Il diario della talpa. Sesto episodio

6. IL MISTERO DELLA NON-LETTURA

Non ho letto molto. Che strano, in questo tempo immenso che ci è stato aperto forzosamente ho avuto poca voglia di leggere. Soprattutto all’inizio, i primi quindici giorni. E anche adesso mi viene poco, proprio ora che avrei tutto il tempo leggo raramente. Mi dicono che anche per altre talpe è stato così.

La gente intorno a noi non ci può credere, e quasi s’indigna: Ma come, proprio voi talpe non leggete? Già. Trionfa il luogo comune per cui se sei talpa ti piace leggere, vivi per leggere, non fai altro nella vita. È vero, un po’ è così. Siamo talpe anche per questo, perché in genere leggiamo davvero parecchio. E ora no. Chiusi nella nostra tana, abbiamo poca voglia di stare fermi con un libro sulle ginocchia.

Forse il punto è proprio questo: non abbiamo voglia di star fermi.

Sentiamo un enorme bisogno di fare.

Facciamo di tutto, in questi giorni. Anche cose che non abbiamo mai fatto o pensato di fare. Attacchiamo chiodi. Strappiamo erbacce, viti vergini, edere rampicanti. Mettiamo in ordine cassetti, foto, scarpe, vernici, cacciaviti, pennarelli. Dividiamo i maglioni pesanti dai maglioni leggeri, i quaderni a quadretti dai quaderni a righe, i tovaglioli col pizzo da quelli senza pizzo. Distinzioni inutili, lavori capziosi e vani. Facciamo la pasta in casa, tagliatelle, gnocchi, ravioli ripieni. Torte di mele, biscotti, budini, tarte tatin, crostate. Stiriamo camicie, fazzoletti, lenzuola. Ripuliamo il garage, lo svuotiamo di centinaia di cose vecchie che negli anni abbiamo senza pietà ammassato. Ripariamo rubinetti, vecchie bici, moto, lavatrici, battitappeto e macinini del caffè, tutti aggeggi che non useremo mai più. Ripariamo con cura ogni sorta di oggetto, che abbiamo da anni lasciato rotto, malfunzionante, arrugginito (daremmo volentieri l’antiruggine a qualsiasi cosa, se solo ne avessimo un barattolo). Laviamo tende che non abbiamo mai lavato. Buttiamo via carte bancarie di vent’anni fa, soprammobili ammuffiti che non ci sono mai piaciuti ma abbiamo tenuto per ricordo della zia, del nonno. Cambiamo lampadine fulminate che abbiamo per mesi lasciato spente, rammendiamo calzini… Mai, mai abbiamo rammendato calzini! E ora si può sapere cosa ci prende?

Facciamo di tutto, pur che si tratti di fare. Ma leggere no.

Tutto ciò è molto sorprendente e inatteso. Non ce lo aspettavamo, di non essere capaci, proprio ora, di goderci una lettura. Lo facciamo, sì, ma a sprazzi. In modo intermittente e distratto. Leggiucchiamo. Bazzichiamo da un libro all’altro. Non riusciamo a soffermarci, a condurre alla fine un libro. O almeno, alcuni di noi non ci riescono.

Credo che questo voglia dire qualcosa di importante. Ad esempio che la lettura, una delle attività principali della nostra vita interiore, appartiene a tempi dorati e felici. O meglio, a tempi neutri e piatti: a mari serenamente non increspati.

Forse solo ora ci appare chiaro che leggere è qualcosa che si può fare solo in tempi di quiete. Ci vuole uno stato di serenità e pace in noi, ma anche fuori di noi, nel mondo circostante, per poter leggere un libro. Un tempo di sospensione assoluta, dove nessuna preoccupazione incrini la nostra stabilità emotiva. Direi uno stato di assenza, di vuoto, sia nel bene che nel male: né dolore né gioia, né infelicità né felicità. Meno che mai ansia.

Ci vuole anche meno tempo libero. Lo so che è paradossale. Ma se il tempo libero si estende a dismisura e copre l’intera nostra giornata, non è più un tempo libero: è un tempo morto, inerte e piatto. Per leggere ci è necessario combattere, conquistarci ogni giorno una fetta di libertà, anche piccola, con le unghie e coi denti. Dieci minuti qua, una mezzoretta là. Dobbiamo sentire che non ci è dato, quel tempo, che qualcuno si oppone e quasi ce lo vie ta, di leggere. Dobbiamo sentire che la lettura è un tempo strappato a tutto il resto. Ma se ci viene a mancare, quel resto…?

Forse il lavoro ci serve anche a questo: è la costrizione necessaria a ritagliarci un lembo di libertà.

Invece noi adesso abbiamo troppo tempo. Abbiamo giornate che si dilatano senza fine, laghi immensi senza onde e senza argini. E non abbiamo, per contro, quel vuoto di emozioni, quella pace atarassica di cui avremmo bisogno per leggere.

Siamo animali spaventati.

Abbiamo paura.

Un animale che ha paura non si mette sul divano a leggere. È inquieto. Si agita, non sta un minuto fermo. Forse questo nostro disperato fare è un modo di fuggire: se siamo stati messi in gabbia, come noi ora siamo, e non vediamo un varco, l’unico modo di fuggire è metterci a fare qualcosa. Usare le mani, non la mente.

Tagliare legna andrebbe benissimo, per esempio.

Mi viene in mente Tolstoj, che un po’ scriveva, un po’ tagliava legna. L’una attività serviva all’altra. Ora che ci hanno tolto il tagliare legna, non abbiamo più voglia di leggere.

Ridateci la legna da tagliare, e noi ricominceremo a leggere.

Ridateci un lavoro da cui scappare, e noi torneremo liberi.

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