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Lega e Forza Italia, la fusione fredda

9 Giugno 2021 - di Luca Ricolfi

In primo pianoPolitica

Non appassiona per niente il balletto che, da qualche giorno, Forza Italia e Lega stanno inscenando intorno all’ipotesi di fondersi o federarsi. Ed è giusto così: tutto, infatti, si sta svolgendo senza alcun coinvolgimento di militanti ed elettori, senza alcun vero confronto di idee e programmi, senza alcun dibattito sul futuro dell’Italia e sulle cose da fare.

Che il gioco in atto appassioni solo i parlamentari e le nomenklature di partito non significa, però, che l’esito di tali manovre non abbia ripercussioni anche su di noi.  Quel che accadrà in queste settimane, infatti, cambierà l’offerta politica e, per questa via, potrà produrre conseguenze per tutti.

Vediamo, dunque, di che cosa stiamo parlando. A dar credito alle dichiarazioni ufficiali, la proposta di federare Lega e Forza Italia sarebbe venuta da Salvini, e Berlusconi la starebbe valutando.

Ma è un racconto fuorviante: la realtà è che l’idea di conferire Forza Italia alla Lega risale a due anni fa, e si deve a Berlusconi stesso, che ebbe ad avanzarla in una riunione dei parlamentari azzurri a Palazzo Grazioli. Era il 12 giugno del 2019, Forza Italia veniva da un risultato deludente alle Europee (8.8%), i sondaggi la davano al 6%, e Berlusconi dichiarava: “Forza Italia è destinata a stare con la Lega o attraverso un’alleanza o con una fusione (…). Con Salvini sono in costante contatto. Mi è sembrato interessato a ragionare sull’ipotesi di una federazione di centrodestra”.

Le cronache dell’epoca (2 anni fa esatti) raccontano che, in quella occasione, Berlusconi aveva addirittura calcolato i seggi uninominali conquistabili, e commissionato ben tre sondaggi per la scelta del nome: Centrodestra unito in caso di partito unico, Centrodestra italiano in caso di federazione. Alla fine quest’ultimo nome gli era parso il più promettente, perché i sondaggi gli attribuivano la capacità di aumentare del 25% i voti.

E’ anche il caso di ricordare che, nei due mesi successivi, avvengono alcuni cambiamenti decisivi dentro e intorno a Forza Italia. Il 19 giugno Giovanni Toti e Mara Carfagna vengono nominati coordinatori di Forza Italia, con il compito di riorganizzare il partito e modificarne lo statuto, anche in vista di un congresso da tenersi a settembre.

Non essendo addentro alle faccende di Forza Italia, non ho idea delle ragioni per le quali questa operazione, nel giro di poco più di un mese, ebbe ad incepparsi. Sta di fatto che, già ai primi di agosto del 2019, il piano salta e Giovanni Toti avvia la costruzione di Cambiamo!, piccola formazione politica cui nel tempo aderiranno diversi big di Forza Italia (fra gli altri Paolo Romani e Gaetano Quagliariello), fino alla recentissima confluenza di varie sigle e persone in Coraggio Italia, il partito fondato dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro.

In breve: il progetto di fusione con la Lega è farina del sacco di Berlusconi, risale a ben due anni fa, ed ha già provocato la formazione di un’area di resistenza alla fusione stessa, area attualmente capeggiata da Toti e Brugnaro.

Ma veniamo al punto. Perché si torna a parlare di fusione?

Difficile rispondere con sicurezza. Per quanto riguarda Berlusconi, la mia sensazione è che, più che la (ingenua?) speranza di essere candidato alla presidenza della Repubblica, conti l’esigenza di sistemare le cose della sua vita, in un tempo in cui la salute è malferma e il futuro è incerto. Forse non è un caso che la prima idea di consegnare Forza Italia alla Lega maturi, un paio di anni fa, in un periodo in cui Berlusconi prepara o conclude altre liquidazioni, come la cessione del Milan ai cinesi, o di Panorama a “La Verità”, o la chiusura della sede romana del Giornale. Insomma: mi pare comprensibile che, non avendo trovato un leader in grado di succedergli, Berlusconi trovi più onorevole mettere il suo suggello a un marchio nuovo di zecca che assistere mestamente al tramonto del suo giocattolo.

Per quanto riguarda Salvini, ci sono almeno tre ragioni, due buone e una meno, per guardare con interesse alla annessione con Forza Italia. La prima è che “a caval donato non si guarda in bocca”, posto che Berlusconi non pare richiedere contropartite significative. La seconda è che la ibridazione con Forza Italia non può che rafforzare  la credibilità della Lega in Europa. La terza è che, agli occhi di Salvini, una eventuale fusione con Forza Italia potrebbe allontanare lo spettro del sorpasso da parte di Fratelli d’Italia, con conseguente passaggio della leadership del Centrodestra da lui stesso a Giorgia Meloni.

Ma è un calcolo ben fondato?

Io ne dubito. Trent’ anni di analisi dei flussi elettorali permettono, infatti, di azzardare due previsioni piuttosto solide: primo, la somma dei voti dei due partiti diminuirà; secondo, i voti perduti resteranno nel centro-destra (secondo la dottrina della “fedeltà leggera”, copyright Paolo Natale).

Dunque la domanda è: dove andranno i voti perduti?

Fondamentalmente verso due destinazioni. La prima è la galassia di centro, dove sarà interessante capire chi sarà più lesto ad acciuffarli (potrebbe essere Coraggio Italia, ma anche Azione di Carlo Calenda, se si posizionerà sufficientemente lontano dal Pd). La seconda destinazione, ahimè per Salvini, è proprio Fratelli d’Italia, che già ha il vento in poppa, e potrebbe trarre ulteriore slancio dall’arrivo di quanti non gradiranno la fusione fredda fra Lega e Forza Italia.

Insomma, se lo scopo è impedire a Giorgia Meloni di assumere la guida del centro-destra, la fusione non sembra l’arma più appropriata. Quanto allo scopo stesso, lo si può ritenere più o meno condivisibile, ma è difficile non vedere che, stante la popolarità della Meloni (di gran lunga superiore a quella di Salvini e Berlusconi), “fermare Giorgia” renderà meno e non più agevole la vittoria del centro-destra alle prossime elezioni.

Pubblicato su Il Messaggero del 7 giugno 2021

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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