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Rubrica A4 – Occidente. L’equilibrio spezzato

23 Settembre 2024 - di Dino Cofrancesco

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In un magistrale saggio del 2006, Comunitari o liberal (Ed. Laterza), Marcello Veneziani vedeva nella contrapposizione tra comunitari e liberal la frattura epocale del nostro tempo. “Qual è il nocciolo dei liberal? L’idea di emancipazione, di liberazione dai legami, nel progetto di un’umanità. Un’idea che si coniuga con la deterritorializzazione, il superamento dei confini, l’universalismo”. “Il comunitario è colui che assegna importanza al comune sentire, ai riti, le usanze e i costumi di un popolo. Importanza non sociologica o folcloristica, ma vitale, come modelli di riferimento per orientarsi”. “Il comunitario si sente il figlio di una patria, per il liberal la propria patria è il tempo”. “Il comunitario ama la varietà e diffida della precarietà; il liberal preferisce la variabilità e non ama le differenze. Varietà è la diversità in senso spaziale, variabilità è diversità in senso temporale”. Meglio non si poteva dire. E tuttavia sfugge sia ai tradizionalisti (comunitari) sia agli illuministi (liberal) il ‘segreto dell’Occidente’ ovvero la capacità di tenere in equilibrio passato e avvenire, libertà e appartenenza: Edmund Burke—il principe dei conservatori inglesi– e Voltaire—il decano gli illuministi francesi–, la Nazione e l’Umanità. Si potrebbe parlare di ‘individualismo comunitario’ contrapposto all’individualismo libertario (che ho criticato nel saggio Per un liberalismo comunitario Ed. La Vela) per designare un individualismo che esalta la creatività, la libertà, l’ambizione dei cittadini ma le pone al servizio dello stato (nazionale o imperiale)—v. i grandi esploratori, i capitani d’industria, gli eroi di guerra, gli scienziati che, con le loro scoperte, accrescono la forza e il prestigio della comunità, i grandi artisti che, con le loro opere, ne esaltano la storia, i paesaggi, le tradizioni. I protagonisti della storia e della cultura universale erano grandi individualisti, che alle nuove vie da loro aperte al genere umano avevano dato la forte impronta della loro personalità. Le nuove vie erano diverse–e spesso confliggenti—da quelle percorse da tempo immemorabile– ma finivano per comporre una rete ideale in cui conservatori e innovatori trovavano posto e riconoscimento.

Nel memorabile Discorso agli elettori di Dronero del 1899, un grande statista, che non era certo un filosofo politico, Giovanni Giolitti, rilevava come “in tutte le assemblee politiche esiste, una grande divisione tra coloro che vogliono conservare lo stato attuale della legislazione e dei metodi di governo, e coloro che vogliono il progresso; questa grande divisione che ha fondamento nella natura umana e nelle condizioni della nostra società, non ha cessato e non cesserà mai di esistere. Ambedue le correnti politiche, conservatrice e innovatrice, hanno ragione di essere e possono a volta a volta, nei diversi periodi storici, rendere segnalati servizi al Paese”.

Questa consapevolezza della necessità di tenere insieme valori diversi dettava al Guglielmo Ferrero di Fra due mondi (Ed. Treves 1913) riflessioni che la nostra società relegherebbe nelle soffitte della storia. “Le generazioni seguenti possono possedere e conoscere un numero maggiore di modelli, se sanno conservare tutti o in parte quelli che le generazioni precedenti crearono. Solo così riusciamo a saldare insieme, pel principio del progresso, la qualità e la qualità |…| il progresso non sta solo nel creare nuove verità, nuove arti o nuove virtù, ma anche nel conservarle di generazione in generazione”

Che questa saggezza sia andata smarrita non lo dimostrano solo le avanguardie più radicali dello scientismo, dell’ateismo razionalista, del globalismo–rullo compressore delle identità–, del dirittismo universalista: è il pensiero dell’establishment culturale, economico e politico a porre una pietra tombale su quanto resta dei valori degli ultimi due secoli. Un mite scienziato politico, come Maurizio Ferrera, in un articolo scritto sul ‘Corriere della Sera’ il 2 agosto u.s.—Le libertà personali e le nuove destre—ha scritto testualmente che :patria, chiesa e famiglia sono “ valori che mal si conciliano con le trasformazioni in corso: l’apertura verso l’esterno, l’ampliamento delle opzioni di scelta individuali, il superamento delle divisioni di genere e delle discriminazioni”. A stupire non è la visione del mondo dell’editorialista neo-illuminista ma il fatto che nessuno abbia compreso il potenziale nichilismo delle sue parole. In sostanza, siamo invitati a disfarci, per andare avanti, del ‘mondo di ieri’, in cui nazione, religione e legami parentali sostenevano i civili consorzi.

Davvero un vaste programme!

Sì, il grande conflitto del nostro secolo sta nello scontro tra liberal e comunitari ma alla sua base c’è una tragedia: il taglio in due parti del calviniano visconte dimezzato e la relativa impossibilità di ricucirlo, che fa intravvedere nuove, terribili, guerre civili tra i nostalgici delle ‘radici’ e i cultori del progresso’.

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Dino Cofrancesco
Dino Cofrancesco
Arce (FR), 15 novembre 1942 Laurea in Filosofia Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche, Università degli Studi di Genova.
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