Intervista a Luca Ricolfi su Aldo Moro
PoliticaSocietà· Nella fine degli anni ’70 Eric J. Hobsbawn ha individuato il punto di rottura del compromesso tra politica ed economia che aveva retto la cosiddetta età dell’oro dello Stato sociale. Secondo lei, Aldo Moro, e con lui su un versante opposto Enrico Berlinguer, comprese la natura di questo momento di crisi e la sua proposta politica di allargamento dell’area di governo al Pci può dirsi un’ipotesi che nasce per fronteggiarlo?
Se proprio vogliamo periodizzare, preferisco la periodizzazione di Jean Fourastié, l’autore del celebre libro sui “Trenta gloriosi anni” dal 1946 al 1975. Sul piano della storia economica le cesure fondamentali a me paiono da un lato la crisi fiscale dello Stato, denunciata da James O’Connor fin dal 1973, e la grande recessione del 1973-1975 innescata dalla crisi del petrolio e seguita dagli anni della stagflazione.
· Il progetto di Moro – solidarietà nazionale per andare a una democrazia dell’alternanza – sarebbe stato utile al sistema italiano oppure ritiene che lo schema generale delle forze politiche allora già mostrava insufficienze nell’affrontare i temi della modernizzazione?
In realtà non sono poi così sicuro che, a metà degli anni ’70, il progetto di Moro fosse quello di rendere possibile l’alternanza fra Dc e Pci, almeno nel periodo medio-breve. Non sono uno storico, né nutro una particolare passione per la storia di allora, ma per quel che mi risulta non esiste alcun documento scritto o alcun evento pubblico in cui Moro abbia caldeggiato esplicitamente l’alternanza al governo fra Dc e sinistra. L’unica testimonianza è quella di Scalfari, ma mi sono sempre chiesto se non ci fosse stata, nel resoconto di quell’intervista, anche una proiezione dei desideri di Scalfari.
Ad ogni buon conto, ho sempre visto la solidarietà nazionale semplicemente come l’espediente che una politica debole usa quando non ha la forza o il coraggio di fare scelte difficili. E’ successo allora, ma si è ripetuto nel 2011-2012 con Monti, nel 2013 con Letta, e probabilmente si ripeterà con il “governo di tutti” che si formerà nelle prossime settimane.
·La crisi degli ultimi anni ’70 ebbe anche importanti conseguenze sul piano sociale. Il terrorismo di sinistra ne fu un’espressione o si tratta di un fenomeno di altra natura?
Il terrorismo di sinistra è un fenomeno di altra natura e origine, e infatti precede di molti anni la crisi di fine anni ’70.
·Gli anni ’80 sono da molti considerati come carichi di speranze e aspettative, per qualcuno addirittura il periodo di maggiore interesse della storia recente d’Italia. Non le sembra contraddittoria questa valutazione, in considerazione dei nodi non sciolti degli anni ’70 avuti in eredità?
Proprio così, nella memoria nazionale gli anni ’80 sono un po’ mitizzati, perché si scambia lo spensierato edonismo di allora con una stagione di prosperità. Invece negli anni ’80 avremmo dovuto fare i conti con i problemi che, nel cuore degli anni ’70, erano già chiarissimi alle menti più lucide. Anche se i primi scricchiolii risalgono addirittura al 1963-1964, ai tempi della “congiuntura” e dei primi deficit di bilancio preoccupanti, il sistema Italia entra pienamente in crisi proprio verso la metà degli anni ’70. Sono gli anni in cui Ugo La Malfa pubblica La Caporetto economica (1974), Giorgio Galli e Alessandra Nannei Il capitalismo assistenziale (1976), Franco Reviglio (1977) Spesa pubblica e stagnazione dell’economia italiana (1977). La stagione dell’unità nazionale non servì ad affrontare i problemi, ma servì a Dc e PCI per neutralizzarsi a vicenda, evitando che una delle due forze prendesse nettamente il sopravvento sull’altra. Era questa la vera preoccupazione di Berlinguer, e la radice della politica del “compromesso storico”. Che a sua volta non fa che riprendere la preoccupazione dai padri costituenti, più attenti alle esigenze di limitazione del potere che a quelle della governabilità.
·L’Italia di oggi, dei primi anni Duemila, quanto può dirsi un prodotto delle scelte non compiute – o parzialmente compiute o malamente compiute – tra gli anni ’70 e ’80?
Sì, però non trascurerei le non-scelte, o le scelte sbagliate, dei 30 anni successivi. Gli anni ’80 furono un’occasione mancata, ma non furono l’ultimo treno che il Paese poteva prendere. L’ultimo treno è passato dopo, negli anni della seconda Repubblica. Ora non vedo altri treni all’orizzonte.