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La frattura tra ragione e realtà 11 / Nemica dell’umanità?

4 Marzo 2025 - di Paolo Musso

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«Nemica dell’umanità»: così Netanyahu ha definito la Corte Penale Internazionale dopo il mandato di arresto contro di lui. L’affermazione può sembrare eccessiva, ma in realtà il vero errore di Netanyahu è stato di parlarne solo con riferimento al suo caso. Se invece consideriamo la situazione globalmente, sembra difficile negare che la Corte è davvero pericolosa per gli equilibri internazionali. E non per quello che fa, ma per quello che è. L’unica soluzione è abolirla.

Quando la Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso un mandato di arresto nei confronti di Putin mi ero ripromesso di scrivere un articolo sul grave problema che essa rappresenta e di cui ben pochi sembrano essere consapevoli, ma poi, preso da altri impegni, ho lasciato stare. Ci ho pensato di nuovo quando la CPI ha emesso un mandato di arresto contro Netanyahu, ma ho ancora rimandato. Poi, proprio quando avevo finalmente deciso di affrontare la questione, la realtà stessa si è incaricata di farlo al posto mio attraverso il caso Almasri. Eppure, nonostante tutto quel che è successo, ancora una volta ben pochi sembrano aver colto il vero problema.

A scanso di equivoci, chiariamo subito un punto: non c’è nessun dubbio (e sottolineo nessuno) che in questo caso la CPI abbia sbagliato e che quindi sbagli anche l’opposizione ad accusare il governo italiano di aver violato la legge. Se era la CPI che doveva informarlo, infatti, è irrilevante che il governo fosse giunto a conoscenza della cosa per altre vie, proprio come una prova ottenuta in modo non conforme alla legge non può essere usata in un processo anche se tutti la conoscono. Nel diritto la forma è sostanza. E così deve essere, anche se talvolta ciò può causare ingiustizie, perché è l’unico modo di evitare ingiustizie molto peggiori.

Cionondimeno, qualcosa di vero c’è, nelle critiche dell’opposizione (almeno di quella più moderata e responsabile, come Renzi e Calenda): è evidente a tutti, infatti, che la vera motivazione della frettolosa espulsione di Almasri (che non è stato liberato dal governo, ma che il governo poteva trattenere in attesa di chiarire la situazione) è stata di natura politica.

L’errore formale commesso dalla CPI ha permesso al governo di far valere la ragion di Stato senza doverlo ammettere esplicitamente, in un paese come il nostro che non lo accetta mai facilmente, come ha ben spiegato Luca Ricolfi (https://www.fondazionehume.it/politica/a-proposito-del-caso-almasri-ipocrisia/). Ma così si è perso di vista il vero problema, che non è di natura giuridica, ma politica. E che sarebbe ugualmente esistito (anzi, sarebbe stato ancor più serio) se la richiesta di arresto di Almasri fosse stata presentata in modo corretto.

Come si può infatti ritenere ragionevole la pretesa della CPI che l’Italia si intrometta negli affari interni di un paese straniero fino al punto di arrestare il capo della sua polizia, per crimini certo gravissimi, ma che non ci riguardano, essendo stati commessi fuori dall’Italia e a danno di cittadini non italiani?

A rendere la cosa ancor più paradossale c’è il fatto che in genere chi sostiene la legittimità di questo comportamento è contrario all’idea di “esportare la democrazia” con la forza. Ma non mi risulta che la polizia, quando arresta qualcuno, si presenti disarmata. Pertanto, per un paese come la Libia, che non riconosce l’autorità della CPI, questo sarebbe stato un uso illegittimo della forza contro un alto esponente delle sue istituzioni: cioè, un atto di guerra.

Se non ne siete convinti, provate a immaginare che un paese straniero arresti il capo della nostra polizia per crimini magari anche veri, ma comunque non commessi in quel paese né a danno dei suoi cittadini, solo per eseguire l’ordine di un tribunale internazionale che l’Italia non riconosce e che è invece sostenuto da paesi a noi ostili, tipo la Russia, l’Iran, la Cina o la Corea del Nord. Sareste disposti ad accettarlo?

Se la vostra risposta è no, allora dovreste cominciare a chiedervi perché mai siete invece disposti ad accettare, magari anche con entusiasmo, che la stessa identica cosa venga fatta dall’Italia su richiesta della CPI.

Forse qualcuno obietterà che Almasri è “palesemente” un criminale della peggiore specie. Non c’è dubbio. Ma questo è un giudizio politico e morale, non giuridico, perché Almasri non è ancora stato condannato e quindi per la legge al momento è innocente. Inoltre, se accettiamo che ciò sia lecito per Almasri, poi dovremo accettarlo per chiunque, anche per persone che non sono così “palesemente” colpevoli, compresi noi stessi. E ciò, lungi dal favorire la pace nel mondo, rischia invece di comprometterla gravemente.

Cosa succederebbe, per esempio, se la CPI accusasse il nostro governo di crimini contro l’umanità per le sue politiche contro l’immigrazione oppure di complicità nei crimini di guerra commessi da qualche paese con cui l’Italia intrattiene rapporti di collaborazione?

Non si tratta di ipotesi campate in aria. Accuse molto simili sono già state mosse, per esempio, dal procuratore di Roma Francesco Lo Voi, prima nell’incredibile indagine contro Salvini, accusato di sequestro di persona per la vicenda della Open Arms, poi nell’altra, ancor più incredibile (e ai limiti della vera e propria eversione), contro la premier Meloni, i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, accusati di favoreggiamento nei confronti di Almasri. Di conseguenza, nulla ci garantisce che un domani la CPI non decida di adottare la stessa “interpretazione creativa” delle leggi, muovendo accuse analoghe alle autorità italiane.

In tal caso, la nostra magistratura sarebbe tenuta ad arrestare i nostri governanti e a mandarli all’Aja, cioè in un paese straniero (ché tale è l’Olanda, giacché la UE non è uno Stato federale, ma solo un federazione di Stati), per essere giudicati da un gruppo di magistrati anch’essi tutti stranieri, che poco o nulla conoscono della situazione italiana e che, diversamente da loro, non sono stati eletti da nessuno, ma solo nominati dai governi di ben 124 paesi, buona parte dei quali in fatto di diritto dall’Italia hanno solo da imparare, quando non sono addirittura retti da feroci dittature (basti dire che il primo in ordine alfabetico è l’Afghanistan, mentre il penultimo è il Venezuela).

E non basta. Tutto ciò, infatti, potrebbe accadere non solo all’Italia, ma a qualsiasi altro paese, compresi i nostri alleati. In parte è già successo con Netanyahu, che, a causa del mandato di arresto contro di lui, non può più entrare in nessun paese della UE. Ma spingiamoci ancora oltre e proviamo a immaginare che la CPI emetta un mandato di arresto contro Trump, per esempio per complicità nei (presunti) crimini di guerra dello stesso Netanyahu.

Se il veto all’ingresso del premier israeliano nei paesi europei può ancora essere tollerato, quello al presidente degli Stati Uniti (che tra l’altro non riconoscono la CPI) provocherebbe invece una gravissima crisi internazionale. E cosa succederebbe se Trump decidesse di recarsi lo stesso in Europa? Davvero qualcuno pensa che dovremmo vietarglielo? O addirittura abbattere l’Air Force One? Oppure farlo atterrare e poi arrestare Trump? C’è qualcuno che si rende conto che fare questo significherebbe di fatto entrare in guerra con gli Stati Uniti? Apparentemente no…

Davvero non capisco come una qualsiasi persona sana di mente possa tollerare che un pugno di magistrati che non rappresentano nessuno se non sé stessi e non rispondono a nessuno se non a sé stessi possa influenzare fino a questo punto le relazioni tra gli Stati. E perché sia chiaro che la mia critica non nasce da una posizione di parte, faccio presente che, come accennavo all’inizio, il primo impulso a scrivere un articolo contro la CPI mi è venuto quando essa ha ordinato l’arresto di Putin.

Ora, chiunque abbia la bontà di leggermi sa benissimo che io Putin più che in galera vorrei vederlo morto e che ho sempre sostenuto che fare la pace con lui sull’Ucraina senza prima averlo chiaramente sconfitto sul campo sarebbe pericolosissimo, perché servirebbe solo a permettergli di riprendere fiato e riorganizzarsi, per poi, fra qualche anno, scatenare una nuova guerra da una posizione di maggiore forza (https://www.fondazionehume.it/politica/la-prevedibile-caporetto-di-putin-e-quella-inquietante-degli-esperti/).

Tuttavia, è ancor più pericoloso permettere che decisioni del genere, che sono di natura strettamente politica, possano essere determinate o anche solo influenzate dalla magistratura.

Se i legittimi rappresentanti dei popoli occidentali, cioè i rispettivi parlamenti e governi, decidono di fare la pace con Putin, allora devono poterla fare, senza che un mandato di arresto a suo carico complichi ulteriormente una situazione già di per sé complicatissima. E chi, come me, considera invece nefasta questa trattativa ha ovviamente tutto il diritto di avversarla, ma agendo attraverso gli strumenti della politica e non per via giudiziaria.

Perché allora la CPI, nonostante la sua evidente pericolosità per gli equilibri internazionali, gode di un consenso così ampio?

In parte si tratta di un atteggiamento ideologico, che per sua natura ignora la realtà, ma per un’altra parte, forse anche più ampia, credo che ciò dipenda dalla convinzione che la Corte non si spingerà mai tanto oltre da produrre questi scenari da incubo. Purtroppo, però, questo modo di pensare è erroneo, sia in teoria che in pratica.

In linea di principio, infatti, è sempre sbagliato creare un’istituzione potenzialmente pericolosa confidando che la saggezza di chi la dovrà gestire le impedirà di fare troppi danni. Al contrario, un principio fondamentale dello Stato di diritto è che le istituzioni dovrebbero essere (per quanto possibile) “a prova di cretino”, cioè costruite pensando non al miglior scenario possibile, ma al peggiore, in modo da minimizzare i danni anche se quest’ultimo si dovesse realizzare. Ora, creare un potere giudiziario internazionale senza prevedere nessun organo di controllo che possa realmente limitarlo (l’Assemblea degli Stati Parte fa ridere i polli) è ben più che pericoloso: è un vero e proprio abominio logico e giuridico.

Inoltre, in linea di fatto, tale ottimistica convinzione sulla CPI poteva forse essere giustificata fino a qualche tempo fa, ma oggi non più. Non solo, infatti, con gli ultimi tre mandati di arresto la “linea rossa” è stata chiaramente superata, ma la cosa più preoccupante è che c’è un’evidente “escalation” di pericolosità.

È vero che il bersaglio più grosso era il primo, Putin, ma con lui i rapporti erano già al minimo storico e quindi non potevano peggiorare più di tanto. Israele, invece, è un paese amico e quindi il mandato contro Netanyahu può causare danni molto più gravi. Quello contro Almasri, infine, i danni li sta già causando, avendo creato nel nostro paese un clima quasi da guerra civile. E danni ancor peggiori potrebbe causarli se dovesse portarci a uno scontro aperto con la CPI, come è purtroppo perfettamente possibile, anche se le voci di un’indagine sul nostro governo, messe in giro da alcuni irresponsabili esponenti del PD, sono state (per ora…) smentite.

D’altronde, ciò non deve stupire. La CPI, infatti, non è piovuta dal cielo, ma rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più ampio e preoccupante: la crescente tendenza a giuridicizzare la politica, alterando l’equilibrio dei poteri tipico degli Stati democratici a favore di quello giudiziario, cosa ben più radicale e profonde della pur già deleteria politicizzazione della magistratura (ne riparleremo presto).

A livello internazionale, poi, è ancor peggio, perché qui un potere esecutivo e un potere legislativo semplicemente non esistono (a meno che, con sovrano sprezzo del ridicolo, non si voglia considerare tali il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale dell’ONU). E poiché ogni vuoto tende ad essere riempito, col tempo la CPI, unico vero potere sulla scena, tenderà non soltanto a invadere gli ambiti di competenza degli altri (inesistenti) poteri, ma a occuparli completamente e stabilmente, trasformandosi così in un organo totalizzante e perciò tendenzialmente totalitario.

Quando venne emesso il mandato di arresto contro di lui per crimini di guerra, Netanyahu disse che la CPI doveva essere considerata «nemica dell’umanità» perché si trattava di un atto antisemita. Aveva ragione, ma non per questo motivo, benché indubbiamente ci sia un pizzico di antisemitismo (e forse anche più di un pizzico) negli attuali abnormi attacchi contro lo Stato di Israele e il suo governo, per criticabile che sia il suo operato (anche di ciò riparleremo presto).

Ma la Corte Penale Internazionale non è pericolosa per questo o quell’altro suo provvedimento specifico: è pericolosa per la sua stessa natura e quindi per il fatto stesso di esistere.

Così stando le cose, l’unico modo di evitare che in futuro possa destabilizzare ancor più gravemente i già fragili equilibri internazionali è abolirla.

È soprattutto per questo che è auspicabile che il nostro governo la smetta di nascondersi dietro il dito dei formalismi giuridici e ponga apertamente la vera questione (politica) sul tavolo della UE: con le buone se sarà possibile, con le cattive se sarà necessario.

A proposito del caso Almasri – Ipocrisia?

3 Febbraio 2025 - di Luca Ricolfi

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Credo siano in pochissimi a sapere quel che davvero è successo nelle convulse giornate che hanno portato prima all’arresto, poi alla scarcerazione, infine al rimpatrio su un aereo di Stato italiano, del capo della polizia giudiziaria libica. In compenso siamo in tantissimi ad esserci fatte alcune domande fondamentali: perché il governo ha scelto di rimpatriare Almasri anziché arrestarlo? Perché Giorgia Meloni non ha detto a chiare lettere quello che quasi tutti credono di sapere, e cioè che la vera ragione del frettoloso rimpatrio di Almasri è stato il timore di ritorsioni del governo libico, pronto a scagliare verso il nostro paese orde di richiedenti asilo? E infine: perché Giorgia Meloni non ha fatto come Trump, che non ha esitato a sbandierare ai quattro venti la durezza delle proprie misure contro i migranti illegali? Perché tanta ipocrisia nella vicenda del torturatore libico?

Come cittadino, sono sconcertato come tutti. Ma, come sociologo, non lo sono per niente. Viste con la lente della mia disciplina, le vicende del caso Almasri sono perfettamente comprensibili. Uno dei cardini della sociologia, posto da Max Weber fin dal 1919 nel saggio La politica come professione, è la distinzione fra etica della convinzione, o dei principi (tipica di missionari e predicatori), e etica della responsabilità (che secondo Weber dovrebbe guidare i politici). Agisce secondo l’etica della convinzione chi opera secondo principi ritenuti giusti, senza curarsi delle conseguenze pratiche che ne possono derivare. Agisce secondo l’etica della responsabilità chi valuta le proprie azioni non solo in base a principi etici o morali, ma anche in base alle loro conseguenze. Ad esempio: un cultore dell’etica della convinzione in nessun caso potrebbe sottoporre a sevizie e torture un altro essere umano, ma che fare se torturare un terrorista è l’unico modo per evitare la morte di migliaia di innocenti minacciati da un ordigno a orologeria che solo lui può disinnescare?

Ebbene, alla luce della distinzione weberiana, è chiaro che Giorgia Meloni si è mossa secondo l’etica della responsabilità, mettendo sui due piatti della bilancia sia la palese ingiustizia di lasciare libero un criminale, sia la (meno palese) ingiustizia di esporre i cittadini italiani alle conseguenze di vari tipi di possibili ritorsioni (ripresa degli sbarchi, sequestri di cittadini italiani in Libia, per non parlare degli interessi dell’ENI in quel paese). Nell’ottica di Weber, stupefacente e discutibile sarebbe stato che il governo avesse agito secondo l’etica della convinzione, anziché secondo quella della responsabilità. Se le cose stanno così, a maggior ragione sembrerebbero porsi gli altri interrogativi: perché non proclamare le proprie ragioni davanti ai cittadini? Perché non adottare una postura trumpiana? Perché tanta reticenza e ipocrisia?

Anche qui la sociologia ha molto da dire, benché non sia stata certo la prima a farlo. Secondo Jon Elster, uno dei più grandi scienziati sociali del Novecento, l’ipocrisia praticata nella scena pubblica ha una fondamentale funzione di coesione sociale, di irrobustimento delle istituzioni, di rafforzamento di valori positivi condivisi. A suo modo, e paradossalmente, funziona come una “forza civilizzatrice”. Il cattivo che ipocritamente si finge buono, proprio attraverso quella finzione proclama il valore della bontà. È esattamente quello che, quattro secoli fa, aveva intuito François de La Rochefoucauld con il suo fulminante aforisma: “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio tributa alla virtù”. Il vizioso che si finge virtuoso riconosce con ciò stesso il valore della virtù.

Ed eccoci al tema della mancata postura trumpiana. Perché adottare un profilo basso? Perché non maramaldeggiare assumendo atteggiamenti ostili nei confronti dei migranti detenuti in Libia?

L’interpretazione malevola è che il governo, come i governi precedenti, si vergogni degli accordi con la Libia ma in cuor suo (ammesso che un governo abbia un cuore) ne è ben felice, purché gli accordi funzionino. L’interpretazione del sociologo che ha recepito la lezione di Elster è che siamo in Europa, non in America. Il nostro orizzonte valoriale certo include la necessità di trovare una soluzione al problema della sicurezza e dei confini, ma include anche l’imperativo etico di rispettare i diritti dei richiedenti asilo. È per questo che, in Italia, nessuno – nemmeno la destra – si permette di fare la faccia feroce, come succede in America con Trump e in Germania con l’Afd di Alice Weidel. L’imbarazzo di Meloni è l’ammissione che, nell’affare Almasri, più che fare la cosa giusta il governo ha scelto il male minore, nonché l’implicito riconoscimento che i campi di detenzione in Libia sono un problema, e non da oggi (già nel 2018 ne diedero un resoconto illuminante Franco Viviano e Alessandra Ziniti in Non lasciamoli soli, Chiare Lettere).

Forse è questo il motivo per cui, nonostante la maggioranza degli italiani non approvi il comportamento del governo in questa vicenda, il consenso alla premier e al suo partito restano alti, se non in ulteriore ascesa. Segno che, almeno nei paesi mediterranei, tanto per l’opinione pubblica quanto per la classe di governo quello del rapporto con l’immigrazione resta un tragico dilemma, più che una crociata politica da intraprendere con la baldanza di chi si sente dalla parte della ragione.

[articolo uscito sul Messaggero il 2 febbraio 2025]

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