Un anno decisivo
Nel momento in cui si chiude l’anno più triste dalla fine della seconda guerra mondiale (se non dall’Unità d’Italia), è naturale cercare di intravedere una luce in fondo al tunnel in cui siamo finiti.
Sarebbe bello poter pensare che, di qui alla fine dell’anno prossimo, le cose si raddrizzino sui due fronti fondamentali: controllo dell’epidemia e ripresa economica. Difficile, in questa situazione, non inclinare verso una delle due posizioni fondamentali: adesione all’ottimismo istituzionale, che promette rinascita e oculati impieghi dei soldi promessi dall’Europa, o scetticismo dettato dall’esperienza e dalla consapevolezza dei nostri limiti.
Non voglio nascondere che, fra le due posizioni, mi sento più vicino a quella scettica. Ma, anziché provare a spiegare perché, preferisco fare un altro esercizio. Voglio immaginare che abbiano ragione gli ottimisti, e che tutto o quasi tutto, o comunque molto, vada per il verso giusto, lasciando a chi legge di valutare quanto tale scenario ottimistico sia verosimile.
Dunque, che cosa deve succedere perché le cose procedano nella direzione che tutti auspichiamo?
Cominciamo dalla salute, provando a tracciare qualche scenario.
Dopo le vacanze si scopre che i ricongiungimenti familiari non hanno prodotto grossi danni, il numero di morti scende rapidamente sotto i 100 al giorno, il quoziente di positività – che ora è intorno al 25%, come un mese fa – si riduce sensibilmente, riportandosi in prossimità dell’1%, come in estate (piccola precisazione: il quoziente che conta è quello fra nuovi casi e soggetti testati, non quello fra nuovi casi e numero dei tamponi, che è falsato dai tamponi di verifica).
Il Governo denuncia la politica delle Regioni, che nell’ultimo mese e mezzo, anziché aumentare il numero di soggetti sottoposti a tampone, ne hanno più che dimezzato il numero (uniche eccezioni: Marche, Sardegna, Veneto). Le Regioni si adeguano, e tornano a fare almeno il numero di tamponi che facevano a metà novembre. Buona parte dei medici di base vengono dotati di dispositivi di protezione individuale adeguati, in modo che possano visitare i propri pazienti, sottoporli a tampone, e curarli secondo protocolli condivisi.
Il governo decide di quadruplicare il numero di addetti al contact tracing, allineandosi agli standard dei paesi virtuosi. I soggetti positivi vengono isolati dai familiari, grazie a una rete di Covid-hotel. Le università e le istituzioni private vengono coinvolte in un piano per rafforzare il sequenziamento del virus, in modo da poter scoprire tempestivamente l’eventuale comparsa di varianti pericolose.
Nonostante le difficoltà iniziali, le vaccinazioni procedono secondo le promesse, ossia al ritmo di 1 milione alla settimana. Le aziende produttrici di vaccini su cui l’Italia ha investito di più superano le attuali difficoltà, e ottengono l’autorizzazione alla commercializzazione. Il numero di dosi acquisite dall’Italia è sufficiente a garantire il raggiungimento dell’immunità di gregge entro l’anno.
Le scuole riaprono, perché governo, regioni e comuni sono riusciti a rafforzare il trasporto pubblico e a modulare gli orari di ingresso e uscita. Ogni scuola è dotata di termoscanner e apparecchi di deumidificazione dell’aria (come previsto da leggi del 1975 e del 1977).
E ora passiamo all’economia.
Le previsioni di caduta del Pil 2020 dei maggiori organismi internazionali si rivelano errate, e si rivela giusta quella dell’Istat: “solo” -8.9% la contrazione del 2020.
Nel 2021 i lockdown sono rari e circoscritti, perché il contact tracing funziona e il quoziente di positività resta vicino all’1%.
Dopo la fine del blocco dei licenziamenti (31 marzo 2021), le imprese sopravvissute riprendono ad assumere, recuperando rapidamente il tempo perduto durante la lunga fase di “pietrificazione dell’economia”.
Con grande sorpresa di molti economisti, la manovra di bilancio – pur essendo basata su un aumento della spesa corrente – riesce a sospingere la ripresa economica: l’Italia cresce al ritmo del 4%, e in un solo anno recupera quasi la metà delle perdite subite nel 2020.
I soldi europei arrivano prima del previsto, e vengono spesi per investimenti produttivi, secondo la dottrina del “debito buono” a suo tempo enunciata da Draghi (meeting di Rimini dello scorso agosto). I partiti di governo smettono di litigare e paralizzarsi a vicenda, l’opposizione coopera alla definizione delle priorità di investimento.
Nonostante il rapporto debito/Pil sia prossimo al 160%, i mercati finanziari si fidano dell’Italia e, confortati dal buon uso dei fondi europei e dalle nostre prospettive di crescita, ci prestano denaro a tassi ragionevoli.
L’umore del paese cambia, un rinnovato spirito di ricostruzione sostituisce il cupo pessimismo di fine 2020.
Fantascienza?
O ragionevole prospettiva per l’anno che viene?
Ognuno giudichi da sé.
Pubblicato su Il Messaggero del 31 dicembre 2020