Dunque, il governo sta per prorogare lo “stato di emergenza”. Per altri 5 o 6 mesi potrà ricorrere ai famigerati Dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), senza passare attraverso il vaglio del Parlamento. In sostanza il governo sta per riattribuirsi i “pieni poteri” che già si era preso nel semestre scorso.
Si potrebbe osservare che, più o meno lentamente, stiamo cessando di essere una democrazia, e che il modo in cui stiamo passando a un regime dispotico è paradossale: questo governo è nato (o meglio dice di essere nato) per impedire che libere elezioni conferissero a Salvini i “pieni poteri” che aveva invocato, ma il risultato è che i pieni poteri – quelli veri – se li sta prendendo precisamente questo governo, senza chiedere il permesso a nessuno, e meno che mai a noi cittadini.
Qui però non voglio fermarmi su questo. La domanda cui vorrei provare a rispondere è un’altra: la situazione è così grave da giustificare la richiesta di pieni poteri?
Per certi versi sì. Dopo essermi preso un mese di insulti per aver detto (a metà giugno) che l’epidemia stava rialzando la testa, devo constatare che il fronte dei minimizzatori è oggi meno saldo nelle sue convinzioni. Ormai è l’Organizzazione mondiale della sanità stessa ad avvertire che la pandemia è in espansione, e solo i più ostinati fra i negazionisti continuano ad additare a modello “gli altri paesi europei” che hanno riaperto scuole, fabbriche e viaggi prima di noi.
Aggiungo solo che un’analisi dettagliata delle province italiane, pubblicata nei giorni scorsi sul sito della Fondazione David Hume, ha mostrato che il numero di province in cui i contagi stanno aumentando è in continua crescita. Erano una ventina tre settimane fa, sono quasi il doppio oggi. Il fatto che i dati nazionali mostrino solo una leggera tendenza all’aggravamento della situazione è in realtà il frutto di una polarizzazione fra i territori in cui l’epidemia si sta lentamente spegnendo, e quelli – sempre più numerosi – in cui sta invece ripartendo, non sempre e non solo a causa di specifici, circoscritti e quindi controllabili “focolai”. In breve, per chi è disposto a vedere, la situazione è abbastanza chiara: nonostante il favore della stagione, l’epidemia non si sta spegnendo.
Meno chiaro è perché ciò accada. La mia opinione è che, fondamentalmente, ciò dipenda da una scelta di fondo che le autorità politiche e sanitarie hanno compiuto all’inizio di giugno: traghettarci in un regime di anarchia cognitiva, una sorta di “libero arbitrio” nella lettura della situazione epidemica.
Lo avete notato, parlando con i vostri amici e conoscenti? Ognuno interpreta la situazione a modo suo. Ci sono gli iper-prudenti, che rispettano le regole, e sono spesso considerati “fobici”. E ci sono gli ipo-prudenti che se ne infischiano allegramente, e sono spesso guardati come “untori”: si assembrano, non rispettano le distanze sui mezzi pubblici e nei supermercati, entrano nei negozi senza la mascherina, o con la mascherina abbassata (il che equivale a senza).
Gli uni e gli altri hanno buone ragioni per comportarsi come si comportano. Agli iper-prudenti è sufficiente richiamarsi alle ancora severe regole vigenti, agli ipo-prudenti è sufficiente appellarsi alle sciagurate esternazioni dei virologi ottimisti, e più o meno sottilmente negazionisti (eufemismo). Ma su tutti pesano due mosse cruciali delle autorità politiche, nazionali e locali: ridurre il numero di tamponi e chiudere sistematicamente un occhio sulle numerosissime violazioni delle regole. Due mosse aggravate dall’ostinazione con cui fin qui non si è voluto distinguere fra le regioni (innanzitutto la Lombardia) in cui la gravità dell’epidemia avrebbe richiesto un prolungamento del lockdown, e le regioni (molte del Sud) in cui la tenuità dell’epidemia avrebbe consentito di accorciare la durata della clausura.
Naturalmente non è difficile capire la logica di queste scelte: non allarmare la popolazione, favorire la ripartenza dell’economia, salvare la stagione turistica. Come se una pandemia potesse essere domata lasciando le briglie sciolte sul turismo internazionale, allentando le regole di distanziamento sugli aerei, e più in generale incentivando la circolazione delle persone.
Ed eccoci allora al punto. La situazione è grave, e forse richiede davvero la ri-proclamazione dello “stato di emergenza”, ma la situazione stessa è diventata grave perché il governo, coscientemente, ha permesso che lo diventasse. Il regime di libero arbitrio sanitario, in cui uno vale uno e l’analisi della situazione si fa nei salotti televisivi, è il risultato della schizofrenia governativa: lasciare in piedi regole molto severe, e al tempo stesso permettere che siano sistematicamente violate.
Ecco perché rispondere alla domanda sulla sensatezza o meno di una proroga dello stato di emergenza è difficile. Sì, verrebbe da dire, perché occorre – ma soprattutto potrebbe occorrere in autunno – una nuova stretta (ma allora perché il governo continua a tollerare le violazioni?). No, perché questo governo ha già dimostrato di non saper governare l’epidemia: l’aggravamento della situazione sanitaria non è dovuto a un meteorite piovuto dal cielo, ma è stato favorito dall’inerzia dell’esecutivo, che proprio così si è costruito le pre-condizioni e il pretesto per invocare un ulteriore aumento dei propri poteri.
C’è poi un’ultima osservazione, che lascio lì sotto forma di dubbio. Siamo sicuri che lo stato di emergenza di cui ora si parla durerà solo altri 6 mesi? La maggior parte degli scienziati ritiene che, da oggi a dicembre, la situazione sia destinata a peggiorare drasticamente già solo per ragioni climatico-ambientali, e che a fine anno, quando lo stato di emergenza dovrebbe finire, la situazione non potrà che essere peggiore di quella odierna. Dunque, facendo 2 + 2: fanno finta di chiedere altri 6 mesi di pieni poteri, ma la richiesta verrà rinnovata in inverno, così quello che di fatto stanno chiedendo è un altro anno di pieni poteri, che si aggiungono ai 6 mesi già consumati.
Ma diciotto mesi di pieni poteri non sono un po’ troppi per un governo che si è lasciato sfuggire di mano la situazione e, per quanto formalmente legale, non ha alcuna legittimazione democratica?
Pubblicato su Il Messaggero dell’11 luglio 2020