La maestra che arrotonda su OnlyFans – La scelta di Elena
In primo pianoPoliticaSocietà“Ho pensato che il mio corpo sia un bel vedere, visti i sacrifici sportivi che faccio ogni giorno, e che vederlo non dovrebbe essere gratuito”.
Così si è difesa Elena, maestra di un asilo cattolico in provincia di Treviso, beccata a vendere immagini osé di sé stessa sulla piattaforma OF (OnlyFans), ed ora sospesa dall’insegnamento. Per chi non lo sapesse OnlyFans è una piattaforma, nata nel 2016, in cui si possono esporre i propri contenuti (di qualsiasi genere, ma di fatto soprattutto immagini e video sessualmente espliciti) e farli circolare, gratis o a pagamento. Giusto per dare gli ordini di grandezza: il fatturato è sfiora i 7 miliardi di euro, i produttori di contenuti sono diversi milioni (soprattutto donne), gli utenti sono più di 300 milioni (soprattutto maschi).
I guadagni medi sono modesti, ma possono diventare considerevoli se i contenuti sono stuzzicanti e il numero di “abbonati” è elevato. La maestra in questione dice di guadagnare 1200 euro in mezza giornata, tanto quanto le dà – in un mese – l’onorata professione di educatrice di marmocchi.
La vicenda è interessante non in sé (è arcinoto che internet è una formidabile via Salaria digitale) ma per le reazioni che ha suscitato, e ancor più per la luce che getta sulla società in cui viviamo.
Le reazioni sono polarizzate, ma non bilanciate. Una minoranza (circa 1 commento su 4) mostra indignazione o sgomento: un’educatrice dovrebbe essere un esempio, se sei su OnlyFans non puoi fare la maestra; è vero che ti vedono solo gli abbonati, ma poi si viene a sapere (come in effetti è successo), e la cosa non fa bene alla classe.
La maggioranza (circa 3 commenti su 4), invece, difende l’operato della maestra, che risulta apprezzata nel suo lavoro con i bambini, e avrebbe tutto il diritto – fuori del lavoro – di fare quello che vuole. Ma la maggior parte dei difensori, più che difendere il principio libertario secondo cui “del mio corpo faccio quello che voglio”, si prodiga in esercizi di indignazione contro l’indignazione altrui: la maestra fa benissimo, immorale non è lei ma il misero stipendio che riceve; e i moralisti che la accusano sono bigotti, anzi magari sono papà registrati su OnlyFans (del resto, com’è che hanno scoperto le foto della maestra?).
Non so quanto le reazioni che ho incontrato su internet siano rappresentative, ma se dovessero esserlo dovremmo prendere atto di un fatto significativo, e cioè che nel pubblico non prevalgono le idee delle femministe radicali, ostili alla prostituzione, alla pornografia e al sexting, ma quelle della sociologa Catherine Hakim, espresse nel suo famoso libro Capitale erotico (Mondadori, 2012): le donne fanno bene a valorizzare, anche economicamente, il loro aspetto fisico e il loro fascino. È il capitalismo, bellezza!
Ovviamente ognuno può stare con chi preferisce, maestra ardita o genitori moralisti. Quel che però mi colpisce è che nessuno, almeno fra le decine e decine di commenti che ho letto, si sia chiesto che cosa avremmo detto se il mestiere in questione non fosse stato quello di insegnante ma, poniamo, quello di giudice della Corte Costituzionale, o quello di colf, o “collaboratrice familiare”. Come sociologo, non ho molti dubbi che nel caso di una giudice della Corte, una schiacciante maggioranza avrebbe deprecato che la avvenente magistrata vendesse i suoi scatti su OnlyFans, mentre nel caso della colf un’altrettanto schiacciante maggioranza avrebbe sentenziato che quel che fa fuori dell’orario di lavoro sono fatti suoi.
Questo esperimento mentale mostra che la fonte primaria dei nostri diversi giudizi non sono tanto le nostre inclinazioni morali, il nostro essere dalla parte dei moralisti-bacchettoni piuttosto che da quella degli amoralisti-libertari, quanto il prestigio delle diverse occupazioni e dei ruoli sociali connessi. Se il ruolo è prestigioso o eticamente delicato, scattano i divieti moralisti, se il ruolo non lo è scatta l’impulso libertario e tollerante del “liberi tutti”. La netta maggioranza che si schiera con la maestra, più che rivelare la nostra apertura mentale, testimonia quanto sia caduto in basso il prestigio del mestiere di insegnante.
Dobbiamo rammaricarcene?
Sì, possiamo esserne dispiaciuti. Ma non possiamo stupircene. Il processo che ci ha condotti fin qui è iniziato intorno al 1600, con la progressiva “obsolescenza del concetto di onore”, come ebbe a chiamarla oltre mezzo secolo fa in un saggio famoso Peter Berger, uno dei maggiori sociologi del XX secolo. Una obsolescenza le cui prime evidentissime tracce sono nel Don Chisciotte di Cervantes, plastica descrizione del declino degli ideali cavallereschi e dell’etica dell’onore.
La formazione dell’identità moderna, spiega Berger, non poggia più sul concetto di onore, ovvero sulla capacità di interpretare al meglio il ruolo che si ricopre, ma su quello di dignità umana, sempre più intesa come scelta libera, incondizionata e meritevole di riconoscimento, di ciò che vogliamo essere. È quello che, nel suo libro Il disagio della modernità (del 1991) il filosofo canadese Charles Taylor ha chiamato l’ideale morale dell’autenticità, per cui quel che conta non è come interpreti i ruoli che la società ti assegna, bensì quel che tu veramente sei e vuoi essere, nella vita privata così come in quella pubblica (e ora pure nello spazio metà pubblico e metà privato di internet). Con un’importante qualificazione, che spesso si dimentica: il primato della dignità umana, nella modernità pienamente dispiegata, non significa solo diritti umani e rispetto della persona, ma piena sovranità del consumatore-cittadino nella costruzione della propria identità e nella propria autorealizzazione, quali che siano le credenze e i pregiudizi altrui.
Vista da questa angolatura, la scelta di Elena assume una colorazione di ovvietà. Può scandalizzarci o entusiasmarci, ma segna con chiarezza che il corso della modernità, annunciato fin dal ’600 da Cervantes, sta giungendo al suo epilogo. Attendiamo solo, per chiudere il cerchio, che ministre, cardiologhe e suore sbarchino anche loro su OnlyFans.
[uscito sul Messaggero il 25 marzo 2025]