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Follemente corretto – LGBTQIAPK+

18 Luglio 2024 - di Luca Ricolfi

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Che fra sesso e cibo vi sia una stretta relazione è noto da tempo: medici, psicologi, sessuologi ci spiegano che le aree del cervello attivate sono le stesse, e che il meccanismo chiave del piacere è il rilascio di dopamina. E certo non stupisce il fatto
che, nelle nostre società opulente, in cui la maggior parte della popolazione si è lasciata alle spalle i problemi della mera sussistenza, una quota altissima della vita sociale sia dedicata al cibo e al sesso, processati, ostentati, condivisi in innumerevoli
forme e varianti. Sul versante del food: ricette di cucina, tornei fra aspiranti chef, festival gastronomici, circolazione impazzita di foto che riprendono quel che si sta mangiando o cucinando. Sul versante del sesso: sfruttamento intensivo del corpo femminile nella pubblicità e nel cinema, pornografia on line, sexting (invio di immagini osé) più o meno spinto e più o meno precoce. Cibo e sesso sono diventati i capisaldi delle nostre società, e occupano una frazione sempre maggiore del nostro tempo.

Non è una novità. È dagli anni ’80, dalla stagione del riflusso nel privato, che il trend è quello. Però c’è una differenza, fra allora e oggi. Allora la società edonistica, basata sul piacere, sul sesso e sul cibo, era vista come una espressione delle politiche liberiste di Reagan e della signora Thatcher, una equazione che, nel decennio successivo, parrà confermata con l’ascesa di Berlusconi e della tv commerciale, visti come coronamento e perfetti interpreti dell’ “Edonismo Reaganiano” (copyright Roberto D’Agostino). L’ossessione per il sesso, insomma, era una cosa di destra. Oggi non più. Oggi il sesso, anzi le infinite sfumature della sessualità, in tutte le loro manifestazioni – orientamento sessuale, identità di genere, percezione del corpo, relazioni di coppia, genitorialità, aspirazioni e fantasie varie – hanno progressivamente monopolizzato l’attenzione del mondo progressista. Se nel primo ventennio della seconda Repubblica il sesso e tutto ciò che gli ruota intorno sono stati la marca distintiva del berlusconismo, dalla metà degli anni ’90 l’ossessione sessuale ha cambiato campo e forma: da allora è nel mondo della sinistra che le tematiche del sesso e del genere trovano sempre più spazio e ascolto. Alle lotte per i diritti sociali, centrate sugli interessi dei ceti popolari, subentrano quelle per i diritti civili, a partire da quelli di due specifiche minoranze sessuali: i gay e le lesbiche. Poco per volta, la stella polare dell’uguaglianza, che aveva sempre guidato i partiti progressisti, cede il passo a quella dell’inclusione.
Ma che vuol dire inclusione?

Apparentemente, significa allungamento della lista delle minoranze sessuali protette. Prima GLB, ossia gay, lesbiche e bisessuali. Poi, in omaggio al gentil sesso, LGB, ossia la medesima sigla a 3 lettere con inversione di posto fra G di gay e L di lesbiche. Poi LGBT, con l’aggiunta della T di transessuali. Fin qui tutto abbastanza chiaro e comprensibile. Le lotte a tutela di queste minoranze hanno condotto, in molti paesi, a riconoscere sempre nuovi diritti, talora anche per altre categorie: matrimonio ugualitario, unioni civili, leggi a supporto della genitorialità (adozioni, fecondazione in vitro, inseminazione artificiale), legalizzazione della gestazione per altri (GPA), leggi per favorire il cambiamento di sesso, nuovi reati per punire i crimini d’odio verso le varie minoranze sessuali. Poi però le cose hanno preso una piega strana. La sigla LGBT si è arricchita di nuove lettere: Q per queer (o questioning), I per intersessuale, A per asessuale, da cui l’acronimo allungato LGBTQIA+, il più usato degli ultimi anni. E infine ci sono le proposte più audaci, che da qualche tempo insistono per allungare ancora la lista delle minoranze sessuali con le lettere P di pansessuale e K di kinky, fino all’acronimo-mostro LBGTQIAPK+.

Vediamo il significato di alcune di queste parole recenti. La parola queer allude all’incertezza sulla propria identità sessuale o di genere. Asessuale vuol dire persona che non ha interesse per il sesso. Pansessuale, che prova attrazione per persone di qualsiasi sesso: maschi, femmine, non binari. Kinky che è appassionato di pratiche sessuali non convenzionali (comprese quelle sadomaso).

Siamo sicuri che tutte le lettere del super-acronimo individuino categorie oppresse, perseguitate, vittime di odio, e quindi degne di protezione? Che senso ha, con tutte le minoranze fragili, oppresse, emarginate, iper-sfruttate che affollano la vita sociale,
continuare ad allungare la lista delle minoranze sessuali? Perché la sinistra, come a suo tempo (e a modo suo) la destra, è così ossessionata dai problemi del sesso?

[Articolo uscito sulla Ragione il 17 luglio 2024]

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Luca Ricolfi
Luca Ricolfi
Torino, 04 maggio 1950 Sociologo, insegna Analisi dei dati presso l'Università di Torino.
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