Ringraziamo l’avversario intelligente
In primo pianoSocietàUn texano bianco di una grassezza oscena che ostenta una sgargiante t-shirt raffigurante il volto di Donald Trump e un berretto da baseball con i colori della bandiera americana e che attribuisce la vittoria di Biden ad una colossale manipolazione delle macchine per la registrazione dei voti ad opera di George Soros; un salviniano dall’accento greve che esprime con frasi truci e sgrammaticate il suo rifiuto ad accogliere nuovi migranti; una giovane donna proletaria del nord dell’Inghilterra, scollacciata e sbracciata a mostrare un panorama ininterrotto di tatuaggi, che, sigaretta in una mano e hamburger nell’altra, dichiara di aver votato per la Brexit perché stufa di sentir parlare polacco nelle strade del suo quartiere.
Queste sono fra le tante immagini caricaturali che numerosi articoli di stampa, programmi televisivi, siti web, nonché un numero consistente di politici, si ostina a proporre al pubblico, con il sottinteso messaggio “ecco, sono gli imbecilli come questi ad opporsi al radioso avvenire che noi, i buoni, gli istruiti, vi promettiamo”. Il personaggio ignorante e volgare che viene mostrato come tipico di una certa tendenza non rappresenta solo l’avversario politico da combattere sul piano delle idee: è il Nemico, l’incarnazione stessa del male, e come tale dev’essere esposto al pubblico ludibrio. Intervistare trumpiani vestiti sobriamente e in grado di giustificare razionalmente la propria scelta elettorale, salviniani dai toni sommessi e portatori di almeno alcune istanze convincenti, Brexiteers che presentano discorsi lucidi e ben formulati … tutto ciò significherebbe venir meno al proprio dovere di crociati ed insinuare nel lettore/spettatore il dubbio che tutto sommato queste persone abbiano qualcosa di non del tutto inaccettabile da dire.
Certo i canali di informazione di proprietà privata e pertanto non soggetti agli stessi obblighi di imparzialità imposti alle emittenti pubbliche (va detto comunque che tali obblighi vengono assai spesso aggirati con metodi più o meno sottili) sono liberissimi, se vogliono, di presentare macchiette anziché esseri umani – anche se, così facendo, non dimostrano certo né una grande professionalità né il rispetto dovuto al pubblico, che deve essere informato e non manipolato. E fa comunque sorridere che non di rado il ricorso alle macchiette sia opera proprio di quei politici e giornalisti che normalmente si sgolano a cantare le lodi della diversità e a condannare senza quartiere ogni forma di odio, pregiudizio, stereotipo, e chi più ne ha più ne metta.
I problemi però non finiscono qui. Presentando l’avversario politico in forma deformata e parziale, politici e giornalisti fanno torto non solo al pubblico, ma anche, alla lunga, a se stessi, mettendo a forte rischio la propria credibilità. La gente non è così stupida: alla maggior parte di coloro che vivono nel mondo reale capita prima o poi di incontrare persone che risultano non conformi al cliché presentato, e a forza di vederle, di parlare con loro, si comincia a mettere in dubbio la caricatura. Senza contare che i tempi cambiano: con l’emergere di nuove problematiche sociali e politiche l’eccentrico, l’estremista, il paria di ieri possono facilmente diventare i protagonisti accettati, e talvolta riveriti, del presente. Pensiamo per esempio agli anni Sessanta e a come l’immagine di certi gruppi è radicalmente cambiata nella sua rappresentazione pubblica. Le femministe erano bollate da gran parte della stampa borghese come lesbiche isteriche; oggi molti degli stessi giornali ospitano regolarmente rubriche di denuncia del sessismo in tutte le sue forme. Gli omosessuali erano dipinti come, al meglio, malati, e al peggio, pervertiti i cui ambienti venivano regolarmente qualificati di “squallidi”; oggi chi non approva il matrimonio gay è considerato un cavernicolo di estrema destra. I giovani, e in particolare gli studenti, erano capelloni scansafatiche che acchiappavano al volo ogni scusa per non studiare; oggi gli stessi organi si distinguono per un acritico, patetico giovanilismo mirato chiaramente a non perdere lettori tra le nuove generazioni. Gli ecologisti erano derisi per le loro rivendicazioni, per il loro stile di vita e financo per le loro usanze alimentari; oggi si parla in continuazione di lotta ai cambiamenti climatici, di buoni-bicicletta, di città verdi, e vengono portati alle stelle i locali che offrono cucina vegana.
Forse a molti responsabili dei media questa perdita di credibilità importa ben poco: quel che conta (molto più della coerenza) sono le tirature, sono gli indici d’ascolto attuali, e ciò che è stato detto in passato per superficialità, ignoranza, conformismo può essere comodamente ribaltato senza patemi d’animo. Diverso è però il discorso per i politici: ingannarsi sul merito di certe argomentazioni dell’avversario (anzi, come si è detto, del Nemico) può costare molto in termini di consensi e talvolta portare ad un declino difficilmente recuperabile. E’ insomma pericoloso credere alla propria propaganda: eppure è tangibile, un po’ ovunque nel mondo occidentale, questa ostinazione a sottovalutare le ragioni chi non la pensa come noi, a crederlo nulla più che un cretino o una canaglia e ad illudersi che basti martellare il proprio messaggio perché ad un certo punto esca dalla scena con la coda tra le gambe.
Non è tutto. Anche chi comprende che l’opposizione non è da sottovalutare si riterrebbe comunque fortunato se, al posto dell’avversario agguerrito e capace, a fronteggiarlo ci fosse sempre un imbecille incapace di argomentazioni serie. Errore! In un confronto politico democratico, l’ultima cosa da augurarsi sono proprio i rivali di questo genere. Certo, all’inizio questi ultimi verrebbero sbaragliati senza grossi sforzi, si canterebbe vittoria… ma poi? A poco a poco, a forza di ricevere consensi si finirebbe per adagiarsi sugli allori, si perderebbe la capacità di valutare seriamente e spassionatamente il proprio operato, si rinuncerebbe a prendere atto delle nuove realtà sociali. E a questo punto, prima o poi, si perderebbe e ci si vedrebbe costretti a ricominciare da capo, con in più lo svantaggio di essere ormai disabituati a fare autocritica.
Si diventerebbe cioè come gli scolari ai quali il maestro dà sempre dieci anche quando meritano l’insufficienza, che in tal modo non riusciranno mai ad imparare seriamente. In politica, come nella vita, come a scuola, occorre trovarsi di fronte a sfide abbastanza impegnative da costringere a fare uso della propria intelligenza, evitare di impigrirsi, attrezzarsi per il confronto. Qui è forse utile un paragone con gli sport di squadra. Capita ogni tanto che per vari e imprevisti motivi una formazione calcistica trovi il campo sgombro da ogni rivale minimamente credibile e che continui così a vincere una partita dopo l’altra, conquistare coppe e scudetti a ripetizione. Tifosi contenti, finanziatori pure … senonché ad un certo punto, a forza di vittorie facili, la motivazione si fa sempre più fiacca, la concentrazione pure, l’allenamento viene preso un po’ sottogamba, la grinta si attenua, e così fino a quando i rivali rientrano in scena abbastanza ringalluzziti da dover essere presi veramente sul serio. Da questo momento è facile che comincino le sconfitte, e la stagione d’oro sarà ormai soltanto un bel ricordo.
Conclusione: un’opposizione che dà filo da torcere, un campo seminato di ostacoli, una serie di sfide impegnative e vissute come tali, sono non una sfortuna, bensì una benedizione. Solo in situazioni che impediscono l’autocompiacimento e la pigrizia mentale è possibile realizzare i progetti che ci stanno a cuore. Ringraziamo l’avversario intelligente. Per favore.