Punire il “negazionismo climatico”?
Quando l’ho sentita non ci volevo credere. Pensavo fosse la solita notizia gonfiata e deformata dai media. Il solito tentativo di screditare l’avversario politico.
E invece no, quando sono andato a controllare, ho scoperto che era tutto vero. L’aveva proprio detto, il leader dei Verdi Angelo Bonelli, che intende presentare una proposta di legge per introdurre il reato di “negazionismo climatico”.
Dunque siamo a questo. Per Bonelli, la legge dovrebbe punire chi non aderisce al pensiero dominante in materia di clima. Vedremo, quando ci sarà un testo, se la pena sarà pecuniaria, detentiva, o entrambe le cose. Certo, mi farebbe una certa impressione vedere scattare le manette ai polsi del fisico dell’atmosfera Franco Prodi (fratello dell’ex presidente del Consiglio), o assistere a una discussione parlamentare sulla perseguibilità del senatore a vita Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica. O magari, in occasione di una incauta vacanza in Italia di Richard Lindzen (eminente fisico dell’atmosfera americano), vedere nascere una surreale diatriba sulla natura universale o meno del nuovo reato di Bonelli. Già, perché ciascuno di questi tre signori, che ho indicato solo a titolo di esempio fra decine di altri possibili, ha espresso perplessità sulla tesi che il riscaldamento globale sia dovuto soprattutto alla crescita delle emissioni di anidride carbonica (CO2).
Ma lasciamo perdere le conseguenze di una proposta di legge che non sarà mai approvata, e serve solo a incattivire il fondamentalismo green. Quel che merita attenzione non è il destino della proposta (se mai avranno il coraggio di metterla nero su bianco), ma la mentalità che la sorregge. Perché, bene o male, siamo abituati a pensare gli ambientalisti come una componente della galassia progressista. Che a sua volta ama pensare sé stessa come erede dell’illuminismo.
Peccato che l’idea di istituire il reato di “negazionismo climatico” sia quanto di più oscurantista si possa immaginare. E questo per due precise e distinte ragioni.
Primo, la proposta è illiberale, nella misura in cui calpesta il principio della libertà di opinione, un principio che – fra le opinioni tutelate – non può non includere quelle che si affrontano e si sfidano in campo scientifico.
Secondo, la proposta è profondamente antiscientifica. Bonelli forse non lo sa, ma il dubbio è uno dei cardini dell’etica della scienza. E lo è, in modo particolare, proprio sul punto cruciale della controversia climatica: la dimostrazione dell’esistenza di un nesso causale.
Perché il punto della discussione non è se oggi faccia più caldo di 50, 100, o 150 anni fa, ma se il cosiddetto riscaldamento globale possa essere attribuito prevalentemente all’azione dell’uomo. Chi ha dimestichezza con le tecniche statistiche di imputazione causale su dati osservativi (cioè nonsperimentali), e ha un minimo di conoscenza dei limiti intrinseci dei modelli di simulazione, sa perfettamente che tale attribuzione può essere effettuata solo in via congetturale, e che i margini di errore sono di entità sconosciuta.
Ma l’oscurantismo illiberale e antiscientifico non è l’unico difetto della mentalità green. C’è anche un difetto strettamente politico. Ammettiamo che abbiano ragione quanti pensano che il riscaldamento globale sia un effetto della CO2 (io stesso propendo a pensare che abbiano ragione). Resterebbe aperto quello che mi piace chiamare “il problema di Jonathan Franzen” (mirabilmente esposto nel suo libriccino E se smettessimo di fingere?): posto che le risorse che possiamo investire sull’ambiente sono limitate, è meglio convogliarle sulla rimozione delle (presunte) cause del riscaldamento globale, o concentrarle sulla prevenzione delle sue (catastrofiche) conseguenze?
Gli ambientalisti scettici, quando non sono a loro volta accecati dall’ideologia, dicono
solo questo: siamo sicuri che la nostra costosissima (e solitaria!) lotta all’anidride carbonica sia la strada più saggia per proteggerci dal riscaldamento globale?
Se poi sono pure di sinistra (quella vera), aggiungono: è proprio il caso, a forza di auto elettriche ed efficientamenti energetici delle abitazioni, di caricare sulle spalle dei ceti popolari gli enormi costi della cosiddetta transizione green? Non è che la lotta al riscaldamento globale finirà per aumentare le diseguaglianze?
È a queste domande che, per ora, gli ambientalisti ortodossi non hanno saputo rispondere.