L’epidemia nelle province

Il Bollettino di oggi (venerdì 7 agosto) torna ad occuparsi della curva del contagio in Italia per capire in quali province l’epidemia sta avanzando e dove invece il numero di nuovi casi risulta più contenuto.
La nostra analisi, come quelle precedenti, si basa sull’andamento dei nuovi contagi settimanali registrato in 97 province (vedi nota tecnica) in base ai dati disponibili al 4 agosto.

Delle 97 province considerate 14 (Treviso, Venezia, Bolzano, Pordenone, Foggia, Novara, Roma, Sud Sardegna, Udine, Piacenza, Lucca, Mantova, Pescara e Latina) presentano numeri in progressiva crescita. Sono soprattutto Treviso (+163 nuovi contagi fra il 22-28 luglio e il 29 luglio-4 agosto) e Venezia (+41) a registrare un incremento significativo di nuovi casi. L’aumento di Treviso è essenzialmente ricollegato allo scoppio del focolaio nell’ex Caserma Serena di Casier.
In questo gruppo troviamo anche province del Sud come Foggia e Sud Sardegna dove nell’ultima settimana (29 luglio – 4 agosto) si sono registrati circa 15 nuovi casi rispetto alla settimana precedente (22 – 28 luglio).

Segnali preoccupanti si osservano in altre 6 province (Pesaro e Urbino, Firenze, Genova, Lecce, Macerata e Vicenza) anche se qui la curva epidemica ha iniziato, negli ultimi giorni, a tendere verso il basso.

Una leggera tendenza all’aumento si osserva anche ad Ancona, Pisa, Bari, Teramo, Chieti, La Spezia e Perugia.

A queste 14+6+7=27 province se ne aggiungono altre 6 (Verona, Padova, Imperia, Cremona, Vercelli e Rovigo) dove la curva epidemica, dopo aver superato un picco, ha nuovamente iniziato a puntare leggermente verso l’alto.

Meno chiaro è l’andamento del contagio a Modena, Reggio Emilia, Cuneo, Forlì-Cesena, Bologna. Si può però osservare come il numero dei nuovi contagi continui a rimanere molto alto.

Segnali positivi arrivano invece da 14 province (fra cui Caserta, Savona e Aosta) dove, dopo una fase crescente, la curva epidemica ha invertito la sua corsa ed ha iniziato a diminuire.

Il trend risulta in diminuzione anche a Lecco, Bergamo, Belluno, Lodi e Arezzo, Avellino.

Dopo una fase di discesa, la curva epidemica rimane stabile a Brescia, Torino, Como, Monza, Sondrio, Pavia, Milano e Alessandria.

Sono invece 24 le province dove il numero dei contagi risulta contenuto. In alcuni casi, come Catanzaro o Massa Carrara è prossimo allo zero.

Più difficile è valutare l’andamento dell’epidemia nelle altre province, perché il trend presenta spesso oscillazioni ed è quindi difficile capire in quale direzione si muoverà la curva.

Oltre ad analizzare l’andamento del contagio provincia per provincia, possiamo valutare la gravità dell’epidemia individuando il numero di province in cui l’incremento settimanale di nuovi casi è superiore alla media nazionale.

Quel che si ottiene è rappresentato dal grafico seguente. Il numero di province critiche, dopo aver raggiunto nuovamente quota 30 verso la fine di luglio, è nuovamente ridisceso riportandosi ai livelli di metà luglio. Oggi (in base alle informazioni disponibili al 4 agosto) si contano 25 province con un numero di nuovi casi superiori alla media italiana, un po’ di più di quante fossero (18) intorno alla metà di giugno, quando la curva aveva toccato il minimo.

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Nota tecnica

I dati utilizzati nell’analisi sono quelli diffusi quotidianamente dalla Protezione Civile aggiornati al 4 agosto (ore 18).

La serie storica dei dati provinciali è stata ricalcolata per tenere conto dell’interruzione di serie che si è verificata il 24 giugno in seguito alla nuova classificazione dei casi positivi (non più in base alla provincia in cui è avvenuta l’ospedalizzazione, ma in base alla residenza della persona risultata positiva al COVID-19).

Data l’impossibilità di stabilire, provincia per provincia, che cosa è effettivamente avvenuto tra il 23 e il 24 giugno, i dati sono stati ricalcolati assumendo che, fra le due date, gli incrementi giornalieri dei nuovi casi fossero pari a zero.

Dall’analisi sono state escluse le province della Sicilia e la provincia di Trento perché oggetto di consistenti ricalcoli.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 6 agosto) la temperatura dell’epidemia è rimasta invariata a 1.7 gradi pseudo-Kelvin.

Il lieve calo degli ingressi ospedalieri stimati è stato attenuato dalla sostanziale stabilità dei decessi e dei nuovi contagi.

Anche oggi la variazione settimanale della temperatura è pari a +0.2 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo due giorni di stagnazione, la temperatura dell’epidemia è tornata leggermente a salire. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 5 agosto) segna 1.7 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di 0.1 gradi.

L’aumento si deve soprattutto all’andamento dei nuovi contagi, saliti in modo più accentuato rispetto ai giorni precedenti. Crescono anche gli ingressi ospedalieri stimati, mentre rimangono sostanzialmente stabili i decessi.

La variazione settimanale della temperatura è positiva ed è pari a 0.2 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 4 agosto), la temperatura dell’epidemia è rimasta invariata a 1.6 gradi pseudo-Kelvin.

La stazionarietà della temperatura è il risultato di due tendenze opposte: la diminuzione dei decessi è stata controbilanciata dal leggero aumento degli ingressi ospedalieri stimati. Continuano a rimanere stabili i nuovi contagi.

La temperatura è rimasta invariata rispetto alla settimana scorsa.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica




Il Covid e il condizionamento dell’aria

Nel mio precedente intervento, relativo al clima e al suo impatto sul contagio da covid, ho cercato di spiegare perché l’aria calda, asciutta e non inquinata è in grado di ridurre significativamente il rischio di contagio. Ciò, peraltro, non significa che, per il semplice fatto di essere in estate, i rischi siano estremamente ridotti. Infatti, al chiuso, proprio con il caldo estivo si è spesso costretti a ricorrere all’aria condizionata, riproducendo in tal modo, artificialmente, un ambiente a maggior rischio di contagio. Purtroppo, il rischio è ben maggiore di quanto si possa pensare, a causa della modalità di funzionamento degli impianti di condizionamento.

Vediamo allora come si fa per raffreddare l’aria. Si usano gli stessi componenti che, in piccolo, si trovano in un normale frigorifero domestico. In particolare, l’elemento refrigerante, detto evaporatore, che nel frigorifero è una piastra posta, al suo interno, sulla parete posteriore (nei modelli più recenti non è più visibile in quanto annegata all’interno di tale parete), negli impianti di condizionamento domestici è una “batteria” collocata all’interno del cosiddetto ventilconvettore, posizionato all’interno di ciascun ambiente. Non mi dilungo sugli impianti centralizzati perché il concetto di base è lo stesso: l’elemento refrigerante, dovunque esso sia, raffredda l’aria al disotto della temperatura di rugiada, cioè quella a cui l’umidità contenuta nell’aria comincia a condensare.

Torniamo alla batteria, costituita da tubi, al cui interno scorre il fluido refrigerante (semplicemente acqua negli impianti centralizzati) e alette metalliche che favoriscono lo scambio termico con l’aria. L’umidità dell’aria, condensandosi, bagna la batteria e, gocciolando, si raccoglie in una vaschetta da cui poi viene scaricata all’esterno. Il punto dolente è rappresentato dalle alette bagnate: se nell’ambiente c’è un infettato, l’aria aspirata dal ventilatore contenuto nel ventilconvettore e convogliata, attraverso la batteria, di nuovo nell’ambiente, può infettare le alette bagnate della batteria che possono così diventare un bacino di coltura di agenti patogeni. Ci si è resi conto del problema, a quanto ne so, a seguito dell’infezione da legionella, scoppiata in un albergo degli USA nel 1976 (34 morti su 4.000 presenti). Quindi, se l’aria proiettata dal ventilatore di nuovo nell’ambiente, attraverso le alette dell’evaporatore, non è adeguatamente filtrata, è come se ci si trovasse sotto una pioggia di starnuti! È chiaro che in casa propria o nella propria auto, se non si ospitano persone infette e ci si fida dei propri conviventi, non si corre alcun rischio.

Torniamo agli Stati Uniti, che sono stati, non a caso, dei pionieri in materia di condizionamento dell’aria. Vi sono stato due volte, entrambe d’estate, nella prima metà degli anni ottanta (ben prima che si imponesse il tema del riscaldamento globale), e fui colpito da due cose: l’afa insopportabile, mai sofferta prima, e la potenza straordinaria degli impianti di condizionamento: quando arrivai all’aeroporto Kennedy di New York non mi resi conto della gravità della situazione fino all’uscita dall’aeroporto, attraverso una porta girevole, resistendo a stento alla tentazione di rientrare. E come dimenticare i viaggi notturni con gli autobus della Greyhound: un gelo! Altro aneddoto che mi viene in mente è il condizionamento in auto, molto più potente di quello disponibile sulle nostre auto, al punto che in Texas, su una Renault R9 presa a noleggio, ero costretto a spegnerlo per superare le salite! Infatti, l’uso locale è quello di affrontare le colline di petto, senza sbancamenti di sorta e, quindi, con pendenze proibitive per autovetture non sufficientemente potenti. Tutto ciò per concludere che non sono affatto stupito dall’aumento dei contagi negli USA. Pensiamo infatti a un viaggiatore che prende l’aereo, transitando per gli aeroporti di partenza e di arrivo, e noleggia un’auto, forse non sempre sanificata a dovere: è chiaro che il rischio è molto superiore a quello affrontato da chi si limita a viaggiare con la propria auto.

Ricapitolando: meglio evitate i locali chiusi, inclusi i mezzi di trasporto (navi, aerei, treni e auto a noleggio), molto frequentati e con aria condizionata, specie se troppo forte, quando non c’è un minimo di controllo all’accesso come la rilevazione della temperatura corporea.