possedere o meno un’auto, dovremmo avere la possibilità di scegliere cosa vogliamo fare della nostra vita”, osserva un semplice cittadino, “i Green-pass ci fanno sentire come in una società discriminante. È come indossare la lettera scarlatta. È pazzesco”. E la politica non fa che polarizzare i cittadini su posizioni estreme, invece di smorzare i toni.
Non mancano, inoltre, critiche di tipo legale per il Green-pass, che comunque – a differenza di quanto pensano alcune persone – non è affatto anticostituzionale. Infatti, l’articolo 16 della Costituzione stabilisce che “ogni cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità”. I dubbi a riguardo sono stati spazzati via da due dei massimi costituzionalisti italiani, Giovanni Maria Flick e Sabino Cassese, entrambi docenti universitari ed a lungo giudici costituzionali. Come spiega infatti l’avv. Angelo Greco, che ha studiato le loro tesi, “esiste un interesse complessivo alla salute che giustifica la compressione delle scelte dei singoli, sia che si tratti di vietare l’ingresso nei pub a chi non è vaccinato sia che si voglia imporre per legge la profilassi vaccinale a intere categorie di lavoratori, come per esempio gli insegnanti oppure i sanitari” [15].
Infine, come osservavano Sesa et al. sul prestigioso British Medical Journal già nel mese di marzo, anche “il ruolo dei Green-pass per contrastare l’esitazione vaccinale rimane problematico. Coloro che resistono ai programmi di vaccinazione (perché no-vax o perché non convinti dalla “narrazione ufficiale” a senso unico che esalta i vantaggi dei vaccini sperimentali nascondendone quasi tutti gli svantaggi, ndr) possono finire per considerare i Green-pass come misure coercitive del piano di vaccinazione globale, usate per controllare la popolazione e violare la privacy. E la mancanza di prove coerenti di efficacia dei vaccini nel contrastare la trasmissione dell’infezione evidenziata dall’OMS compromette il messaggio del vaccinarsi” [1]. In effetti, ormai sappiamo che i vaccini anti-Covid attuali sono “leaky” [3], cioè permettono l’infezione di terzi (infezioni secondarie) da parte dei vaccinati (infettatisi) in circa un terzo dei casi, se non più [4].
Per non parlare dell’impatto economico del Green-pass, da tutti trascurato. Non è infatti prevista nessuna analisi preventiva dell’impatto economico delle misure legislative sui generis, cioè non strettamente economiche, adottate. Ma ciò non significa che il loro impatto non possa essere grande, potenzialmente enorme. Infatti, limitare l’ingresso a locali, ristoranti, stadi e trasporti in pratica ai soli vaccinati (quale famiglia spenderà 100 euro di tamponi antigenici solo per sedersi a tavola?) impatta eccome sulle attività e, di conseguenza, sull’economia del Paese, che già esce dalla pandemia fragilissima e con il rischio di superare pericolose soglie critiche, come discusso in un mio precedente articolo [17]. Il solo annuncio del Green-pass da parte del Governo ha fatto cancellare in poche ore circa il 40% delle prenotazioni alberghiere! E questo sorvolando sul fatto che, ancora oggi, gran parte della popolazione italiana – quand’anche si vaccinasse come da auspici del Governo – non è materialmente attrezzata per entrare in possesso del Green-pass [13], con tutte le conseguenze (e possibili discriminazioni) del caso.
Le prove di vaccinazione: verso un remake della “lettera scarlatta”?
Alcuni giorni fa è stato chiesto ai cittadini statunitensi, in un sondaggio [2], cosa ne pensassero del loro equivalente del nostro Green-pass, da usare in ristoranti, matrimoni ed eventi sportivi. Il 53% ha risposto che esso è benvenuto per la tranquillità nel viaggiare e nel partecipare ad eventi, mentre il 44% del campione ha risposto di essere contro il passaporto vaccinale perché esso infrange i propri diritti; il restante 3% si è dichiarato più incerto, avendo risposto “dipende”. Ma, come scrive Palma Kristi su Boston.com, “è incredibile come le persone non si rendano conto che si sta creando un pericoloso precedente. Una volta che abbiamo iniziato a mostrare il nostro passaporto vaccinale, quando avrà fine la cosa? Sarà necessario esibirlo anche per altre situazioni, ad esempio per i malati di mente o per chi è stato arrestato o condannato? Dopotutto, anche loro sono persone ‘pericolose’ per la società” [2].
Immagina un futuro distopico in cui la prova che sei stato vaccinato contro il Covid-19 potrebbe dettare la tua libertà, l’accesso agli spazi pubblici, il lavoro e altre attività che comportano il contatto con altre persone. Come osserva Kalla Tasneem, “questa distopia potrebbe non essere così inverosimile e potrebbe diventare una realtà mentre il mondo cerca di riconquistare un senso di normalità. Non sarebbe la prima volta che la libertà per alcuni gruppi di persone è determinata da stratificazioni sociali e disuguaglianze strutturali profondamente radicate. La disuguaglianza e la stratificazione sociale hanno svolto un ruolo enorme nel modo in cui i paesi sono stati colpiti e hanno affrontato la pandemia. Il 2021 ha inaugurato la fase di vaccinazione con una serie di nuove preoccupazioni per quanto riguarda la gestione della pandemia globale, una delle quali è la disuguaglianza nell’accesso alle vaccinazioni”.
Questa nuova realtà propone un sistema in cui coloro che scelgono di non essere vaccinati – o non hanno accesso ai vaccini – avranno la loro libertà ridotta in nome della salute pubblica. Anche se l’introduzione della verifica della vaccinazione è stata discussa fin dal 2020, il 2021 sembra essere l’anno che renderà il Green-pass (o la prova della vaccinazione) una realtà. Ma in che modo i paesi intendono affrontare il rischio di dividere le persone in vaccinate e non vaccinate e garantire che ciò non contribuisca ai modelli esistenti di privilegio, svantaggio e discriminazione? Come può la società garantire che un’altra divisione binaria non perpetui la disuguaglianza già esistente rafforzando la discriminazione basata sullo stato di salute di una persona? Gli impatti dei Green-pass e dei passaporti vaccinali sono di vasta portata e potrebbero aggravare le divisioni sociali. Problemi di razza, occupazione, precedenti penali, status di immigrato e altre divisioni nella società potrebbero essere esacerbati dalla necessità di dimostrare la tua vaccinazione.
L’Italia sta spingendo molto per vaccinare i cittadini sperando che il Green-pass sia la soluzione sicura per riaprire tutto, sbloccare l’economia e ripristinare una parvenza di normalità. Peccato, però, che nonostante le promesse più o meno implicite nell’adozione del Green-pass, nel nostro paese si stia andando nella direzione opposta, un po’ come se la mano sinistra non sapesse quel che fa la mano destra. Un gran numero di persone, guarite dal Covid o vaccinate, hanno segnalato falle burocratiche e difficoltà a ottenere il Green-pass al quale avrebbero diritto; oppure l’hanno ricevuto ma è sbagliato. Alcune storie sono fra l’assurdo e l’inverosimile, e ricevere un aiuto via telefono è quasi impossibile [6]. Inoltre, per la serie A di basket – solo per fare un esempio – la percentuale di occupazione dei palazzetti per la prossima stagione è simile a quella, bassissima, di quando non vi erano vaccini e Green-pass; mentre in Sardegna e Puglia molte discoteche sono di fatto operative, ma per i Dpcm non potrebbero. Forse qualcosa non torna…
Insomma, Green-pass e passaporti vaccinali sembrano porre più problemi di quanti non ne risolvano. Non stupisce, quindi, che negli Stati Uniti molti stati li abbiano messo al bando, citando preoccupazioni per la privacy (da noi si è invece giunti al paradosso di bocciare a priori, con la scusa della privacy, un’app come ad es. quella di tracciamento inglese, assai efficace nel contenere i contagi come dimostrano i dati di questi ultime settimane, e non invece il Green-pass, che al contrario la viola palesemente) e per l’intrusione nella decisione delle persone di vaccinarsi o mano. Se si considera che su una tematica così importante si dovrebbe cercare l’unità e non la divisione, si può almeno intuire il danno prodotto dal Green-pass, che è una soluzione “facile” per i Governi deboli e incapaci di offrire reali soluzioni alternative – o almeno complementari – ai vaccini, che però oggi esistono eccome (ma ne parlerò in un futuro articolo).
Vorrei, infine, sottolineare ancora una volta come tutto il presente dibattito riguardi non dei vaccini normali, bensì dei vaccini “sperimentali”, dei quali non si conoscono gli effetti a medio e soprattutto a lungo termine (ciò è vero sia in generale, poiché non è passato abbastanza tempo per poterli osservare, sia in particolare per quanto riguarda i vaccini a mRNA, mai usati in precedenza per vaccinazioni sull’uomo) e i danni che si stanno scoprendo grazie all’esame dei vaccinati da parte di ricercatori indipendenti (ne parlerò in un futuro articolo) sono piuttosto inquietanti. Si noti, inoltre, che i dati tratti dal database VAERS degli effetti avversi mostrano che ai vaccini “normali” tutti insieme sono associate negli USA 4.182 segnalazioni di morti per “presunti effetti collaterali” in 20 anni, mentre ai vaccini sperimentali anti-Covid che oggi si vogliono obbligare indirettamente con l’escamotage del Green-pass è associato lo stesso numero di morti (4.178) per “presunti effetti collaterali” nel giro di pochi mesi di vaccinazioni [18]. Ciò fa riflettere.
La Costituzione non prevede la sua auto-sospensione per motivi sanitari
Se i Green-pass ed i passaporti vaccinali possono avervi fornito l’idea che il Governo possieda la vostra vita, il vostro corpo e la vostra libertà, allora ancor più male vi farà venire a conoscenza dell’argomento che tratterò ora, che è stato molto trascurato dai media nonostante la sua enorme importanza. Il perdurare a oltranza, in Italia, dello “stato di emergenza” deliberato dal Governo pone sempre più sul tavolo il tema – del tutto ignorato dai talk-show televisivi, più interessati dalla questione del green pass – sul punto di equilibrio fra il diritto alla salute e gli altri diritti della persona garantiti dalla Costituzione.
In Italia, con la “scusa” della pandemia, la situazione sta diventando così restrittiva delle libertà da ricordare per certi versi lo status della popolazione in regimi autoritari che noi abitualmente biasimiamo, tanto che perfino una mia carissima amica cinese che vive da oltre vent’anni nel nostro Paese mi ha confidato: “Ora in Italia ti assicuro che è peggio che in Cina!”. In effetti, non posso darle torto. Ma la questione è, in realtà, assai più generale che non il cercare di stabilire la mera costituzionalità o meno del singolo strumento (ad es. il Green-pass) e dei singoli decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (i famosi Dpcm). È solo allargando la prospettiva che si coglie l’assoluta anomalia della situazione attuale, dato che la nostra Costituzione non prevede lo “stato di emergenza”. Ho per questo deciso di farci illuminare, a riguardo, da un esperto come Angelo Di Lorenzo, avvocato penalista del Foro di Roma. Ciò, beninteso, non implica che io condivida posizioni negazioniste che potrebbero avere eventualmente animato alcuni suoi colleghi.
Come spiega Di Lorenzo in una sua relazione orale disponibile su YouTube [16], “la cosiddetta ‘normazione di emergenza’ non ha solo la finalità di regolare le questioni di vita sociale, politica ed economica in un Paese in un momento di crisi, ma ha la pretesa di entrare – come poi in effetti è entrata – all’interno delle nostre coscienze, all’interno delle nostre inclinazioni e pretende di esercitare per nostro conto diritti personalissimi e attività che poi alla fine ci qualificano come persone e ci consentono di realizzarci come singoli sia nelle formazioni sociali cui apparteniamo o sentiamo la necessità di appartenere, sia anche come individui. Ed allora, fino al 31 gennaio del 2020, la Costituzione era la pietra in cui trovare scolpite quelle che sono le regole fondamentali del nostro convivere civile e che caratterizzano, in qualche modo, la Repubblica Italiana e i diritti che ciascuno di noi gode nell’abbraccio ordinamentale”.
Ma poi le cose sono – lo sappiamo tutti – all’improvviso cambiate, come chiarisce però molto bene l’avvocato: “Dal 31 gennaio del 2020 si è introdotto, con un’azione d’impeto mossa da una sorta di ‘impreparazione e ignoranza congenita’, questo nuovo modello sociale che avrebbe dovuto in qualche maniera farci tornare Covid free – o potenzialmente tali – nel giro di brevissimo tempo: se pensate che il primo provvedimento a carattere nazionale era del 4 di marzo del 2020 e le prime misure previste in quel provvedimento dovevano cessare il 3 aprile del 2020, siamo nel giro di più o meno 30 giorni. E questo nuovo modello era basato sulla logica del lockdown e sulla possibilità di derogare alle regole, ai valori ed ai principi che hanno regolato il nostro convivere civile fino a quel momento”.
Come ci illustra ancora Di Lorenzo con una chiara immagine, in Italia con la pandemia di Covid-19 “la normazione di emergenza ha scalzato con uno ‘sgambetto a tradimento’ la Costituzione dall’apice della cosiddetta ‘gerarchia delle fonti’. Immaginate la gerarchia delle fonti, le quali altro non sono che la sorgente da cui vengono prodotte le norme, come un sistema gerarchico piramidale: all’apice di questa struttura piramidale – quasi militare – ci sono la Costituzione e le leggi costituzionali. Dalla Costituzione, poi, promanano – e vengono rilasciati a cascata – i semi dei princìpi, dei valori e dei diritti che vanno a costituire le regole. E questi semi vanno a informare le fonti sotto ordinate nella suddetta piramide: quindi, sotto la Costituzione troviamo le leggi generali di ambito europeo internazionalmente riconosciute e poi le leggi ordinarie, poi le leggi regionali e così, via via, a scendere fino alla base di questa struttura, che sono gli usi e le consuetudini. Ma tutte queste fonti sono generate dallo stesso seme, e rispettose dello stesso metaprincipio, di modo che l’ordinamento si presenti come un sistema organico e coerente”.
In sostanza, il Governo ha fatto una vera e propria “deroga” alla Costituzione e alle leggi ordinarie. Infatti, come chiarisce Di Lorenzo nel suo intervento, “la Costituzione non lo prevede! Quindi, è necessariamente al di fuori o al di sotto della Costituzione. E che non lo preveda non è certo una lacuna, un caso, se pensate che la Costituzione in generale è il collettore di quanto c’è di buono in tutti gli approcci ideologici e che i nostri ‘padri fondatori’ l’hanno voluta, pensata e scritta in un’assemblea costituente che ci ha regalato questo documento destinato ad essere perpetuo proprio perché fluido ed omogeneo, e quindi idoneo ad essere applicato in tutti i contesti storici, così da garantirne, appunto, la perpetuità e la contemporaneità. Siamo alla fine della Seconda guerra mondiale, nel 1948, ed i padri fondatori vengono da una esperienza bellica, ma soprattutto alcuni di loro hanno vissuto anche la pandemia di ‘Spagnola’ che aveva colpito l’intero mondo – non solo l’Europa – alla fine della Prima guerra mondiale, dal 1918 al 1920, mietendo dai 50 ai 100 milioni di morti con un tasso di letalità stimato dal 3 al 4 percento”.
E continua l’avvocato: “nonostante tutto ciò, non si è voluto inserire nella Costituzione un meccanismo di auto-sospensione del proprio ordine costituzionale in presenza di un evento pandemico di natura sanitaria. Avrebbero potuto farlo e non l’hanno fatto, come invece però hanno fatto con l’unica eccezione che prevede la Costituzione: la dichiarazione dello stato di guerra. [..] Se la Costituzione non prevede questo meccanismo di auto-sospensione, è ovvio e naturale che nessuna legge ad essa subordinata possa disporre l’elusione o l’esclusione della sua immanenza, e infatti nessuna legge lo prevede: nemmeno la legge che è attualmente in vigore in materia sanitaria, che è il Testo Unico Sanitario, ovvero 394 articoli ricompresi in un Regio decreto del 1934. Questo è stato certamente aggiornato con la normativa contemporanea, ma in tale normativa di carattere generale – che ha il compito di indicare le linee guida e l’attività l’azione dello Stato in materia sanitaria – non si prevede un meccanismo di questo tipo”.
L’anomalia italiana dello “stato di emergenza” di fatto illimitato
In effetti, come vi sarà a questo punto chiaro, quando nel nostro Paese è scoppiata la pandemia, si è effettuata una forzatura ricorrendo alla normazione di emergenza per “mettere una toppa” all’impreparazione, all’ignoranza (nel senso di “non sapere”) e alla mancanza di competenze specifiche di alcune strutture preposte tradizionalmente alla gestione delle emergenze. In pratica, si è cercato in tutta fretta – creando però un precedente pericolosissimo – uno strumento che permettesse di operare al di fuori del controllo e dei limiti costituzionali. Il problema è che, senza che la gente neppure se ne renda conto – trattandosi di un argomento evidentemente tecnico-legale – nel suo utilizzo si sta andando ben al di là dei limiti temporali e dell’ambito previsto dalla legge per lo “stato di emergenza”.
Come spiega molto bene Di Lorenzo nel suo intervento, “la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale è prevista dal codice della Protezione Civile: è il Decreto legislativo n.1 del 2 gennaio del 2018. E quello che effettivamente è stato fatto con questa dichiarazione dello stato di emergenza è costituire una sorta di fonte del diritto subdola, perché la si è utilizzata in una maniera impropria. L’unica vera attribuzione che la legge dà alla dichiarazione dello stato di emergenza è una competenza funzionale: quella di attivare una mobilitazione straordinaria del Servizio nazionale di Protezione Civile in presenza di una delle condizioni calamitose indicate dalla legge, in particolare dall’articolo 7 del Codice della Protezione Civile, il quale prevede tre tipi di calamità: le prime due riguardano le regioni; la terza – quella che a noi interessa – ovvero la lettera c, riguarda invece gli eventi calamitosi naturali o derivanti dall’attività dell’uomo che hanno una rilevanza nazionale in questo momento”.
Di Lorenzo è chiaro: “le particolari attività di protezione civile sono indicate dalla stessa norma.’Protezione Civile’ significa previsione, prevenzione e gestione dell’emergenza, oltre alla soluzione dell’emergenza. Ma stendiamo un velo pietoso sulla soluzione dell’emergenza. Per gestione dell’emergenza si intende qualsiasi tipo di attività coordinata, integrata di soccorso e assistenza alla popolazione. Le attività di previsione riguardano, invece, l’identificazione degli scenari di rischio possibile, mentre le attività di prevenzione sono deputate al contenimento e ad evitare i danni conseguenti all’emergenza. Tutto ciò è alla base dell’attività conseguente la dichiarazione dello stato di emergenza, ma in tutti e quattro i decreti che hanno disposto o prorogato lo stato di emergenza non vi è stato alcun riferimento alla Costituzione, a una norma costituzionale, sebbene in tutti e quattro venga indicata la necessità di attribuzione – quasi un’auto attribuzione – di poteri e mezzi straordinari per far fronte all’emergenza sanitaria”.
Come osserva Di Lorenzo, “ciò costituisce quel vulnus di tutta la normazione emergenziale, perché in questa attribuzione di mezzi e poteri straordinari si dimentica di inserire un suffisso decisivo: ‘di protezione civile’. Ciò apre scenari vastissimi di incompatibilità costituzionale, proprio perché la dichiarazione dello stato di emergenza è stata utilizzata in questo modo impropriamente, oltre i propri limiti, oltre i propri fini e oltre le attribuzioni che la legge dà ad essa, di modo che la dichiarazione dello stato di emergenza è stata considerata come quella fonte del diritto che potesse in qualche modo generare le norme per derogare a quelle provenienti dalla fonti sovraordinate, quindi Costituzione e leggi europee. [..] Sebbene sia consentito attraverso le ordinanze speciali di Protezione Civile una deroga alle leggi in vigore – e stiamo parlando di leggi, non di fonti sovraordinate alle leggi – è necessario che questa eventuale deroga con le ordinanze speciali di protezione civile comunque rispetti i principi generali dell’ordinamento italiano”.
Insomma, lo stato di emergenza nazionale ha l’unica funzione di innescare l’azione di protezione civile, ma poi ci si è allargati parecchio, per usare un gentile eufemismo. E, come sottolinea Di Lorenzo, “se pensiamo che tutto ciò è davanti ai nostri occhi e si traduce nella nostra vita reale, basta aprire la Costituzione, chiudere gli occhi e far cadere il dito in un punto a caso dall’articolo 2 all’articolo 42. Vedrete che questo cadrà certamente su un diritto che viene affievolito dalla normativa emergenziale, compreso anche quello del diritto alla salute, perché se è vero che la lotta alla pandemia in qualche modo rientra nella tutela del diritto alla salute, non è vero il contrario: ovvero, la tutela del diritto alla salute non si esaurisce nella lotta alla pandemia, e questo è un aspetto di compatibilità costituzionale dell’intera normazione emergenziale che va ad abbracciare tutti gli altri aspetti coinvolti, anche e soprattutto quelli sanitari”.
Di Lorenzo spiega poi come l’anomalia italiana riguardi anche la durata dello stato di emergenza: “Il decreto legislativo n.1 del 2018 ci dice che, quando il Consiglio dei ministri delibera lo ‘stato di emergenza nazionale’, ne fissa la relativa estensione temporale l’articolo 24 comma 3, il quale prosegue dicendo che la durata dello stato di emergenza non può essere superiore a 12 mesi e può essere prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi. Dalla lettura della norma, quindi, si evince una struttura ‘bifasica’ del termine della durata dello stato di emergenza: una prima fase – diciamo così – ‘costitutiva e genetica’ che non può durare più di 12 mesi, ed una seconda fase eventuale e di proroga che non può durare per ulteriori massimo 12 mesi”. Nella sua relazione, Di Lorenzo mostra che la prima di queste due fasi è stata, di fatto, fissata dal Governo in 6 mesi (dal 29 di gennaio al 31 di luglio 2020), per cui lo stato di emergenza, con le proroghe, avrebbe dovuto terminare dopo altri 12 mesi, il 31 luglio 2021. Invece, esso è stato di recente ri-prorogato fino al 31/12/21. Il lettore può, a questo punto, facilmente trarre le proprie conclusioni.
Riferimenti bibliografici
[1] Sesa G. et al., “Covid-19 Vaccine passports and vaccine hesitancy: freedom or control?”, The British Medical Journal, 30 marzo 2021.
[2] Kristi P., “Be ready to pay the consequences: Vaccine passports leave Boston.com readers divided”, Boston.com, 4 maggio 2021.
[3] Menichella M., “I vaccini anti-COVID: perché ci attende un futuro pieno di incognite”, Fondazione David Hume, 10 marzo 2021.
[4] Menichella M., “Quale potrebbe essere l’impatto del COVID-19 in Italia nel prossimo autunno-inverno?”, Fondazione David Hume, 28 giugno 2021.
[5] Green A., “How ‘vaccine passports’ could exacerbate global inequities”, Devex, 15 luglio 2021.
[6] Fiori D., “Tutte le falle del Green pass: da chi non riceve il codice ai guariti con il certificato sbagliato. La corsa a risolvere le criticità prima del decreto”, Il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2021.
[7] Menichella M., ” ‘Pillole’ anti-COVID: quelle che non vi hanno mai dato”, Fondazione David Hume, 25 marzo 2021.
[8] Kalla T., “Passport or Affidavit: How Vaccine Passports Could Further Divide Populations and Perpetuate Cycles of Inequalities”, Human Rights Pulse, 21 maggio 2021.
[9] Aratani L., “US split on vaccine passports as country aims for return to normalcy”, The Guardian, 29 aprile 2021.
[10] Stolberg S.G., “Vaccine passports are the next coronavirus divide?”, Financial Review, 7 aprile 2021.
[11] Smith T., “Vaccine Passports: ‘Scarlet Letter’ Or Just The Ticket?”, NPR, 9 aprile 2021.
[12] Dagia N., “Vaccine Passports: Ticket to Freedom or Path to a Divided World?”, The Diplomat, 12 luglio 2021.
[13] Redazione cronaca di Viareggio, “L’odissea per arrivare al Green pass”, La Nazione, 24 luglio 2021.
[14] Borga L., “Green pass, 20 milioni ancora esclusi: si teme impatto sull’economia”, SkyTG24, 20 luglio 2021.
[15] Greco A., “Il Green pass e il vaccino obbligatorio sono costituzionali?”, YouTube, 24 luglio 2021. https://www.youtube.com/watch?v=kbNRdYq0XBo
[16] Di Lorenzo A., Relazione fatta al Congresso di “Mille Avvocati e Mille medici per la Costituzione” – Verona, 17-18 aprile 2021, e pubblicata su YouTube. https://www.youtube.com/watch?v=f9c04QF3c_E&t=227s
[17] Menichella M., “Il ‘boom’ dei prezzi e l’impatto del lockdown: l’Italia rischia ora la ‘tempesta perfetta’ “, Fondazione David Hume, 21 aprile 2021.
[18] AFP USA, “US Government data does not show Covid-19 vaccine death tall”, AFP Fact Check, 19 maggio 2021.