La Corte costituzionale rumena: un esempio di democrazia ?
In primo pianoPoliticaSocietàUn noto columnist del ‘Corriere della Sera’, alcune settimane fa, ha ricordato la distinzione fatta da Norberto Bobbio delle due libertà: la libertà negativa (posso fare ciò che voglio) che è libertà dallo Stato e la libertà positiva (il mio volere è libero) che è libertà nello Stato, di partecipare alle “decisioni pubbliche e di obbedire solo alle leggi che si è contribuito a scrivere attraverso il processo democratico”. La (irrinunciabile) democrazia liberale è la sintesi delle due libertà. In seguito, però, l’articolista cita Rousseau per rilevare che la libertà di obbedire solo alla ‘volontà generale’ pone “le basi di molti dispotismi e tra i più sanguinari”.
Mi chiedo, tuttavia,” ma cosa c’azzecca tutto questo con la libertà positiva che, presa alla lettera significa che sono i rappresentanti eletti dal popolo a fare le leggi, e chi altro, sennò?”. Il fatto è che Rousseau distingueva la volontà generale—un’astrazione ideologica partorita dalla sua mente—dalla volontà di tutti, ovvero dalla volontà espressa dagli elettori in carne ed ossa ovvero dal partito a cui hanno dato la maggioranza.
Tale distinzione tra la volontà generale e la volontà di tutti non sembra affatto sepolta nella tomba dell’autore del ‘Contratto Sociale’. Per Claudio Cerasa, ad es., la vittoria di Calin Georgescu in Romania—“viziata da un’inge-renza (russa, cinese e di gruppi criminali)”—è stata la ‘volontà di tutti’ e, pertanto, a ragione la Corte Costituzionale rumena si è vista costretta ad annullarla.
Insomma c’è democrazia quando vincono i ‘buoni’ non quando prevalgono le masse gregarie, corrotte e ingannate da “politici filorussi nostalgici del nazismo e da influencer popolari islamisti e fascisti”. In quest’ultimo caso, in virtù della divisione dei poteri–tanto cara a Mauro Zampini che, modestamente, si firma ‘Montesquieu’–, provi-deant judices ne quid res publica detrimenti capiat’ (provvedano i giudici affinché lo stato non soffra alcun danno). A questo compito istituzionale i magistrati italiani si sono già attrezzati, sin dal tempo di ‘Mani Pulite’. Sarà la democrazia giudiziaria a salvarci dalla corruttibile democrazia liberale?
Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche Università degli Studi di Genova
dino@dinocofrancesco.it
[articolo uscito su Il giornale del Piemonte e della Liguria l’11 marzo]