Ma il potere ama mettersi in mostra. Come spiega la Roma fascista
In primo pianoPoliticaSocietàCredo che il recente, bellissimo libro di Ernesto Galli della Loggia, Una capitale per l’Italia. Per un racconto della Roma fascista (edito dal Mulino), dia un notevole contributo alla vexata quaestio del vasto consenso di cui godette il regime di Mussolini, almeno fino al 1936 (un consenso che non è mai stato messo in dubbio dai grandi storici liberali, da Federico Chabod a Renzo de Felice). “La Roma che vediamo oggi (…) – scrive Galli – è ancora in buona parte la Roma sorta durante il fascismo come la volle Mussolini. Anche perché fu in quegli anni che la città conobbe una crescita impetuosa compiendo il salto di dimensione che le ha dato il suo volto attuale. Dai circa 700.000 abitanti del 1921, infatti, Roma passò a 1.000.000 dieci anni dopo, e nel 1941 arrivò a 1.400.000 mila, mentre nello stesso periodo il territorio urbanizzato del Comune crebbe di quasi dieci volte”.
Mussolini lasciò agli artisti e agli architetti un’ampia libertà, sicché le molte e varie costruzioni ereditate dal regime, insieme alle opere d’arte che ad esse spesso si accompagnano, hanno finito per rappresentare un capitolo centrale della vicenda artistica e culturale italiana.
A Mussolini, ricorda Galli della Loggia, occuparsi di urbanistica, ma soprattutto di architettura – “a mio giudizio la massima fra tutte le arti”, dirà in un colloquio con Ludwig – piaceva molto. Anche perché sapeva bene che da sempre modellare lo spazio e costruire un edificio rappresenta uno dei segni più tangibili del potere e della personalità di chi lo esercita; inoltre, nel suo intuito per la psicologia delle masse, Mussolini sapeva pure che poche cose colpiscono l’immaginazione di queste come la vista di uno stadio, di un ponte, di una grande strada. Nei lunghi anni del suo regime non solo dunque l’impulso a costruire fu fortissimo in ogni ambito, ma il Duce volle anche essere sempre informato minutamente, visionare e modificare, approvare ogni progetto di qualche importanza. Di qui opere grandiose come la via dei Fori Imperiali, e l’imponente città universitaria, alla quale lavorarono i migliori architetti di allora, per citare solo due costruzioni straordinarie, alle quali molte altre dovrebbero essere aggiunte.
Galli della Loggia mette giustamente in rilievo la profonda differenza, in campo urbanistico-architettonico, fra fascismo e nazismo: perché (“con buona pace della storiografia che mette tutto sullo stesso piano”) ciò che fece la differenza del nazismo rispetto al fascismo fu la personalità diversa di Hitler e di Mussolini. Il primo, “digiuno di ogni frequentazione sociale che non fosse quella di un’accolta di fanatici e di deracinés”, impose i propri gusti a tutta la cultura tedesca; Mussolini, invece, sorretto da una vasta conoscenza di idee, persone, ambienti, maturata negli anni del suo socialismo, e istruito nelle materie artistiche dalla sua lunga relazione con l’intelligentissima e competentissima Margherita Sarfatti, fu abbastanza capace di ‘stare a sentire’.
A un certo punto del suo libro Galli della Loggia si chiede: si può dunque affermare che il fascismo ha fatto anche cose buone (ciò che provoca l’immediata protesta dei custodi dell’antifascismo duro e puro)? E risponde: “Penso proprio di sì: oggettivamente significa che il fascismo ha fatto anche. cose buone”. D’altro canto, non esiste un governo per quanto pessimo che in vent’anni non faccia anche qualcosa di buono, cioè di utile, e il fascismo non fa eccezione. Naturalmente ciò non significa dimenticare le molte cose cattive, anzi pessime, fatte dal fascismo: dalla soppressione delle libertà civili e politiche, alle leggi razziali, all’alleanza col Terzo Reich, all’entrata in guerra.
Giuseppe Bedeschi
(Versione completa di articolo uscito su “Il Giornale”, domenica 29 dicembre 2024)