E’ abbastanza stupefacente, almeno per me che da un anno seguo quotidianamente l’andamento dell’epidemia, quanta attenzione si concentri sulle scelte di Draghi in campo economico-sociale, e quanto poco, invece, ci si interroghi sul futuro della politica sanitaria. Come se accelerare la campagna di vaccinazione fosse l’unica cosa che ci si può aspettare da lui.
E’ quindi con un sospiro di sollievo che ho ascoltato le considerazioni di Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza, in una intervista televisiva concessa martedì notte. In essa, accanto a una (ben poco convincente) difesa della politica di Conte durante la prima ondata, Ricciardi ha sostenuto tre tesi molto forti, che meritano attenta considerazione. Le riassumo brevemente.
Tesi 1: nella seconda ondata, decidendo lockdown tardivi e troppo blandi, il governo Conte ha sbagliato politica, finendo per dilapidare i sacrifici degli italiani.
Tesi 2: dobbiamo cambiare completamente rotta, abbandonando il protocollo europeo, che si accontenta di mitigare l’epidemia, e passare risolutamente al protocollo dei paesi orientali e dell’emisfero Sud, che punta alla soppressione del virus.
Tesi 3: la via maestra per farlo è un inasprimento e allungamento dei lockdown.
Sulle prime due tesi, avendole io sostenute da più tempo di Ricciardi, non posso che concordare (ho addirittura scritto un libro, La notte delle ninfee, per spiegare come la seconda ondata si sarebbe potuta evitare). L’unica cosa che avrei da aggiungere è: poiché il prezzo di questi errori, misurato in migliaia di vite umane sacrificate, è enorme, e poiché – questo gli va riconosciuto – è da quattro mesi che il consulente del ministro Speranza critica la politica sanitaria del governo, come mai né lui né il ministro della salute si sono mai palesati nell’unico modo politicamente efficace, ossia minacciando le dimissioni? Possibile che, per sferrare un attacco frontale a Conte, si sia dovuto aspettare che Conte stesso avesse perso il potere, disarcionato da Renzi?
Ma veniamo alla tesi 3: ci vuole un maxi-lockdown. Su questa tesi è inevitabile che ognuno abbia le proprie opinioni, per lo più dettate dall’età (i giovani si ammalano pochissimo) e dalla professione (gli autonomi rischiano di perdere tutto). Però c’è un punto di cui, a mio parere, dovremmo renderci conto tutti: esaurita la sorpresa della prima ondata, ogni lockdown lungo e non circoscritto è semplicemente un certificato di fallimento della politica. Perché, ormai dovrebbe essere chiaro, quando il governo chiede ai cittadini di farsi carico, con le loro rinunce e con i loro sacrifici, della lotta al virus, è precisamente perché le autorità politiche e sanitarie non hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per contenere l’epidemia. Vogliamo ricordarle, queste omissioni e mancanze?
Eccone un succinto elenco: dimezzamento (anziché aumento) del numero di tamponi nel bimestre critico che va da metà novembre 2020 a metà gennaio 2021; sostanziale rinuncia al tracciamento elettronico; debolezza delle misure di controllo della quarantena; timidezza nel far rispettare le regole in estate; mancato rafforzamento del trasporto locale; mancata messa in sicurezza delle scuole e delle università sul versante dell’aerazione e deumidificazione dei locali; debolezza della politica di controllo delle frontiere e dei flussi turistici.
Ecco perché l’invocazione del lockdown, di un lockdown più severo e lungo, è poco credibile, per non dire inquietante, se non è accompagnata dal riconoscimento che, dopo la prima ondata, l’errore primario del governo Conte non è stato di non aver fatto un lockdown durissimo a ottobre (quello è stato l’errore secondario, o derivato), ma è stato quello di non fare tutto ciò che ci avrebbe permesso di arrivare a ottobre in condizioni meno critiche, rendendo assai meno necessario il ricorso al lockdown.
Perché, nell’intervista a Ricciardi, tutto questo non emerge con la dovuta evidenza?
Forse per lo stesso motivo per cui il consulente del ministro Speranza considera “ineccepibile” il comportamento del governo durante la prima ondata. Spiace doverglielo ricordare, ma anche ammesso (e non concesso) che nulla sia stato sbagliato nella tempistica dei lockdown di marzo-aprile, resta il fatto che nella prima ondata egli fu in prima linea nella guerra del governo contro la politica dei tamponi del Veneto, accusato di farne troppi. E che, oltre all’errore di frenare i tamponi di massa, furono parecchi gli errori gravi ed evitabili del governo Conte anche durante la prima ondata: perché nulla fu fatto, a gennaio-febbraio, per dotare il personale medico di dispositivi di protezione individuale? Perché si aspettarono così tanti mesi per rendere obbligatorio l’uso delle mascherine nei negozi e nei locali al chiuso? Perché così poco venne fatto per controllare le frontiere?
Insomma, la mia impressione è che il fascino discreto che il lockdown esercita sui politici dipenda semplicemente dalla loro consapevolezza che su tutto il resto, su cui si è fatto quasi nulla quando si era in tempo, si continuerà a fare ben poco. E che alla fine della fiera, nell’attesa messianica del vaccino, la loro idea sia ancora oggi quella di sempre: che la lotta al virus non si fa dall’alto, costruendo politiche sanitarie incisive, ma si fa dal basso, limitando le nostre libertà.
E’ come se la politica, tutta la politica, fosse perfettamente in grado di riconoscere il debito accumulato dai governi passati quando esso è di natura economica, ma non lo fosse quando è di natura sanitaria. Eppure il dramma odierno, in cui un nuovo e severo lockdown appare a molti come l’unica misura praticabile, è il frutto amaro del debito sanitario accumulato in mesi e mesi di omissioni e atti mancati.
Non ci resta che sperare che, con questo genere di debito, il governo Draghi cominci a fare i conti nell’unico modo possibile: facendo oggi, finalmente, tutto ciò che non si è fatto fino a ieri.
Pubblicato su Il Messaggero dell’11 febbraio 2021