Vaccinazione, il privilegio italiano
In questi giorni di roventi polemiche sul Green Pass mi è capitato di leggere, a difesa del Green Pass stesso, che nel Regno Unito ne potrebbero fare a meno perché lì i non vaccinati sarebbero una esigua, trascurabile, minoranza, mentre da noi sarebbero un esercito.
Capisco che lo si possa credere, ma è del tutto falso. Nel Regno Unito i non vaccinati puri (nessuna dose) sono il 28.9%, da noi sono un po’ di meno (27.2%), e non molti di più come si è inclini a credere. Quanto ai doppiamente vaccinati, siamo in perfetta parità con il Regno Unito, a un soffio dal 65%.
Ma c’è di più. Gli altri due paesi modello, Israele e Stati Uniti, lodati per tanti mesi dai media di tutto il mondo, hanno anch’essi meno vaccinati dell’Italia: 63.3% di pienamente vaccinati in Israele, e appena il 53.0% negli Stati Uniti. Né le cose vanno tanto diversamente se, dai paesi modello, ci spostiamo su paesi più ordinari: anche Francia, Germania, Svezia hanno meno vaccinati di noi. Fra i paesi europei importanti, solo la Spagna ha una percentuale di completamente vaccinati decisamente superiore alla nostra (76% contro 65%).
Non saprei dire se la tendenza ad amplificare il pericolo NoVax abbia un’origine politica, o dipenda dal sensazionalismo dei media, certo è che – se ci atteniamo ai dati – tutto si può dire dell’Italia tranne che sia indietro con le vaccinazioni. Quel che dovremmo chiederci, semmai, è come abbiamo fatto a raggiungere il buon risultato che, fin qui, abbiamo conseguito. Una risposta possibile è che ci siamo liberati di Arcuri e lo abbiamo sostituito con il generale Figliuolo. Una seconda risposta è che il Green Pass è stato un efficacissimo (ancorché umiliante) escamotage dei nostri governanti: non potendo contare sul nostro senso civico, hanno puntato sul nostro bisogno di vacanze e di normalità. C’è però una terza risposta possibile, che quasi sempre si dimentica: in Italia la clamorosa mancanza di bambini e ragazzi rende molto più agevole che in altri paesi avvicinarsi a percentuali di copertura vaccinale elevate. Se non puoi vaccinare sotto una certa età, e sotto quella età ci sono quattro gatti perché le donne italiane non fanno figli, allora sei in vantaggio rispetto a paesi che, come Israele, hanno legioni di bambini e ragazzi, in quanto i tassi di fecondità femminile sono altissimi (gli under 12 sono il 10.1% in Italia, ma salgono al 23% in Israele).
Arrivati a questo punto, ci si potrebbe chiedere: se la maggior parte degli altri paesi hanno vaccinato meno dell’Italia e, a dispetto di questa circostanza, non adottano il Green Pass, perché noi ce lo infliggiamo? non potremmo sfruttare il nostro “vantaggio vaccinale” per tenere più aperta l’economia? perché limitare così gravemente la libertà di muoversi, di lavorare e di studiare?
Io penso che questa limitazione della libertà che viene imposta a una minoranza (di non vaccinati) per proteggere la maggioranza (dei vaccinati), abbia almeno due giustificazioni, una nobile e l’altra meno.
La giustificazione nobile è che, avendo avuto fin qui più morti per abitante di qualsiasi altra società avanzata (a parte il Belgio), l’Italia ha maturato delle soglie di allarme più severe di quelle di altri paesi. Non tutti lo sanno, ma in questo momento molti dei paesi cui veniamo invitati ad allinearci hanno un numero di morti per abitante molto superiore al nostro. Fatto 100 il numero di morti al giorno dell’Italia, la Spagna ne ha 160, la Francia 178, il Regno Unito 220, Israele 412, gli Stati Uniti addirittura 589 (solo la Germania sta meglio di noi, a livello 58). E cifre analoghe si potrebbero riportare per le ospedalizzazioni, o i ricoveri in terapia intensiva. In poche parole: questi meravigliosi paesi, paladini e custodi delle libertà individuali, stanno pagando un prezzo molto più alto del nostro sul terreno della salute.
C’è anche una giustificazione meno nobile, però. I nostri governanti sanno perfettamente che i prossimi 6 mesi saranno tremendi, perché vedranno l’alleanza (inedita!) fra variante delta e stagione fredda, con conseguente drastica riduzione del tempo di vita all’aperto e moltiplicazione delle interazioni negli ambienti chiusi. Ma sanno pure di non aver fatto quasi nulla sui tre versanti fondamentali: ricambio dell’aria nelle scuole, trasporti pubblici, protocolli di cura domiciliare. E’ quindi naturale che, temendo il peggio, si cautelino imponendo più restrizioni di quelle che appaiono immediatamente logiche e giustificate (anche se, voglio dirlo, trovo un po’ vile aspettare il voto di ottobre per renderle effettive).
Temo che il problema, e la difficoltà di prendere partito pro o contro il Green Pass, stia tutto qui. Per quanto mi riguarda, capisco molte delle obiezioni che i critici del Green Pass, a partire da molti miei colleghi docenti universitari, rivolgono al governo. Ma non posso non notare che, per non sentirci ora costretti ad accettare il Green Pass, avremmo dovuto prepararci da molto tempo a fare tutte le cose che (forse) lo avrebbero reso superfluo, e che nessun governo ha voluto fare. E ancor meno posso dimenticare che, nella battaglia per fare in tempo utile tutto ciò che andava fatto, siamo stati – chiunque fosse al governo – una piccolissima minoranza. Forse, se il mondo dell’università si fosse mobilitato allora, e lo avesse fatto con la forza che deriva dallo studio, dalla cultura e dall’indipendenza di giudizio, oggi non saremmo a questo punto.
Pubblicato su Il Messaggero del 17 settembre 2021