Scuola, ripartenza rischiosa

“La scuola riapre regolarmente il 14 settembre”, ha affermato il premier Giuseppe Conte in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Ma avrebbe fatto meglio a dire la verità, tutta la verità: le scuole cercano di ripartire il 14, ma non riusciranno a farlo in tutta Italia.

Infatti la situazione reale è questa. Il Friuli Venezia Giulia e quasi tutte le regioni del Sud (6 su 8) hanno già deciso di rimandare la riapertura, per lo più a dopo le elezioni del 21 settembre. Quanto alle altre regioni, alcune scuole partiranno, altre no: regioni e comuni possono autorizzare le singole scuole a rinviare la partenza, e già lo stanno facendo dove i dirigenti scolastici ritengono che non ci siano le condizioni per riaprire subito.

Le ragioni del ritardo sono fondamentalmente tre: cattedre scoperte (come tutti gli anni), lavori edilizi non completati o ancora privi delle necessarie certificazioni, mancata consegna dei banchi, originariamente prevista entro l’8 settembre, ed ora slittata alla fine di ottobre.

Si poteva fare diversamente?

Se teniamo conto del fatto che le scuole sono state chiuse da marzo, e che a metà maggio già si sapeva che non avrebbero riaperto prima di settembre, la risposta è: sì, almeno per quanto riguarda la consegna dei banchi. Bastava fare il bando a maggio, come fin dalla fine di aprile suggerivano alcuni produttori, anziché aspettare il 20 luglio (più di 4 mesi dopo la chiusura delle scuole!). Quanto alle nomine degli insegnanti, non riesco a credere che – con i pieni poteri che questo governo si è auto-attribuito – non vi fosse alcun modo di coprire la maggior parte delle cattedre, se non altro in considerazione del fatto che la carenza di insegnanti, nella misura in cui genera caos amministrativo e organizzativo, è anch’essa un potenziale fattore di rischio.

Possiamo almeno dire che la riapertura, dove avverrà, sarà “in sicurezza”?

Questo è difficile stabilirlo in anticipo, anche se il fatto che il premier abbia già messo le mani avanti, dicendo che eventuali focolai non sono imputabili a carenze dell’azione di governo, non è particolarmente incoraggiante. E’ ovvio che, come ha detto al figlio Niccolò, “se succede qualcosa a scuola non è perché papà ha lavorato male”. Ma il punto non è se ci saranno casi di Covid a scuola (questo è certo, ed è perfettamente normale, ahimè), ma se ve ne saranno pochi o parecchi, se sarebbero potuti essere molti di meno con scelte politiche diverse, e se ci siano le condizioni per gestire efficacemente i casi che certamente ci saranno, tanti o pochi che siano. Il caso di Israele, che giusto in questi giorni – primo paese al mondo – ha annunciato il ritorno al lockdown, dovrebbe insegnare qualcosa: se Israele deve di nuovo chiudere, è essenzialmente perché ha sbagliato tutto sulla scuola, dai tempi di riapertura, alla dimensione delle classi, agli errori nella aerazione dei locali (basata sui condizionatori).

Ebbene, sul versante della sicurezza il quadro è tutt’altro che rassicurante, per due ordini di ragioni. Il primo è che le misure adottate sono alquanto deboli, specie se confrontate con quelle di diversi paesi europei, che prevedono regole precise sulla frequenza di aerazione dei locali, un distanziamento maggiore (1.5 metri o 2), vincoli stringenti alla dimensione delle classi (da 10 a 20 bambini, a seconda dei paesi). Per non parlare della incapacità di assicurare un adeguato distanziamento nei trasporti: quella di considerare “congiunti” i bambini che vanno nella medesima scuola è una trovata degna di un Azzeccagarbugli; una acrobazia linguistica cui il governo è dovuto ricorrere perché per mesi e mesi si era occupato d’altro e, arrivati al 27 agosto, non c’era più tempo di provvedere diversamente, innanzitutto rafforzando il trasporto pubblico locale. Viene da chiedersi: a che serve tentare maldestramente di assicurare il distanziamento a scuola, con la ridicola regola del metro fra le “rime buccali”, se prima e dopo l’ingresso a scuola – per mancanza di bus – si costringono i ragazzi ad assembrarsi sui mezzi pubblici?

Ma c’è anche un altro ordine di ragioni, strettamente sanitarie, che non ci può lasciare tranquilli. Dalla metà di giugno, quando l’epidemia ha dato chiari segni di rialzare la testa (un fatto inizialmente segnalato da pochi, ma progressivamente riconosciuto da tutti), nulla è stato fatto per invertire la tendenza, e molto è stato invece fatto per prolungare il più a lungo possibile il periodo in cui la gente poteva divertirsi, il turismo riprendere fiato, e il virus accomodarsi fra noi; fino alla decisione finale di tenere le discoteche aperte anche a Ferragosto, nonostante i disastri provocati dalla folle estate fossero divenuti evidenti a tutti. Ebbene tutte queste scelte e omissioni (specie quella di chiudere un occhio su discoteche e movida) un risultato, prevedibile e previsto, l’hanno prodotto: aumentare il numero di contagiati e, con esso, il rischio che chiunque, ragazzo, insegnante, o familiare, contragga il virus.

Mentre ipocritamente si proclamava che la scuola era una “priorità assoluta”, e che “nemmeno una ora di lezione” doveva andare perduta, si permetteva che il rischio di contagiarsi, sceso ai minimi all’inizio dell’estate, tornasse inesorabilmente a salire.

Ma di quanto? A che punto siamo oggi?

Difficile fornire una stima precisa, ma l’ordine di grandezza è chiaro. Rispetto ai minimi toccati all’inizio dell’estate il numero di morti è quasi triplicato, e il numero di ricoverati in terapia intensiva è circa quadruplicato. Quanto al numero dei contagiati, è verosimile che sia aumentato ancora di più, perché l’età mediana si è drasticamente abbassata, e più la popolazione di contagiati è giovane, minore è la probabilità di un ricovero in terapia intensiva o di un decesso. Morti e ricoverati in terapia intensiva tornano, anche se per ragioni diverse rispetto a marzo e aprile, ad essere solo la punta dell’iceberg del contagio.

Tirando le somme, credo che il numero di contagiati sia almeno quintuplicato, ma non sarei stupito che qualche collega epidemiologo meno prudente di me ipotizzasse che sono decuplicati.

Ecco perché affermare che la scuola riapre “in condizioni di sicurezza” è semplicemente una bugia. No, tra luglio e agosto la scelta di chi ci governa non è stata di approfittare dell’estate per ridurre ulteriormente la circolazione del virus e arrivare alla riapertura delle scuole in condizioni di massima sicurezza (linea di condotta più volte invocata dal prof. Crisanti, e non solo da lui). La scelta è stata di risarcire gli italiani per il lockdown regalando loro un’estate senza regole, anche se si sapeva benissimo che questo avrebbe reso meno sicuro il ritorno a scuola.

Ora che la frittata è fatta, ora che è chiaro che molte scuole non potranno garantire una ripartenza in sicurezza, ora che lo spettro di un ritorno alla didattica a distanza si fa più minaccioso, vorrei almeno, a nome di tanti genitori, chiedere una cosa, minimale ma dovuta: se uno studente viene confinato nella stanza del Covid, e mandato a casa perché sospetto, potete almeno garantirgli il tampone (e la comunicazione dell’esito) entro 48 ore?

Già, perché non tutti i genitori se ne sono ancora accorti, ma non c’è nulla, ma proprio nulla, nei protocolli e nelle procedure, che dia alle famiglie questa garanzia. Non paghi di scaricare sulle famiglie un’operazione (la misurazione della temperatura) che la scuola non è in grado di assicurare, i nostri politici ed esperti hanno previsto che, in caso di sospetto Covid, i genitori debbano riprendersi il pargolo e provvedere loro stessi a contattare un medico, che a sua volta deciderà. Come se non si sapesse che proprio questo è il problema, in tante realtà: non c’è garanzia che il medico venga a casa per una visita, non c’è garanzia che qualcuno effettui subito il tampone, non c’è garanzia che l’esito venga tempestivamente comunicato, e non si perda invece nei meandri della burocrazia delle mail, della “sanità digitalizzata” e senza volto.

Questo è, purtroppo, quello che è successo nei terribili mesi della prima ondata. Possiamo chiedervi che non succeda più?

Pubblicato su Il Messaggero del 12 settembre 2020




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo gli aumenti degli ultimi giorni, la temperatura dell’epidemia è leggermente diminuita (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 11 settembre), passando da 7.7 a 7.6 gradi pseudo-Kelvin (-0.1 gradi).

Questo risultato è essenzialmente dovuto alla diminuzione degli ingressi ospedalieri stimati. Calano (ma in misura più contenuta) anche i nuovi contagi, mentre i decessi rimangono stabili.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +0.9 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica




L’epidemia nelle province

Da circa un mese e mezzo il termometro dell’epidemia (l’indice sintetico elaborato dalla Fondazione Hume per monitorare l’andamento dei contagi nel nostro paese) mostra una chiara tendenza all’aumento. Nei primi giorni di agosto la temperatura era intorno a 1.5 gradi pseudo-Kelvin, uno dei valori più bassi toccati dall’inizio dell’epidemia, oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 10 settembre) è salita fino a raggiungere 7.7 gradi, un valore simile a quello registrato ad inizio giugno.

In base alle ultime informazioni disponibili (9 settembre, ore 18.00), sono 49 (su 98, dunque la metà) le province che presentano, nell’ultima settimana (3-9 settembre), un incremento di nuovi casi uguale o superiore a 5 rispetto alla settimana precedente (27 agosto-2 settembre). Fra queste, poco più della metà (27) registrano aumenti superiori alle 20 unità.

Per capire meglio quali sono le province più colpite dall’aumento dei contagi possiamo basarci sui grafici seguenti che rappresentano l’andamento dei nuovi casi settimanali registrato in 98 province (vedi nota tecnica) in base ai dati disponibili il 9 settembre.
Sono 18 le province che presentano una chiara tendenza all’aumento, quasi tutte situate nel centro-nord. Particolarmente significativi sono gli incrementi registrati a La Spezia, Massa Carrara e Treviso.
In poco meno di sei settimane (da inizio agosto ad oggi) la provincia ligure è passata da 4 a 112 nuovi casi su 100.000 abitanti, mentre a Massa Carrara si è passati da 0.3 a 56 casi per 100.000 abitanti. Treviso conta invece, soltanto nell’ultima settimana, 334 nuovi contagi (l’aumento di Treviso è principalmente dovuto allo scoppio di un focolaio in alcuni stabilimenti produttivi della zona).

Il trend è in crescita in altre 21 province, anche se qui gli incrementi registrati nell’ultimo periodo sono vicini o comunque inferiori al valore mediano (calcolato sulla media dei nuovi casi registrati da tutte le 98 province nell’ultima settimana).

A Verbania, Firenze, Novara e Siena gli incrementi di inizio settembre sono più bassi di quelli toccati a fine agosto, ma la tendenza dell’ultimo periodo è quella dell’aumento.

Segnali positivi arrivano invece da 21 province dove la curva epidemica, dopo aver registrato un picco, sembra aver invertito la rotta. In questo gruppo troviamo anche tre province sarde (Nuoro, Oristano e Cagliari), che erano state interessate da una risalita dei contagi legati ai flussi turistici.

A queste province se ne aggiungono altre 13 in cui la tendenza dell’ultimo periodo è stata all’aumento ma da almeno una settimana si registra una sostanziale stabilità (anche se in alcuni casi, come a Pordenone o Napoli, l’andamento presenta oscillazioni più marcate).

Ci sono poi 9 province in cui si intravede una leggerissima crescita del contagio, ma la situazione risulta comunque rassicurate, perché il grado di incidenza è sotto la media.

La diffusione del contagio risulta contenuta anche a Teramo, Asti, Pescara, Chieti, Sondrio, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

Presentano invece forti oscillazioni, ed è quindi difficile individuarne l’andamento, le curve di Isernia, Campobasso, Lodi, Rimini e Savona.

Per avere un quadro più generale della diffusione dell’epidemia, possiamo considerare il grafico seguente che rappresenta il numero di province in cui l’incremento settimanale di nuovi casi è superiore alla media nazionale.

Dopo aver raggiunto quota 39 a metà agosto, il numero di province critiche è calato leggermente: oggi (in base alle informazioni disponibili il 9 settembre) se ne contano 10 in meno (sono 29).
Quel che è interessante notare è che al Nord il numero di province con un numero di nuovi casi superiori alla media italiana è rimasto sostanzialmente invariato (erano 19 il 18 giugno mentre oggi sono 16), mentre al Centro e al Sud sono aumentate. Non sono solo cresciuti i contagi in alcune zone sarde, anche province come Napoli, Caserta o Bari hanno iniziato a registrare incrementi sopra la media.

 

Nota tecnica

I dati utilizzati nell’analisi sono quelli diffusi quotidianamente dalla Protezione Civile aggiornati al 9 settembre (ore 18).

La serie storica dei dati provinciali è stata ricalcolata per tenere conto dell’interruzione di serie che si è verificata il 24 giugno in seguito alla nuova classificazione dei casi positivi (non più in base alla provincia in cui è avvenuta l’ospedalizzazione, ma in base alla residenza della persona risultata positiva al COVID-19).

Data l’impossibilità di stabilire, provincia per provincia, che cosa è effettivamente avvenuto tra il 23 e il 24 giugno, i dati sono stati ricalcolati assumendo che, fra le due date, gli incrementi giornalieri dei nuovi casi fossero pari a zero.

Dall’analisi sono state escluse le province della Sicilia perché oggetto di consistenti ricalcoli.

Quanto possibile, i dati sono stati corretti per tenere conto dei ricalcoli effettuati dalle autorità regionali.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è salita anche oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 10 settembre), passando da 7.5 a 7.7 gradi pseudo-Kelvin (+0.2 gradi).

Questo nuovo peggioramento si deve all’andamento dei nuovi contagi, in crescita per il quarto giorno consecutivo. Aumentano (ma in misura più modesta) anche gli ingressi ospedalieri stimati, mentre rimangono stabili i decessi.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +1.2 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è nuovamente salita. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 9 settembre) segna 7.5 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di 0.1 gradi.

Come ieri, l’aumento si deve essenzialmente alla crescita dei nuovi contagi (anche se l’incremento è più modesto rispetto a quello registrato il giorno precedente). Crescono leggermente anche i decessi, mentre diminuiscono gli ingressi ospedalieri stimati.

La variazione settimanale della temperatura è pari a +1.1 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

Per maggiori dettagli si rimanda alla nota tecnica