Elezioni e candidature: l’intervista a Luca Ricolfi
Alle prossime elezioni gli schieramenti tradizionali si confronteranno con il M5s. Centrodestra e centrosinistra sono in grado di riguadagnare consensi dentro quella che lei ha definito la Terza società, i nuovi esclusi?
Sì, con le proposte di lotta alla povertà di Pd e Forza Italia, che però sono un po’ diverse sia da quella (demagogica e irrealistica) del Movimento Cinque Stelle, sia fra di loro: il Pd punta sul reddito di inclusione, Forza Italia sull’imposta negativa. Le due strategie molto diverse, vedremo se l’elettorato si fiderà più dell’una o dell’altra.
In passato la società italiana ha già sperimentato fratture importanti, come ha reagito allora la classe politica?
Dopo il 1948, con lo scontro fra Dc e Fronte popolare, la principale frattura sperimentata è stata fra la società italiana e la sua classe politica, nel 1992-1994. Allora la reazione fu di liquidare un po’ frettolosamente il passato, e coltivare l’illusione di un cambiamento radicale, superficialmente battezzato “seconda Repubblica”.
La qualità dei candidati che presenteranno i partiti sarà un fattore determinante nello spostare consensi?
Credo di no, perché esistono due potenti meccanismi che tendono a rendere irrilevante (o addirittura controproducente) la qualità dei candidati. Il primo è il voto clientelare o di scambio, diffuso soprattutto al Sud, che privilegia candidati di bassa qualità, purché in grado di promettere credibilmente benefici locali. Il secondo è il discredito generale in cui è caduto tutto il ceto politico (compreso quello Cinque Stelle: vedi Raggi e Appendino), che conduce a non chiedersi neppure più se un candidato è valido oppure no. Non avendo più vera stima di nessuno, ci si limita, sempre che si vada a votare, a puntare sul candidato che più ci sta simpatico.
Gli italiani premieranno candidati nuovi, esterni alla politica e magari provenienti dal mondo delle professioni, oppure nell’incertezza andranno alla ricerca di politici di lungo corso?
Gli italiani mangeranno la minestra che il convento dei partiti preparerà per loro. Del resto, avendo imposto agli elettori un sistema prevalentemente proporzionale, i partiti sono liberi di far eleggere chi vogliono, il che spesso significa chiunque garantisca fedeltà al capo.
Paga ancora candidare dei Vip, esterni alla politica?
Se si scelgono molto bene, penso di sì. Ma il problema è trovare dei Vip che, oltre a star simpatici a milioni di persone, non abbiano il piccolo difetto di stare antipatici ad altri milioni di elettori. Il che succede quasi sempre, salvo per figure popolari ma molto neutre, come attori, presentatori, calciatori, cantanti, scienziati.
La sinistra sarà in grado di recuperare il suo popolo o Pd e LeU sono ancora percepiti come establishment?
Credo che anche LeU, il partito di Grasso, sia percepito come establishment, forse ancora più del Pd. Dobbiamo renderci conto che establishment non significa solo poteri forti, classe dominante, apparati burocratici, ma anche dittatura culturale del politicamente corretto: uno sport in cui Boldrini batte Renzi dieci a zero.
È giusta la scelta di Renzi di puntare sui ministri in carica?
È giustissima, perché Gentiloni e il suo governo hanno uno straordinario (e imprevisto) potere di rassicurazione sull’elettorato. Certo, per essere veramente efficace, la carta dei ministri andrebbe accompagnata da due gesti simbolici complementari, ma non meno importanti. Il primo è un passo indietro di Maria Elena Boschi, la cui popolarità è in caduta libera forse più per il suo cocciuto attaccamento al potere che per i propri demeriti nelle vicende di Banca Etruria. Il secondo gesto spetta a Renzi: se vuole che la carta dei ministri funzioni davvero, più che fare un passo indietro, dovrebbe iniziare a presentare Gentiloni come già lo percepiscono gli italiani, ossia più come una riserva della Repubblica in tempi difficili, che come uno dei tanti notabili del Pd. Sempre che non sia troppo tardi, visto che la carta Gentiloni l’ha già giocata Berlusconi due settimane fa, quando lo ha indicato come leader del governo che, in caso di stallo, dovrebbe rapidamente riportarci al voto.