Quando il pandemically correct uccide
Contrordine, compagni: il virus non si prende più per contatto con le superfici infette!
La strabiliante quanto inquietante notizia non viene da un qualche oscuro sito negazionista né da un tweet di Trump sfuggito alla censura, ma nientemeno che da Nature, la più importante rivista scientifica del mondo.
In un articolo uscito il 4 febbraio scorso (Covid-19 rarely infects through surfaces. So why are we still deep cleaning?, in “Nature”, vol. 590, pp. 26-28), Dyani Lewis, spiega come diverse ricerche, a cominciare da quella del microbiologo statunitense Emanuel Goldman (Exaggerated risk of transmission of Covid-19 by fomites, in “The Lancet Infectious Diseases”, vol. 20, n. 8, pp. 892-893), hanno dimostrato che gli esperimenti da cui sembrava risultare che toccare superfici contaminate dal virus (in gergo medico dette “fomiti”) poteva essere causa di contagio erano «esperimenti che iniziavano con quantità di virus immense, niente che potreste incontrare nel mondo reale», oppure «avevano usato finta saliva e condizioni controllate come l’umidità e la temperatura, tutte cose che allargavano ulteriormente la distanza tra condizioni sperimentali e reali».
Nel “mondo reale”, invece, risulta a oggi soltanto un caso di contaminazione certa attraverso superfici e un altro sospetto, ma con più probabilità di essere falso che autentico.
Non sta qui, tuttavia, il vero motivo di preoccupazione: dopotutto, la scienza per sua natura procede per prove ed errori e solo chi non la conosce può indignarsi per questo.
La cosa davvero inquietante è che in precedenza erano già stati fatti molti esperimenti su virus analoghi, che avevano sempre dato lo stesso univoco risultato: i virus aerei si trasmettono, appunto, per via aerea e non per contatto con le superfici. Ma, come nota Lewis, «tali studi sono considerati “unethical” per SARS-CoV-2, perché quest’ultimo può uccidere», il che però è palesemente un pretesto, perché la maggiore o minore letalità di un virus non ha nulla a che vedere con le sue modalità di trasmissione.
La vera ragione di tale atteggiamento è infatti da rintracciarsi nella dittatura del “pandemically correct”, di cui ho parlato nel mio ultimo articolo, uno dei cui dogmi è che “il virus del Covid è un virus assolutamente nuovo di cui non sappiamo praticamente nulla”, affermazione che se non fosse tragica (per le conseguenze che determina) sarebbe ridicola, dato che il virus del Covid è molto simile agli altri Coronavirus già noti e, in particolare, a quello, studiatissimo, della SARS (non per nulla, il suo nome scientifico completo è SARS-CoV-2).
Ma niente: si era deciso a tavolino che questa “doveva” essere una vicenda epocale (“niente sarà più come prima”) che richiedeva di fare “cose senza precedenti”, per cui bisognava ricominciare tutto da capo. E così, mentre si aspettava che i nuovi esperimenti riscoprissero l’acqua calda, per mesi si è continuato a dare indicazioni sbagliate, inducendo e spesso anche obbligando la gente ad adottare misure preventive tanto costose (solo negli USA, nel 2020 la spesa aggiuntiva per l’acquisto di prodotti disinfettanti è stata di oltre un miliardo di dollari) quanto sostanzialmente inutili.
La cosa più grave, tuttavia, non sono neanche i soldi buttati dalla finestra, ma il fatto che l’irragionevole insistenza su pericoli inesistenti ha portato a sottovalutare il vero fattore di rischio, che è la trasmissione per via aerea in ambienti chiusi, contro cui le mascherine certo aiutano, ma non bastano, come già si sapeva dall’esperienza fatta con altri virus aerei, la cui utilizzazione nel caso del Covid, però, è stata evidentemente considerata anch’essa “unethical”. È difficile quantificare esattamente quante vite che si sarebbero potute salvare siano state in tal modo sacrificate sull’altare del pandemically correct, ma di certo sono moltissime, tanto più se consideriamo che tale fenomeno non si è verificato solo negli USA, ma in tutto l’Occidente.
Molto inquietante, infine, è anche il fatto che il CDC (US Centers for Disease Control and Prevention) ha via via ridimensionato l’affermazione iniziale fatta a marzo che le superfici contaminate fossero la principale via di diffusione del virus, dicendo a maggio che «non erano considerate la via di diffusione principale» e ora che «non sono considerate una via di diffusione comune», eppure non ne ha mai tratto le logiche conseguenze, non modificando mai la sua indicazione iniziale sulla necessità di disinfettarle,
Eppure, come scrive ancora Lewis, al momento della pubblicazione dell’articolo, cioè dopo quasi un anno dall’inizio dell’epidemia, ancora «il CDC non ha risposto alle domande di Nature circa le contraddizioni nelle sue dichiarazioni sui rischi posti dalle fomiti».
A quanto pare, la reticenza nel render conto del proprio operato da parte delle autorità sanitarie non è un malcostume soltanto italiano. E ciononostante continuano a ripeterci che l’unico disinformatore è Trump…