La frattura tra ragione e realtà 10 / La finanza impazzita 1 – Miss BCE e l’inflazione

Con questo articolo cominciamo l’annunciato viaggio tra le follie della finanza internazionale. Una delle principali (e di particolare attualità) è la convinzione che alzare i tassi di interesse serva a combattere l’inflazione, come è stato fatto dopo l’esplosione dei prezzi del gas nel 2022 dalla neopresidente dalla BCE (nonché ex direttrice del FMI) Christine Lagarde. In realtà non solo questa misura è inutile, ma penalizza i poveri, già colpiti più degli altri dall’inflazione, arricchendo invece le banche e gli speculatori. Una dura lezione da imparare a memoria, soprattutto ora che la speculazione sul prezzo del gas ha rialzato la testa e tutto rischia di ricominciare da capo.

Una domanda ovvia, ma anche no

Assumereste un manager che non ha mai raggiunto gli obiettivi fissati dalla sua azienda? O un cuoco i cui piatti non piacciono mai a nessuno? O un chirurgo che uccide tutti i suoi pazienti? O un autista che ogni volta che si mette al volante provoca un incidente? O un calciatore che in ogni partita si fa un autogol? O un consulente finanziario che manda in rovina tutti i suoi clienti?

Non solo in un mondo normale, ma perfino nel mondo gravemente anormale in cui viviamo la risposta a queste domande (e alle molte altre analoghe che si potrebbero fare) è ovviamente no. Tranne che in un caso: l’ultimo.

Infatti, nel 2019, come successore di Mario Draghi a capo della Banca Centrale Europea (BCE) è stata nominata Christine Lagarde, che negli otto anni precedenti era stata direttrice del Fondo Monetario Internazionale (FMI), una delle istituzioni più funeste della storia umana, che nei suoi quasi 80 anni di attività non ha mai risolto un solo problema, dimostrando di possedere un’unica, vera, straordinaria abilità: quella di trasformare i problemi in disastri e i disastri in catastrofi.

Il che è precisamente quello che la signora Lagarde aveva sempre fatto durante il suo mandato alla guida del FMI e che ha puntualmente rifatto durante il suo mandato alla guida della BCE, nel colpevole e complice silenzio di tutto l’establishment europeo.

Miss BCE vs Mister BCE

Lasciamo stare la pessima gestione del periodo del Covid, di cui su questo sito abbiamo già parlato a sufficienza e in cui peraltro è stata in ampia (e pessima) compagnia e concentriamoci soltanto sugli ultimi due anni, in cui la signora Lagarde ha dato il peggio di sé.

Per onestà intellettuale, va detto che almeno la trasformazione in disastro del problema iniziale, cioè il vertiginoso quanto ingiustificato aumento del prezzo del gas a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte della neo-URSS di Putin, per una volta non è principalmente colpa sua, bensì della UE.

Infatti, a mandare alle stelle il prezzo del gas non è stata la sua reale mancanza, bensì la paura che potesse venire a mancare, che a sua volta ha innescato i soliti fenomeni speculativi, che sono sempre esistiti, ma si sono enormemente amplificati da quando nelle Borse sono entrati i computer, che gestiscono ormai la maggior parte delle transazioni. Tuttavia, ciò che ha davvero fatto schizzare a valori assurdi il prezzo del gas non sono stati i fenomeni speculativi in sé stessi, ma il fatto che l’Europa stabiliva il prezzo del gas in base alle sue quotazioni alla Borsa di Amsterdam.

Non occorre essere esperti di economia per capire che a questo si poteva porre rimedio in molti modi e, soprattutto, in pochi giorni, come dimostra il fatto che, quando finalmente la UE si è mossa, è bastato l’annuncio che sarebbero stati presi dei provvedimenti in tal senso per far crollare quasi istantaneamente i prezzi del gas, riportandoli a valori quasi normali, cioè corrispondenti alla realtà, che era anch’essa quasi normale. Il problema è che per decidersi l’Europa ci ha messo nove mesi.

Non per nulla, perfino Mario Draghi ha detto cose terribili sul suo comportamento irresponsabile e ottuso, anche se i giornali italiani, pur non potendo evitare di dare la notizia, hanno cercato in tutti i modi di minimizzarla e poi dimenticarla il più presto possibile: non sia mai che il campione dell’europeismo, colui che ha salvato l’euro e con esso la UE, porti acqua al mulino dell’euroscetticismo dei “populisti”!

Purtroppo, però, qui non si tratta di europeismo o antieuropeismo, ma, tanto per (non) cambiare, ancora una volta di pura e semplice stupidità. Alla fine, infatti, ci hanno rimesso tutti, perché l’aumento tanto spropositato quanto ingiustificato del costo del gas ha fatto schizzare alle stelle le bollette dell’elettricità. Ciò ha portato a un aumento generale dei costi di produzione di pressoché qualsiasi cosa, risvegliando così, per la prima volta da quando esiste l’euro, il mostro dell’inflazione, «la più iniqua delle tasse», come la chiamava Luigi Einaudi, perché colpisce allo stesso modo ricchi e poveri.

Certo, come aveva giustamente notato Ricolfi (https://www.fondazionehume.it/economia/nel-segno-dellinflazione/), una prima spinta inflattiva c’era già stata all’inizio del 2022 per l’aumento dei prezzi delle materie prime (iniziato nella primavera del 2020 a causa del Covid e delle conseguenti difficoltà di approvvigionamento, ma giunto ai prezzi al consumo solo due anni dopo). «La guerra ha ovviamente peggiorato le cose», concludeva Ricolfi, «ma non è l’origine delle tensioni attuali sui prezzi, che risentono anche della ripresa della domanda, favorita dagli stimoli fiscali dei governi e dall’ingente risparmio accumulato durante la pandemia», il che è sicuramente vero.

Tuttavia, se la guerra – o, più esattamente, la speculazione sulla guerra – non è stata l’origine dell’inflazione, ne è stata però senza dubbio alcuno il moltiplicatore. Il modo in cui essa è letteralmente esplosa quasi da un giorno all’altro e in perfetta concomitanza con l’altrettanto improvvisa esplosione del prezzo del gas dimostra che senza quest’ultima avremmo sì avuto un po’ di inflazione, ma certamente non questa inflazione.

Ora, è chiaro che sulla speculazione la BCE non poteva intervenire direttamente. Però è altrettanto chiaro che se la sua presidente avesse messo in gioco tutto il prestigio della sua carica, accusando pubblicamente i governi della UE di comportarsi in modo irresponsabile, rischiando di impoverire tutta la popolazione europea, qualcosa sarebbe certamente cambiato. Mario Draghi l’avrebbe fatto.

Anzi, l’ha fatto. Solo che, non essendo più il capo della BCE, ma “solo” del governo italiano, chi non voleva dargli ascolto ha avuto gioco facile a bollare le sue parole come dettate dalla difesa degli interessi egoistici del suo paese. Salvo poi accorgersi – ma troppo tardi – che invece erano nell’interesse di tutti e che a difendere i propri interessi egoistici erano proprio quei paesi nordici che ci fanno sempre la morale, anzitutto la Danimarca (che voleva proteggere i profitti abnormi della sua Borsa) e la Norvegia (che è una grande esportatrice di gas naturale).

Con questo suo “peccato di omissione” la Lagarde, in perfetto stile FMI, ha contribuito, insieme ai nostri inetti governanti, a trasformare un problema relativamente facile in un disastro di difficile soluzione. Ma il suo capolavoro, di cui è invece l’unica responsabile, l’ha realizzato dopo, quando l’inflazione era ormai decollata e lei, per fermarla, non ha trovato di meglio che alzare sempre più, fino a livelli assurdi, i tassi di interesse, col consenso entusiasta della FED (la banca centrale USA), che ha fatto lo stesso, nonché della maggior parte degli economisti.

Poi, un bel giorno, lo scorso agosto, sono arrivati i dati negativi sull’occupazione negli Stati Uniti e improvvisamente sui mercati finanziari è esploso il panico e le Borse sono crollate, temendo l’arrivo imminente di una nuova recessione. Allora, di punto in bianco, sono esplose anche le critiche a BCE e FED per non avere ancora abbassato i tassi benché l’inflazione fosse già da tempo tornata a livelli quasi normali. Poi, però, il panico è passato (forse proprio grazie a questo cambio di rotta o forse per altri motivi meno chiari o addirittura senza nessun particolare motivo: con la folle finanza attuale succede spesso) e anche le critiche si sono ridimensionate, sicché l’abbassamento dei tassi sta sì avvenendo, ma in modo irragionevolmente lento, sia in Europa che in USA.

In questo modo, di nuovo in perfetto stile FMI, la Lagarde ha trasformato il disastro, che già aveva contribuito a provocare, in una catastrofe completa, da cui non siamo ancora usciti del tutto e da cui, comunque vada, usciremo tutti più poveri – o meglio, tutti tranne gli speculatori e i banchieri. Proprio come è sempre successo tutte le volte che il FMI ha cercato di “risolvere” a modo suo un qualsiasi problema in un qualsiasi paese del mondo.

L’unica parziale giustificazione che Miss BCE può accampare è che non si è trattato di una sua levata d’ingegno personale: come già detto, infatti, gran parte degli economisti ritengono il rialzo dei tassi di interesse una misura efficace contro l’inflazione, benché sia facile capire che non è vero.

Oggi ce lo siamo scordato, ma quando Mario Draghi pronunciò il  suo ormai proverbiale “Whatever it takes” non ci fu affatto il coro di consensi che oggi, a posteriori, gli viene tributato. Gran parte degli economisti erano infatti convinti che l’acquisto a tasso zero dei titoli del debito pubblico da parte della BCE avrebbe provocato un’enorme inflazione.

Probabilmente lo temeva anche Draghi, che è cresciuto alla loro stessa scuola. La differenza, però, è che, di fronte all’evidenza che altrimenti tutto il sistema sarebbe collassato, lui ha deciso di seguire le indicazioni della realtà anziché quelle della teoria (nel che consiste l’essenza del metodo scientifico e, più in generale, di qualsiasi metodo conoscitivo efficace): e la realtà l’ha premiato. La Lagarde, invece, sempre in perfetto stile FMI, ha deciso di andare contro la realtà pur di seguire la teoria (nel che consiste l’ideologia): e la realtà l’ha punita.

Il problema è che, insieme a lei, ha purtroppo punito anche tutti noi. Infatti, il rialzo dei tassi di interesse non è stato “soltanto” inutile: è stato (appunto) catastrofico.

Inflazione da domanda vs Inflazione da costi

Come aveva già spiegato Ricolfi nell’articolo prima citato, la logica di questa strategia è molto semplice (anche se sarebbe più esatto definirla semplicistica): se il denaro costerà di più, allora ce ne sarà di meno in circolazione, il che farà calare la domanda e, di conseguenza, i prezzi. Ma, notava Ricolfi, questo funziona solo se l’inflazione è causata da un eccesso di domanda rispetto all’offerta. Se invece l’aumento dei prezzi è determinato essenzialmente da un aumento dei costi, come è il caso attuale, «allora le politiche restrittive rischiano di essere poco efficaci, se non addirittura controproducenti». Ed è facile capire perché.

I prezzi, infatti, devono necessariamente essere superiori ai costi, altrimenti chi vende non guadagna nulla e va in rovina. Di conseguenza, se i prezzi sono saliti perché sono saliti i costi, far diminuire la domanda non farà diminuire i prezzi, bensì i guadagni dei venditori, alcuni dei quali falliranno, danneggiando l’economia, mentre altri cercheranno di rifarsi aumentando i prezzi e quindi facendo salire l’inflazione. Si innesca così un circolo vizioso, che non porta al calo dell’inflazione, ma a quello dell’economia, rischiando di provocare una recessione: guarda caso, proprio quello che si è temuto potesse accadere ad agosto.

Ma in realtà è molto peggio di così. Ricolfi, infatti, è stato ancora troppo moderato: le politiche restrittive non funzionano neanche per l’inflazione da domanda e sono sempre controproducenti, oltre che inefficaci.

L’equivoco nasce dall’espressione ingannevole “costo del denaro”. Se salgono i tassi, infatti, non è tutto il denaro che “costa di più” e, di conseguenza, “circola di meno”: gli stipendi, le pensioni, gli incassi dei commercianti e dei liberi professionisti – tutto questo e molto altro ancora “costa” e “circola” esattamente come prima. È solo il denaro preso a prestito che costa di più e che quindi potrebbe circolare di meno. Ma è davvero così?

Nella nostra società i prestiti concessi dalle banche rientrano tutti in poche e ben definite categorie:

  • per i privati cittadini: a) casa; b) automobile; c) elettrodomestici, d) mobili;
  • per gli imprenditori: a) avviamento dell’attività; b) espansione dell’attività in momenti di prosperità; c) salvataggio dell’attività in momenti di crisi.

Ora, un rialzo significativo dei tassi di interesse potrebbe indubbiamente scoraggiare chi vuole comprare casa (a meno che sia così ricco da potersi permettere di pagarla coi propri risparmi), dato che si tratta di un investimento molto impegnativo, che non si fa da un giorno all’altro e per il quale, data la sua entità, anche una differenza di pochi punti percentuali può tradursi in una grossa differenza in valore assoluto. E in effetti un certo calo del mercato immobiliare in questi due anni c’è stato, benché non di grande entità.

Molto più difficile è invece che si abbia un calo significativo nelle vendite di automobili, che non solo i ricchi, ma anche i semplici benestanti possono comprare senza bisogno di prestiti, mentre i poveri lo fanno solo quando è assolutamente necessario (principalmente per recarsi al lavoro) e in tal caso è verosimile che preferiscano tirare un po’ la cinghia piuttosto che rinunciarvi. Ancor più improbabile è che possano esserci effetti significativi sugli acquisti a rate di articoli per la casa, giacché, data la loro piccola entità, l’aumento in valore assoluto è risibile.

Quanto agli imprenditori, a rinunciare a chiedere prestiti a tassi elevati sarebbero principalmente alcuni di quelli che intendono espandersi, causando così un grave danno all’economia, mentre altri lo chiederanno comunque, scaricando il maggior costo sui prezzi e facendo così salire l’inflazione. Quelli con l’acqua alla gola, avendo come unica alternativa il fallimento, perlopiù il prestito lo chiederanno comunque e cercheranno di rifarsi aumentando i prezzi: chi ci riuscirà contribuirà di nuovo a far salire l’inflazione, mentre chi non ce la farà chiuderà bottega, con ulteriore danno per l’economia. Chi chiede il prestito per avviare l’attività, infine, perlopiù lo chiederà comunque, dato che in genere sono previste condizioni speciali che non vengono toccate dal rialzo dei tassi. Chi non si sentirà di farlo, invece, rinuncerà ad avviare un’impresa che avrebbe potuto portare benefici all’economia, danneggiandola quindi ulteriormente.

Inoltre, tutto ciò vale soltanto per chi il prestito deve ancora chiederlo. Chi l’ha già ottenuto, infatti, deve comunque restituirlo. Per quelli che hanno scelto il prestito a interesse fisso (che in questo momento dovrebbero essere la maggioranza, dato che veniamo da un lunghissimo periodo di tassi bassissimi) non cambia nulla, mentre chi ha scelto il tasso variabile dovrà pagare di più, impoverendosi a vantaggio delle banche. Di nuovo, alcune imprese non saranno in grado di pagare e falliranno, con ulteriore danno per l’economia, mentre altre, di nuovo, scaricheranno i maggiori costi sui prezzi, facendo anch’esse salire l’inflazione.

In definitiva, dunque, l’impatto diretto dell’aumento del costo del denaro sulla domanda sarà comunque limitato già di per sé e rischierà di essere ulteriormente ridotto o addirittura annullato dagli effetti perversi che produce.

Maggiore potrebbe essere l’impatto indiretto, nel senso che chi deve pagare maggiori interessi sui prestiti potrebbe sentirsi meno propenso a spendere per altre cose. Ma, anche se ciò dovesse produrre un significativo calo della domanda (il che è tutto da dimostrare), difficilmente potrebbe provocare un altrettanto significativo calo dei prezzi, perché, come abbiamo visto, tale calo della domanda sarebbe stato ottenuto facendo salire i costi a carico delle persone e delle imprese.

In altre parole, il rialzo dei tassi di interesse trasforma una parte dell’inflazione da domanda in inflazione da costi e tale parte diventa sempre maggiore quanto maggiore è il rialzo dei tassi.

Da ciò deriva il seguente paradosso: quanto più alziamo i tassi per scoraggiare la domanda, tanto più riduciamo l’incidenza della domanda sull’andamento dell’inflazione e, di conseguenza, anche l’efficacia del rialzo dei tassi.

Detto ancor più in sintesi: il rialzo dei tassi di interesse distrugge progressivamente l’efficacia del rialzo dei tassi di interesse. E poiché per ottenere un impatto significativo su un’inflazione elevata bisognerebbe alzarli di un bel po’, sembra inevitabile concludere che è molto dubbio che questa strategia serva a far scendere l’inflazione da domanda, mentre è certo che non farà scendere quella da costi e che in entrambi i casi provocherà gravi danni all’economia. E ora ditemi: con simili prospettive, chi, se non un pazzo, sceglierebbe questa strada?

La Lagarde l’ha scelta…

Magia vs Scienza

Ma l’inflazione sta finalmente scendendo, obietterà qualcuno. E questa non è forse la prova che la strategia di Miss BCE, nonostante tutto, ha funzionato?

Beh, no.

Questo ragionamento, infatti, è un tipico esempio della fallacia logica nota come “post hoc ergo propter hoc” (poiché una certa cosa segue ad un’altra, allora la prima è la causa della seconda), che secondo David Hume sarebbe il modo in cui la scienza stabilisce i nessi di causa ed effetto tra i fenomeni, che per questo egli riteneva invalidi.

Mi spiace dover criticare il nume tutelare della Fondazione che così generosamente ospita i miei sproloqui, ma questo è piuttosto il modo in cui funziona la magia: così, infatti, si può dimostrare qualsiasi cosa, il che è lo stesso che non dimostrare nulla. Non a caso, questo è il trucco che invariabilmente usano tutti i ciarlatani per truffare le persone fragili in cerca di facili rassicurazioni. Per farlo basta scegliere una qualsiasi strategia, seguirla fino a quando l’evento desiderato si verifica e a quel punto rivendicare alla nostra strategia il merito di averlo prodotto.

Naturalmente è possibile che le cose stiano davvero così. Ma anche no, perché l’evento in questione potrebbe essere stato prodotto da una qualsiasi altra causa. Per dimostrarlo, quindi, la mera successione temporale non basta, proprio come diceva Hume (che perciò su questo aveva ragione): bisogna inoltre spiegare esattamente perché l’effetto seguirebbe da quella che noi abbiamo identificato come sua causa e poi andare a vedere se questa spiegazione funziona, il che è esattamente ciò che fa la scienza (e perciò su questo Hume aveva invece torto).

Ora, abbiamo appena visto che la spiegazione della supposta efficacia del rialzo dei tassi di interesse non funziona. Sembra quindi inevitabile concludere che si tratta di un falso rimedio e che l’inflazione è scesa per i fatti suoi, essenzialmente perché era frutto di un fenomeno speculativo, per cui, sgonfiatosi quello, si è sgonfiata anche lei, anche se ci ha messo un po’ più di tempo (perché le dinamiche dell’economia reale sono molto più lente di quella della finanza e anche perché dentro ad essa c’era pure, come abbiamo detto, una parte di inflazione reale da effetto Covid).

Ma il meglio, cioè il peggio, deve ancora arrivare.

Ricchi vs Poveri

Anzitutto, infatti, chi ha più necessità di chiedere prestiti sono i poveri o gli imprenditori in difficoltà, che sono già i più colpiti dall’inflazione e ora vengono colpiti pure dal rialzo dei tassi. Al contrario, i ricchi non solo possono comprarsi ciò che vogliono coi propri soldi, senza chiedere prestiti e quindi senza essere toccati dal rialzo dei tassi, ma possono addirittura trarre vantaggio dalla situazione, investendo i propri risparmi in titoli del debito pubblico dal rendimento particolarmente alto o, meglio ancora, speculando sulle sue variazioni.

Ma c’è di più. L’aumento dei tassi, infatti, ha un’altra conseguenza devastante, soprattutto nella situazione attuale: fa aumentare gli interessi del già enorme debito pubblico degli Stati, facendolo ulteriormente crescere e rendendo di conseguenza sempre più difficile mettere in atto interventi a favore dei più poveri, che vengono così colpiti per la terza volta.

Pertanto, se tutto questo è vero, non è poi così importante stabilire se quella attuale è un’inflazione da domanda o un’inflazione da costi. Infatti, perfino se fosse un’inflazione interamente da domanda, il rialzo dei tassi voluto dalla Lagarde potrebbe avere avuto (nel migliore dei casi) solo un influsso molto limitato, ottenuto a prezzo di impoverirci tutti, tranne le banche e gli speculatori: cioè, esattamente quello che ha sempre fatto il FMI.

Se poi, come sembra evidente, questa è invece essenzialmente un’inflazione da costi, allora va ancora peggio, perché anche quella già abbastanza incerta possibilità di un piccolo influsso positivo scompare, mentre restano, ancor più amplificati, gli effetti negativi, che peggiorano la situazione di tutti, ma in particolare dei più poveri.

Che queste idee dissennate siano oggi difese soprattutto dalla sinistra “liberal” è un’ulteriore conferma di quella “mutazione” (per dirla con Ricolfi) che ha condotto la sinistra a diventare il partito della borghesia anziché del popolo.

Conclusioni

Dopotutto, Einaudi si sbagliava.  Esiste una tassa ancor più iniqua dell’inflazione, che colpisce tutti allo stesso modo, indipendentemente dal reddito: è il rialzo dei tassi di interesse, che colpisce tutti in modo inversamente proporzionale al reddito. E di questa scoperta dobbiamo ringraziare Miss BCE-FMI, ovvero la (poco) gentile signora Christine Lagarde.

Chiunque abbia letto i miei precedenti articoli (chi non li ha letti può sempre farlo ora) non può di certo pensare che stia dicendo quello che sto dicendo a causa di un’avversione ideologica per l’economia di mercato, viste tutte le cose terribili che ho scritto (e che confermo) sul comunismo e sul suo persistente e nefasto influsso sulla civiltà occidentale.

Ho perfino difeso (almeno entro certi limiti) le cattivissime multinazionali, cecando di spiegare perché è sbagliato pretendere che siano l’incarnazione stessa del Male.

Ma il FMI lo è davvero.

E il peggio è che non si tratta innanzitutto del FMI come istituzione (che pure ha colpe sue specifiche e gravissime), ma piuttosto delle idee folli su cui si basa, che purtroppo sono condivise da quasi tutti gli economisti – o almeno da quasi tutti quelli “che contano”.

Ne riparleremo.