Non lo si può dire con assoluta certezza, perché troppo pochi e scadenti sono i dati della Protezione Civile su cui siamo costretti a basarci.
Però una cosa possiamo dirla: negli ultimi 8-10 giorni ci sono segnali preoccupanti:
- il numero di morti giornaliero continua a calare, ma a un ritmo lentissimo;
- i ricoverati in terapia intensiva hanno smesso di scendere;
- il numero di nuovi casi è in aumento, sia in termini assoluti sia in rapporto al numero di persone testate con i tamponi.
Questo sul piano nazionale.
Se poi, vincendo l’orrore per la qualità dei dati forniti a livello provinciale, ci avventuriamo in una analisi dei dati provinciali sul numero di nuovi contagiati (gli unici disponibili a quel livello territoriale) in base ai dati disponibili il 18 giugno, il quadro diventa ancora più preoccupante.
Ci sono almeno 15 province in cui, in base all’andamento dei nuovi casi, è possibile individuare indizi di ripresa dell’epidemia.
Come si vede non sono tutte in Lombardia, e neppure tutte nel Nord. Fra le province a rischio ve ne sono anche alcune del centro e del sud: Bologna, Arezzo, Rieti, Macerata, Roma.
Accanto a queste 15 province, in cui più chiari sono i segnali di ripresa dell’epidemia, ve ne sono altre in cui i segnali sono meno nitidi, ma comunque la curva epidemica non esibisce un chiaro profilo di convergenza a zero.
In tutto si tratta di 15+7=22 province problematiche (su un totale di 107), che dovrebbero attirare l’attenzione delle autorità sanitarie.
E’ poi il caso di osservare che, se badiamo alla densità di nuovi casi ogni 100 mila abitanti, sono ben 20 le province che hanno un rapporto superiore alla media nazionale di 0,53 casi ogni 100 mila abitanti.