Europa spaventata – Il partito dei rimpatri

Fra una settimana si vota in Germania. Travolto dai dissidi interni e da una drammatica crisi di consenso, il governo Scholz affronta la prova elettorale nelle condizioni peggiori possibili: divisioni fra gli alleati della uscente “coalizione semaforo” (Spd, Verdi, Liberali), incertezze sulla guerra in Ucraina e i rapporti con Trump, polemiche per l’attentato dei giorni scorsi a Monaco di Baviera, lacerazioni sulla questione dei rimpatri forzati.

Secondo i sondaggi i socialdemocratici hanno perso 10 punti rispetto alle ultime elezioni (2021), Liberali e Verdi ne hanno persi quasi altri 10, il tutto a beneficio di tre formazioni fortemente ostili all’immigrazione irregolare: i popolari della CDU-CSU, in salita di circa 5 punti, il nuovo partito di sinistra anti-migranti di Sahra Wagenknecht (BSW), dato vicino al 5%, e soprattutto la temutissima AFD (Alternative für Deutschland) di Alice Weidel, che dovrebbe passare dal 10 al 21% dei consensi.

In queste condizioni prevedere che governo si formerà è impossibile per tre ordini di ragioni. Primo, la composizione del parlamento dipenderà in modo cruciale da quali partiti non passeranno la soglia di sbarramento del 5% (tre partiti piccoli ma importanti, ossia Liberali, Linke e BSW, rischiano di non farcela). Secondo, se la composizione riflettesse abbastanza fedelmente le risultanze dei sondaggi, il partito maggiore (la CDU-CSU) potrebbe, almeno sulla carta, dar luogo a tre diversi tipi di coalizioni, differenti tra loro innanzitutto per il grado di adesione alla politica dei rimpatri (remigration). In ordine di severità, dalla coalizione più blanda alla più ostile: alleanza con verdi e socialdemocratici, alleanza con socialdemocratici e BSW, alleanza con la sola Afd, In quest’ultimo caso cadrebbe il “muro spartifuoco” (brandmauer) che dalla fine della seconda guerra mondiale – non solo in Germania – ha sempre tenuto fuori del governo le formazioni di estrema destra, più o meno arbitrariamente tacciate di simpatie naziste.

Difficile pensare che l’attentato di Monaco (auto che piomba sulla folla, 28 feriti e un bimbo in fin di vita) non sospinga ulteriormente verso destra gli equilibri parlamentari. Nessun paese più della Germania, negli ultimi 12 mesi, è stato scosso da tanti attentati e aggressioni: un attentato analogo, ma ancora più grave (6 morti e 200 feriti) era avvenuto poco più di un anno fa a Magdeburgo. Da allora si sono susseguiti, con impressionante progressione, gli episodi di accoltellamento: Aschaffenberg (gennaio), Mannheim (maggio e giugno), Stoccarda (giugno), Wolmirstedt (giugno), Solingen (agosto). E, cosa fondamentale per comprendere lo stato d’animo dell’opinione pubblica, in tutti i casi precedenti l’attentatore era straniero, e talora più o meno connesso a terrorismo e islam. Di qui la stretta connessione, nella mente di in una parte cospicua dell’opinione pubblica, fra immigrazione irregolare, sicurezza, terrorismo, divenuti poco per volta fili di una matassa indistricabile.

Faccenda solo tedesca, che non ci riguarda?

In parte è così, per almeno due motivi. In primo luogo, il numero totale degli immigrati in Germania, dopo il “wir schaffen das” della Merkel nel 2015, ha assunto dimensioni abnormi, non eguagliate da nessun grande paese europeo (circa il 20%, il doppio che da noi). In secondo luogo, in Italia non esiste, anzi non è mai esistito, un partito di massa ostile all’immigrazione e confinato all’opposizione dalla conventio ad excludendum da parte di tutti gli altri partiti.

Per certi versi, invece, quel che accade in Germania non è una faccenda solo tedesca. La richiesta che gli immigrati irregolari, specie se commettono reati violenti, vengano prontamente rimpatriati come sta cercando di fare Trump negli Stati Uniti, attraversa l’intera Europa, ed è tutt’altro che marginale in Italia. Anzi, ho l’impressione che, specie nel mondo progressista, non ci si renda conto appieno di quanto quella richiesta sia estesa, intensa e trasversale. Per farcene un’idea, basta consultare i risultati di un recentissimo sondaggio Eumetra condotto da Renato Mannheimer. Fatto 100 il numero di persone che hanno preso posizione pro o contro i rimpatri, la percentuale di favorevoli alle espulsioni è del 65% in generale (quasi 2 italiani su 3), sale intorno all’80% fra gli operai e le persone con un basso titolo di studio, sfiora il 90% fra gli elettori di destra, ma è oltre il 50% persino in alcune forze di opposizione (Cinquestelle e Terzo polo). Quanto agli elettori del Pd, sono quasi 1 su 3 i favorevoli alle espulsioni di massa.

Di qui, per la sinistra, un’amara (quanto ovvia) verità: se vuole governare, in Italia come in Germania, non può continuare a eludere o minimizzare il problema dei migranti irregolari. Quel che le è riuscito in passato, vincere le elezioni senza prendere di petto il problema migratorio, non sembra più possibile nell’Europa spaventata di oggi.

[articolo uscito sul Messaggero il 16 febbraio 2025]