Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Dopo circa un mese, la temperatura dell’epidemia è tornata finalmente a scendere. Il termometro di oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 21 marzo) segna 136.4 gradi pseudo-Kelvin, in diminuzione di un grado rispetto a giovedì 18 marzo.

Questo miglioramento si deve essenzialmente al calo dei nuovi contagi (+138 mila nuovi contagi settimanali rispetto ai 139 mila della settimana precedente), tornati a scendere dopo circa quattro settimane di aumento.

L’incremento settimanale della temperatura è pari a +4.9 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Indice DQP: per l’immunità di gregge dobbiamo aspettare maggio 2022

Le autorità politiche e sanitarie, in particolare il ministro Roberto Speranza e la sottosegretaria Sandra Zampa, hanno ripetutamente dichiarato che la campagna di vaccinazione serve a raggiungere la cosiddetta immunità di gregge:

5 dicembre: “Il nostro obiettivo è l’immunità di gregge grazie al vaccino” (Roberto Speranza).

17 dicembre: “Immunità di gregge a settembre-ottobre prossimi (Sandra Zampa).

28 dicembre: “Oggi il ministro Speranza ha precisato che entro marzo raggiungeremo la quota di 13 milioni di italiani vaccinati contro Covid-19, e quindi in estate potremo già essere molto avanti nel perseguimento dell’obiettivo immunità di gregge data dal 70%” (Sandra Zampa).

9 gennaio 2021: “Per arrivare all’immunità di gregge dobbiamo vaccinare l’80% di 60 milioni di italiani” (Sandra Zampa).

Per “immunità di gregge” si intende una situazione nella quale ci sono abbastanza persone vaccinate (e non in grado di trasmettere il virus) da portare la velocità di trasmissione del virus (Rt) al di sotto di 1, con conseguente progressiva estinzione dell’epidemia.

Ma quante settimane occorreranno per vaccinare un numero di italiani sufficiente a raggiungere l’immunità di gregge?

A rispondere a questa domanda provvede l’indice DQP (acronimo di: Di Questo Passo), che stima il numero di settimane che sarebbero ancora necessarie se – in futuro – le vaccinazioni dovessero procedere “di questo passo”.

All’inizio della dodicesima settimana del 2021 (lunedì mattina, 22 marzo) il valore di DQP è pari a 63 settimane, il che corrisponde al raggiungimento dell’immunità di gregge non prima del mese di maggio del 2022.

Il valore del DQP è leggermente peggiorato rispetto a quello della settimana scorsa (immunità di gregge a marzo 2022). Su questo risultato ha certamente inciso la sospensione temporanea dell’uso del vaccino Astrazeneca.

Per raggiungere gli obiettivi enunciati dalle autorità sanitarie (immunità di gregge entro settembre-ottobre 2021), il numero di vaccinazioni settimanale dovrebbe essere il doppio di quello attuale (2 milioni la settimana, anziché 1.000.000).

Nota tecnica

Le stime fornite ogni lunedì si riferiscono alla settimana appena terminata e si basano sui dati ufficiali disponibili il lunedì mattina (quindi possono subire degli aggiornamenti).

Va precisato che la nostra stima è basata sulle ipotesi più ottimistiche che si possono formulare, e quindi va interpretata come il numero minimo di settimane necessarie.

Più esattamente l’interpretazione dell’indice è la seguente:

DQP = numero di settimane necessario per raggiungere almeno il 70% degli italiani con almeno 1 vaccinazione.

A partire dalla prima settimana completa dell’anno (da lunedì 4 a domenica 10 gennaio) la Fondazione Hume calcola settimanalmente il valore dell’indice DQP (acronimo per: Di Questo Passo).

L’indice si propone di fornire, ogni lunedì, un’idea vivida della velocità con cui procede la vaccinazione, indicando l’anno e il mese in cui si potrà raggiungere l’immunità di gregge procedendo “di questo passo”.

Il calcolo dell’indice si basa su 4 parametri:

  1. una stima del numero di italiani vaccinati necessario per garantire l’immunità di gregge;
  2. quante vaccinazioni sono state effettuate nell’ultima settimana (da lunedì a domenica);
  3. quante vaccinazioni erano state effettuate dall’inizio della campagna (1° gennaio 2021) fino alla settimana anteriore a quella su cui si effettua il calcolo;
  4. che tipo di vaccini verranno presumibilmente usati (a 2 dosi o a dose singola).

Nella versione attuale l’indice si basa sulle ipotesi più ottimistiche possibili sul funzionamento del vaccino e sull’andamento della campagna vaccinale. Più precisamente:

  • i vaccini somministrati non solo proteggono i vaccinati dall’insorgenza della malattia, ma impediscono la trasmissione dell’infezione ad altri (immunità sterile);
  • l’obiettivo è vaccinare il 70% della popolazione (anziché l’80 o il 90%, come potrebbe risultare necessario);
  • sul mercato vengono introdotti vaccini per tutte le fasce d’età, compresi gli under 16 (i vaccini attuali sono testati solo su specifiche fasce d’età);
  • ci si accontenta di vaccinare ogni italiano una sola volta, trascurando il fatto che, ove la campagna di vaccinazione dovesse prolungarsi per oltre un anno, bisognerebbe procedere a un numero crescente di rivaccinazioni.



Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

La temperatura dell’epidemia è nuovamente salita, ma in misura più lieve rispetto ai giorni scorsi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 18 marzo). Il termometro oggi segna 137.4 gradi pseudo-Kelvin ed è in aumento di 0.7 gradi.

Questo risultato è dovuto al leggero aumento dei nuovi contagi (+142 mila nuovi casi settimanali rispetto ai 134 mila della settimana precedente) e dei decessi (nell’ultima settimana si sono registrati 2.7 mila nuovi decessi rispetto ai 2.2 mila della settimana precedente). Sono rimasti sostanzialmente stabili gli ingressi ospedalieri stimati.

L’incremento settimanale della temperatura è pari a +12.1 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Il termometro dell’epidemia (release 1.0)

Oggi (ultimo dato disponibile, ore 18.00 del 17 marzo) la temperatura dell’epidemia è aumentata, passando da 135.3 a 136.7 gradi pseudo-Kelvin (+1.4).

Questo nuovo peggioramento è dovuto all’aumento dei decessi (nell’ultima settimana si sono registrati 2.6 mila nuovi decessi rispetto ai 2.2 mila della settimana precedente) e dei nuovi casi (+142 mila nuovi contagi settimanali rispetto ai 133 mila della settimana precedente). Crescono in misura più lieve anche gli ingressi ospedalieri stimati.

L’incremento settimanale della temperatura è pari a +12.6 gradi.

Va ricordato, come sempre, che l’andamento della temperatura non riflette quello dei contagi attuali, ma quello dei contagi avvenuti 2-3 settimane fa.

La temperatura dell’epidemia è stata calcolata considerando i soli casi identificati mediante test molecolare.

Per maggiori dettagli si rimanda alla Nota tecnica.




Quer pasticciaccio brutto de AstraZeneca

Mentre milioni di cittadini europei, spaventati dalle notizie sui decessi avvenuti dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca, si interrogano sui rischi della vaccinazione, le autorità sanitarie nazionali ed europee aspirano all’impossibile: rassicurare senza fornire i dati completi.

In questo articolo proverò a dire come vede la situazione un sociologo abituato a lavorare con i dati, ma prima di qualsiasi cosa devo fare una premessa. Oggi nel mondo una discussione aperta e disinibita su vantaggi e rischi dei vaccini è possibile solo in una manciata di paesi, e precisamente nei paesi che, avendo sostanzialmente estirpato il virus, sono in grado di scegliere fra avviare e non avviare una vaccinazione di massa. In Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, sembra che, finora, sia prevalsa la scelta di vaccinare molto poco, non sappiamo se per aspettare di vedere come andranno le cose altrove, o per il timore che proprio la vaccinazione di massa favorisca la formazione di nuove varianti, più trasmissibili e/o più pericolose.

La nostra situazione, in Italia e nella maggior parte dei paesi europei, è del tutto diversa. Noi abbiamo scelto di mitigare l’epidemia, non di sradicare il virus. E avendo scoperto che non siamo in grado né di convivere con il virus, né di sradicarlo, ci siamo trovati di fronte ad un’unica alternativa: quella di avviare una campagna di vaccinazioni di massa in piena pandemia, sperando che basti a sconfiggere il virus, e non provochi guai ancora maggiori. Quindi è normale che politici ed autorità sanitarie, non avendo (o non volendo considerare) le alternative, facciano tutto il possibile per convincerci a vaccinarci, e a farlo con qualsiasi vaccino già autorizzato. Ed è altrettanto normale, ancorché profondamente anti-scientifico, che ogni portatore di dubbi sia visto come disertore, o sabotatore della campagna vaccinale.

Ecco perché è difficile, in questa contingenza, parlare del caso AstraZeneca in modo veramente libero. Ci proverò lo stesso, a partire dalla mia professione, che è quella di leggere i dati con freddezza, senza parteggiare per un’ipotesi contro un’altra.

Riassumo la questione: i casi di decesso dopo una vaccinazione (non necessariamente mediante AstraZeneca) sono o non sono attribuibili al vaccino?

La prima risposta, incontrovertibile, è che una parte dei decessi sono sicuramente non dovuti al vaccino. Ogni giorno in Italia muoiono quasi 2000 persone, di cui circa 1700 per cause diverse dal Covid. Se vaccinassimo un italiano su 10 (è più o meno quel che abbiamo fatto finora), e i vaccinati fossero scelti a caso, osserveremmo circa 170 decessi al giorno fra le persone vaccinate, ed è del tutto logico immaginare che, per puro caso, alcune delle morti che vi sarebbero state comunque avvengano a ridosso del giorno di vaccinazione, e vengano classificate come sospetti effetti del vaccino. E poiché i vaccinati non sono scelti a caso, ma sono prevalentemente vecchi e soggetti fragili, è perfettamente ragionevole attendersi che il numero di decessi per cause indipendenti dal vaccino sia ancora maggiore.

Ed eccoci al punto cruciale: come si fa a sostenere che una parte dei morti dopo la vaccinazione sia morta a causa della vaccinazione? O, ancora più analiticamente, come si fa a sostenere che i (pochi) decessi avvenuti a seguito di determinati eventi avversi (eventi tromboembolici, ad esempio) siano stati causati dal vaccino?

Qui le strade sono due. La strada del medico è lo studio clinico dei singoli casi, anche mediante autopsia. La strada dello statistico è l’analisi dei dati. Se ci sono dati a sufficienza, e se non vengono secretati, si può valutare se in una certa classe di casi (ad esempio le morti per eventi tromboembolici) la frequenza dei decessi fra i vaccinati sia superiore a quella che ci si può aspettare per i non vaccinati a parità di condizioni (ossia per una popolazione che ha la medesima composizione per genere, età, condizioni di salute, eccetera).

Un’analisi di questo tipo, se condotta rigorosamente e con onestà intellettuale, può fornire una risposta al nostro interrogativo iniziale. Risposta che può essere di molti tipi, alcuni rassicuranti altri meno. Può emergere che i decessi dei vaccinati sono di più, e che l’eccesso non è attribuibile a fluttuazioni casuali. Ma può anche emergere che la differenza è imputabile al caso, o non è casuale ma è così piccola da poter essere trascurata. L’esito dell’analisi statistica, in altre parole, può aiutare le autorità nei loro sforzi di rassicurazione, oppure può far emergere verità preoccupanti, che minano la fiducia della popolazione nei vaccini, e costringono quindi le autorità a frenare o rimodulare la campagna vaccinale, magari puntando su altri vaccini.

Insomma: fornire i dati, e fornirli completi, è un’opportunità ma è anche un rischio. Può restituire fiducia alla gente, ma anche legare le mani alle autorità.

Ma qual è la strada finora seguita?

Dipende dai paesi. Ci sono paesi in cui alcune informazioni minime (insufficienti, ma utili) sono note. Per esempio sappiamo che nei primi due mesi della campagna vaccinale il sistema di sorveglianza britannico (basato sulle segnalazioni spontanee, mediante la cosiddetta “yellow card”) ha registrato 227 decessi nei vaccinati con Pfizer, e 275 nei vaccinati con AstraZeneca, e che il tasso di decessi rispetto alle segnalazioni è un po’ maggiore con AstraZeneca. Inoltre, tutti i decessi sono suddivisi fra centinaia di categorie estremamente analitiche, che permettono di conoscere qual è il tipo di evento (ad esempio trombosi) che ha preceduto il decesso.

In Italia, ad oggi, sappiamo molto poco. A quel che ho potuto vedere, il sistema di sorveglianza dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) segnala nei primi due mesi 40 decessi su 4 milioni di vaccinazioni, ma non indica neppure se sono decessi Pfizer o AstraZeneca, né a quale evento avverso è associato ogni singolo decesso. In compenso il rapporto AIFA, non diversamente dall’omologo britannico, è ossessivamente costellato di affermazioni che tendono ad escludere qualsiasi nesso di causa-effetto fra vaccinazione e sospette reazioni avverse.

Che fare?

Le strade sono solo due: continuare nella pratica di non rendere pubblici tutti i dati disponibili su reazioni avverse ed effetti collaterali, così alimentando la diffidenza del pubblico, le perplessità degli scettici, la propaganda No Vax. Oppure mettere a disposizione i dati, tutti i dati. Un tracciato minimo, ma già sufficiente a consentire analisi statistiche accurate, potrebbe includere, per ogni segnalazione: data di vaccinazione, tipo di reazione avversa, data dell’evento avverso, genere, età, tipo di vaccino, lotto, dose (prima o seconda), comune in cui è avvenuta la somministrazione.

L’ideale sarebbe avere queste 9 semplici informazioni (vedi tabella) per ogni soggetto per cui è stata segnalata una reazione avversa, ma sarebbe già un buon risultato averle per il piccolo sottoinsieme dei decessi, o per quello degli eventi tromboembolici. E’ difficile pensare che AIFA non disponga di questo tipo di dati, e sarebbe inquietante scoprire che non è disposta a condividerli.

Pubblicato su Il Messaggero del 17 marzo 2021