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Il bullismo etico

18 Ottobre 2024 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPoliticaSocietà

E così alla fine Simone Lenzi – artista, scrittore, musicista, e pure assessore alla cultura del comune di Livorno – è stato costretto a dimettersi dall’incarico. Anche se il punto di partenza di tutta la vicenda è stata una aspra polemica con il Fatto Quotidiano per una striscia del fumettista Natangelo, la ragione vera del siluramento dell’assessore sono stati alcuni post del passato, riesumati per l’occasione e considerati omofobi.

In uno Lenzi metteva in dubbio il valore artistico di una statua (una donna con il pene) esposta alla Biennale di Venezia, e prendeva posizione contro “l’arte didascalica”, che pretende di insegnarci come vivere. In un altro Lenzi faceva dell’autoironia, definendosi gender ironic, in polemica con la ridicola proliferazione delle identità di genere (28, compreso skoliosexual e lithsexual). Di qui una durissima presa di posizione dell’Arcigay, la severa reprimenda del sindaco progressista (?) Luca Salvetti, e infine le dimissioni dell’assessore.

La vicenda è illuminante perché, in un colpo solo, ci mette sotto gli occhi una moltitudine di aberrazioni di cui, troppo sovente, nemmeno ci accorgiamo.

Prima aberrazione: lo strapotere delle lobby LGBT+. Qualche tempo fa Federico Rampini, in una trasmissione tv, scandalizzò la conduttrice Marianna Aprile con l’affermazione: “in America le lobby LGBT sono cattivissime e potentissime”. Ebbene, dobbiamo correggere Rampini: purtroppo vale anche per l’Italia, non solo per gli Stati Uniti.

Seconda aberrazione: l’assessore è stato rimosso per le sue idee, peraltro espresse in chiave ironica e al di fuori del suo ruolo.

Terza aberrazione: la censura è venuta da un esponente della sinistra, che non perde occasione per inneggiare alla libertà di espressione e al diritto al dissenso.

Quarta aberrazione: né Elly Schlein, né la segreteria del Pd, né i maggiori esponenti di quel partito hanno sentito il bisogno di difendere l’assessore.

Quinta aberrazione: anche nel mondo della cultura e del giornalismo sono stati pochissimi a manifestargli solidarietà (fra di loro: la giornalista Concita De Gregorio e il regista Paolo Virzì, che con Lenzi aveva collaborato).

Perché, tutto questo?

Nella sua lettera di addio, l’assessore accenna a una possibile ragione dell’isolamento in cui si è venuto a trovare.

“mi dimetto perché alla sinistra, che avevo visto sin qui come la roccaforte di ogni libertà, la libertà più autentica non interessa affatto. Essendo piuttosto il narcisismo etico l’unica molla ormai capace di muoverne i riflessi condizionati, capisco bene che l’unica cosa importante davvero per tutti voi sia adesso posizionarsi, quanto più in fretta possibile, dalla parte dei giusti e dei buoni”.

La sinistra, insomma, sarebbe affetta da “narcisismo etico”.

Mi permetto di dissentire. Il narcisismo è una forma di ripiegamento su di sé, un auto-innamoramento, un coccolare sé stessi. Non è questo il peggiore male della sinistra di oggi. Fosse solo questo, non farebbe troppi danni. Quando l’assessore dice che la
cosa importante per le persone di sinistra è “posizionarsi dalla parte dei giusti e dei buoni”, quello di cui parla non è un moto interno dell’animo, ma un comportamento esterno: un mostrare agli altri quel che si è, o si pretende di essere. La parola giusta è
esibizionismo, non narcisismo. Il bisogno ossessivo di posizionarsi, sui social come nella realtà offline, è una forma di esibizionismo etico. Una continua pretesa di ostentare la propria superiore moralità.

Il guaio è che, qualche volta, l’esibizione della propria moralità richiede una vittima, un capro espiatorio, un nemico da umiliare, sopraffare, o aggredire. E questo non si chiama narcisismo, né esibizionismo: si chiama bullismo. Il ragazzo che ammira i
propri muscoli davanti a uno specchio è un narcisista. Se li mostra alla classe diventa un esibizionista. Ma se li usa per pestare un compagno è un bullo. È il bullismo etico, non il semplice narcisismo, la cifra della vicenda Lenzi. Per apprezzarne tutta la drammaticità e gravità, dobbiamo imparare a usare le parole giuste. Parole precise, esatte. Perché “le parole sono importanti”, per dirla con Nanni Moretti.

[articolo uscito sulla Ragione il 15 ottobre 2024]

Linguaggio inclusivo e bullismo etico

29 Maggio 2024 - di Luca Ricolfi

In primo pianoSocietà

“Dilemmi” è, a mio parere, una delle più intelligenti e ben costruite trasmissioni della Rai. L’idea è di scegliere un dilemma interessante, e farne discutere due persone preparate, che la pensano in modo opposto, ma sono disposte a confrontarsi in modo
civile.

È quel che è successo, pochi giorni fa, con il confronto fra lo scrittore Emanuele Trevi (premio Strega 2021) e la linguista Vera Gheno, paladina del linguaggio inclusivo (ma lei preferisce chiamarlo “ampio”) e sostenitrice dell’uso della schwa (ə) per formare il plurale: anziché dire cari spettatori, oppure care spettatrici e cari spettatori, dovremmo dire: carə spettatorə.

La discussione si è animata varie volte, ad esempio quando è stata richiamata la decisione del comune di Bologna di bandire parole come “fratellanza” e “paternità” nel caso si riferiscano a donne, e di sostituirle con “solidarietà” e “maternità” (curioso
parlare della “maternità” di un’opera d’arte, o di uno scritto…). Ma il passaggio più interessante, a mio modo di vedere, è stato allorché Trevi ha spiegato le ragioni per cui il linguaggio politicamente corretto ma artificiale non gli piace.

Una ragione riguarda il suo mestiere di scrittore: il rispetto delle prescrizioni dei guardiani della lingua politicamente corretta vincola, limita, impoverisce la scrittura. Ma l’altra ragione ci riguarda tutti: quando qualcuno ci scrive facendo sfoggio di schwa, asterischi e artifici linguistici vari volti a includere e non offendere, in realtà ci sta anche dicendo che lui “si sente migliore, che sta facendo una cosa per il mondo”.

Detto in modo più crudo di quello usato da Trevi: il linguaggio politicamente corretto, specie se usato nei confronti di qualcuno che parla e scrive in modo naturale (non artificioso), funziona come una forma di bullismo etico, un modo per segnalare
la propria sensibilità morale, o la propria superiore virtù (il cosiddetto virtue signalling).

Si potrebbe obiettare che, dopotutto, gruppi e minoranze che fanno esperimenti sulla lingua sono sempre esistite. Pensiamo ai poeti ermetici, alla letteratura sperimentale, al Gruppo 63, per stare al contesto italiano. Ma proprio questi esempi storici
mostrano la radicale differenza con ciò che succede oggi. In quei casi le istanze di cambiamento della lingua non poggiavano, come ora, su un progetto politico di cambiamento della società, e tantomeno pretendevano di uscire dall’ambito letterario,
coinvolgendo la gente comune.

Oggi al contrario la sperimentazione linguistica ha l’ambizione di propagarsi al resto della società, e grazie a internet ha la possibilità tecnologica di farlo. Contemporaneamente, i suoi destinatari hanno ipso facto la chance di convertirsi, diventare essi stessi propagatori della neolingua, e infine ergersi a censori di chi non si converte.

Certo, per ora l’obbligo di adeguarsi alle regole della neolingua vige solo nelle grandi istituzioni come l’Unione Europea, le università, le amministrazioni locali che vogliono fare sfoggio di virtù. Il singolo cittadino, nella vita come in rete, è
liberissimo di non adeguarsi, e continuare a parlare come prima. Nessuno gli impone nulla. Ma il fatto di sapere che alle sue scelte linguistiche non verrà attributo un significato stilistico, bensì una portata etica e morale, è già sufficiente ad esercitare
una formidabile pressione psicologica. Soprattutto in rete, il rischio di finire in uno shitstorm, coperto di improperi per un aggettivo sbagliato o una desinenza scorretta, è troppo forte. A quel punto, la tentazione dell’autocensura e dell’adeguamento può
diventare irresistibile.

[articolo uscito su La Ragione il 28 maggio 2024]

Bullismo etico

27 Giugno 2021 - di Luca Ricolfi

PoliticaSocietà

Quando, nel 1957, il grande politologo americano Anthony Downs pubblica La teoria economica della democrazia, il gioco della competizione politica è ancora pulito. Per lui la differenza chiave fra destra e sinistra, o fra conservatori e progressisti, è che gli uni vogliono meno intervento pubblico nell’economia, gli altri ne vogliono di più.   Leggi di più

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