Primo anno di governo – Thank you, boomers!
EconomiaIn primo pianoPoliticaCon l’uscita degli ultimi dati Istat sul mercato del lavoro, relativi al 3° trimestre 2023 (luglio-settembre), si può tentare un bilancio del primo anno del governo Meloni sul fronte dell’occupazione, che è poi la vera stella polare della sua politica economica. Il 3° trimestre è un ottimo punto di riferimento non solo perché è il periodo più recente per cui si hanno dati ufficiali affidabili, ma perché si situa a un anno esatto di distanza dall’ultimo trimestre interamente “draghiano” (3° trimestre 2023)
Premessa doverosa: pochissimo di quel che cambia nel breve periodo (e un anno è un periodo breve) è dovuto al governo in carica, nel bene e nel male. Però, sapere quel che è successo nel primo anno, è utile lo stesso, perché almeno ci permette di rispondere a una domanda: è giustificato il pianto greco delle opposizioni e della Cgil sull’andamento del mercato del lavoro?
Vediamo. L’indicatore più significativo, che condensa in sé meglio di qualsiasi altro l’andamento del mercato del lavoro, e cioè il tasso di occupazione della popolazione in età da lavoro (15-64 anni) è aumentato di 1.3 punti, toccando il 61.5%, massimo storico da quando (1977) inizia la serie storica su cui è calcolato.
Già, ma obiettano i critici: bisogna vedere di che tipo sono i posti di lavoro, se sono precari o stabili; come va il numero di ore lavorate; che succede nel Mezzogiorno; che ne è delle donne.
E allora procediamo. L’aumento dei posti di lavoro (+481 mila in un anno) riguarda sia i lavoratori indipendenti (+1.6%), sia i lavoratori dipendenti stabili (+3.1%), ma non quelli a temine (o “precari”), che diminuiscono leggermente, con effetti benefici sul “tasso di occupazione precaria”.
Ma le ore lavorate? Non sarà che l’occupazione aumenta ma le ore lavorate diminuiscono, come in effetti può succedere, ed è già successo in passato? Niente affatto, il monte ore lavorate aumenta del 4.1%.
Ok, ma il Mezzogiorno? Che succede nel Mezzogiorno?
Anche lì, niente da fare. Non c’è tracollo, né crisi, né crisetta, né stagnazione. Al contrario, il Mezzogiorno è la ripartizione territoriale in cui l’occupazione cresce di più (+1.9%), davanti al Nord (+1.0%) e al Centro (+0.9%). E se fossero i primi effetti della stretta sul reddito di cittadinanza?
E l’occupazione femminile, la discriminazione delle donne sul mercato del lavoro?
Stessa storia, i dati dicono che il tasso di occupazione femminile cresce di più (+1.4%) di quello maschile (+1.1%).
Possibile che non ci sia nulla che va storto?
Tranquilli, qualcosa che non va c’è. Intanto la produzione industriale sta perdendo colpi da circa un anno, anche a causa della frenata della Germania, entrata in recessione. Se ciononostante l’economia italiana cresce e l’occupazione sale è soprattutto merito del terziario e dell’edilizia, drogata dal super-bonus del 110%.
Quanto al tasso di occupazione è vero che aumenta, ma se andiamo a vedere chi lo fa aumentare, non solo nell’ultimo anno, ma negli ultimi 15 anni, scopriamo un fatto inquietante. I contributi più importanti vengono inequivocabilmente da due grandi categorie, in parte sovrapposte: i lavoratori immigrati, che oggi hanno un tasso di occupazione più alto di quello degli italiani, e i cosiddetti baby boomers, quell’esercito di vecchi, quasi-vecchi e ultra-vecchi, nati fra gli anni ’40 e gli anni ’60.
Potrà sembrare incredibile, ma nel quindicennio che va dal 2008 a oggi il tasso di occupazione che è cresciuto di più è quello della fascia 50-65 anni. E quello della fascia 35-50 anni ha tenuto di meno di quello della fascia 65-90 anni, che è aumentato di oltre 2 punti.
Ci stanno salvando i Matusalemme?