L’economia dimenticata
Se scorriamo i titoli dei giornali e dei telegiornali delle ultime settimane, è inevitabile constatare che tre argomenti hanno ormai monopolizzato l’attenzione dei media e della politica: il processo a Salvini per la vicenda della nave Diciotti, la giustizia, con la questione della prescrizione, e il coronavirus (ora ribattezzato Covid-19).
La questione della prescrizione è arrivata al punto di minacciare la sopravvivenza del governo, mettendo in evidenza la incompatibilità fra Italia Viva e Cinque Stelle.
Il problema del coronavirus ha riacceso le accuse di razzismo e xenofobia che il mondo progressista riversa su chiunque non sposi la linea ufficiale, per la quale il diritto allo studio (niente quarantena preventiva per gli studenti che arrivano dalla Cina) ha la precedenza su quello alla salute. O, se preferiamo dirla in modo più filo-governativo: per le autorità preposte a gestire l’epidemia, i rischi di contagio sono così bassi che possiamo permetterci di correrli.
In tutto ciò, quel che è completamente sparito dalla scena sono i problemi dell’economia. Eppure l’economia batte alle porte.
Ci sono, innanzitutto, i problemi che fino a ieri parevano cruciali, e che ora si preferisce rimuovere. Ricordate il dramma dell’Ilva, che fino a due mesi fa pareva una questione di vita o di morte, per la salute dei cittadini di Taranto come per l’economia del mezzogiorno e dell’intero paese?
E l’Alitalia ? Una vicenda che si trascina da anni e ora è tornata alla ribalta solo perché la magistratura ha deciso di indagare una ventina di dirigenti per presunti favori illeciti a Etihad.
C’è poi la questione della revoca della Concessione ad Autostrade, un problema che si tende ad affrontare in modo ideologico, come se le scelte (o le non scelte) che si compiono non avessero pesanti ripercussioni economiche (la revoca potrebbe costare miliardi alle casse dello Stato, la rinuncia a imporre investimenti al concessionario potrebbe peggiorare ulteriormente lo stato della nostra rete autostradale).
E il MES? Qualcuno ricorda che fino a un paio di mesi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità volavano le accuse, e anche i più cauti fra gli economisti avanzavano preoccupazioni?
Tutto cancellato, tutto sottotraccia, tutto in sordina, sommerso dalle intemperanze dei politici che si sfidano sul processo al capo della Lega, sulla prescrizione, sulle misure da adottare per contrastare il contagio.
Ma non è tutto. Accanto ai problemi specifici dell’economia italiana ci sono le turbolenze che arrivano da fuori e da lontano. La crescita mondiale sta rallentando, la Brexit sta creando incertezza e instabilità, il commercio con la Cina subirà certamente una frenata.
E in questo quadro arrivano le stime di crescita per il 2020 e il 2021 della Commissione europea, che annunciano un rallentamento dell’Europa in generale, e dell’Italia in particolare. La vera notizia, per noi, è che anche nei prossimi anni, così come in quelli passati, l’Italia occupa l’ultimo posto, dietro paesi come Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda. Tutti i paesi dell’euro, secondo le previsioni, cresceranno più dell’1%, e 10 paesi (su 19) cresceranno fra il 2 e il 4%. Solo per l’Italia la Commissione prevede una crescita prossima a zero (0.3%).
Qualcuno dirà che questa è l’amara eredità del governo populista e del suo capo, quel Giuseppe Conte che aveva profetizzato che il 2019 sarebbe stato “un anno bellissimo”. Qualcun altro obietterà che, nel passaggio da giallo-verde a giallo-rosso, o da Conte 1 a Conte 2, le cose sono addirittura peggiorate, visto che per il terzo trimestre del 2019 l’Istat prevede addirittura una contrazione del Pil (-0.3%).
Ma ad entrambi, e a chi rimpiange gli anni precedenti, vorrei ricordare che il primo segno meno davanti al tasso di crescita del Pil risale al secondo trimestre del 2018, quando il timone dell’economia era ancora in mano al governo Gentiloni. Dunque, facciamocene tutti una ragione: se guardata dal lato dell’economia, l’Italia brilla per la continuità delle sue non-politiche.
Sono anni e anni che, chiunque governi, siamo ultimi in Europa. E sono anni e anni che i nostri nodi veri, dal debito pubblico alla pressione fiscale, dalla produttività all’occupazione, preferiamo non affrontarli. E ogni coronavirus che passa ci fornisce l’insperata occasione di perseverare nella nostra inerzia.